«Non abbandonerò il suolo svedese se prima il suo governo e il suo re non mi assicureranno che il loro Paese si prodigherà a salvare il maggior numero di ebrei danesi». Con queste parole Niels Bohr, fisico di origini ebraiche, premio Nobel per la fisica e fondatore, nel 1921, del Copenaghen institute for theoretical physics, rifiuta di salire sull’aereo che da Stoccolma lo condurrà a Londra.
Inutili le insistenze dei funzionari svedesi, lo scienziato è testardo e solo in seguito alle rassicurazioni ricevute dal ministro degli Esteri e dal sovrano Gustav V accetta di assecondare la richiesta delle autorità inglesi.
Il 2 ottobre 1943, alle 7 del mattino, lo speaker della radio legge un comunicato: «La Svezia si rende disponibile ad accogliere tutti gli ebrei danesi che giungeranno sul suo suolo».
Nasce la speranza di salvezza per una moltitudine di disperati: il giorno precedente Hitler (secondo le rivelazioni di diplomatico tedesco di stanza a Copenaghen, Georg Ferdinand Duckwitz) ha ordinato l’arresto e la deportazione di tutti gli ebrei danesi.
La Danimarca è occupata dai nazisti fin dall’aprile 1940 ma, diversamente dal resto dell’Europa invasa dalle truppe del Reich, ha potuto contare su un buon margine di autonomia interna; la comunità ebraica non ha subito soprusi: i teutonici non hanno voluto creare attriti con una popolazione “ariana” che non conosce l’antisemitismo (tant’è che 1200 ebrei esuli dalla Germania hanno trovato riparo proprio in Danimarca, dopo il 1933). Dall’estate 1943 però tutto è cambiato: il governo è stato sciolto, è stata imposta una piena occupazione militare e gli ebrei sono in pericolo. Tutto il popolo danese desidera salvare i connazionali ebrei dalla macchina della morte, sono «compagni, amici, ma soprattutto danesi».
Il problema è trovare il modo per arrivare alle sponde dell’ospitalità: lo stretto dell’Øresund, in quel periodo dell’anno è agitato e sferzato dai venti freddi del nord e a complicare le cose concorre la presenza della Marina del Reich che ha vietato la navigazione alle imbarcazioni da diporto.
Un’opportunità è rappresenta dai pescherecci per le aringhe, in particolare i 1300 che possono salpare poiché quell’alimento è indispensabile a sfamare i tedeschi. Il tragitto è tuttavia costoso e, nonostante gli aiuti dei benefattori locali, sono i controlli delle SS alle dighe foranee a scoraggiare gli imbarchi. A Gilleleje, località del nord a poche miglia marine dalla Svezia, il 3 ottobre la Gestapo intercetta la motonave Dannebrog con diciannove ebrei. Gli agenti sparano per intimidire il pilota che, insieme a un altro pescatore, si lancia in acqua. I due riescono ha guadagnare la riva in un punto non controllato e si danno alla macchia. A bordo, il gruppo in fuga tenta il tutto per tutto e prova a prendere il controllo del timone, nonostante nessuno dei profughi abbia esperienza nautica. La nave si incaglia, gli ebrei vengono catturati e condotti alla prigione di Horserod, punto di raccolta per prigionieri ebrei e per oppositori del regime. Da lì saranno trasferiti al campo di concentramento di Theresienstadt.
Complessivamente, i nazisti cattureranno sul suolo danese 474 persone ebree su circa 8.000. Gli altri si salveranno grazie alla solidarietà dei compatrioti non ebrei, tra cui molti giovani come Henny Sinding, la figlia diciannovenne di un ufficiale addetto alla gestione dei tender, le navi appoggio per il rifornimento dei fari.
Il Gerda III
La notizia dei controlli tedeschi si è diffusa molto velocemente nella penisola danese e giunge ai quattro membri dell’equipaggio del Gerda III, il capitano Einer Tonnesen, l’ingegnere John Hansen, Otto Andersen e Gerhardt Steffensen. Nonostante i pericoli, costoro decidono di rischiare, ma per farlo hanno bisogno di aiuto. L’imbarcazione è in servizio sull’isola di Amager, area metropolitana di Copenaghen, distante dal centro città nove miglia, e può uscire in mare con regolarità e senza destare grossi sospetti per recarsi al faro di Drogden. Ma per compiere l’azione di salvataggio è necessario che l’ufficiale del porto acconsenta alla messa alla fonda nel Canale Christenshavn.
Il contatto è sua figlia, Henny Sinding. La giovane rimane scioccata da quanto gli racconta l’equipaggio e «si sente furiosa per l’ingerenza esercitata dai nazisti sul popolo danese e, soprattutto, per l’azione contro gli ebrei, dal momento che noi danesi non ci siamo mai divisi in ebrei e danesi». Tornata a casa, senza giri di parole chiede al padre il permesso di far spostare il Gerda III nella zona settentrionale del canale, nei pressi di un magazzino munito di due entrate, idoneo dunque a nascondere gli esuli fino al momento dell’imbarco; di non chiedere spiegazioni circa gli eventuali cambi di rotta compiuti dall’imbarcazione; e neppure di eventuali ritardi nel trasporto dei rifornimenti. Il padre ascolta e tace, i due s’intendono, prima che lasci la stanza le chiede solo di «non farsi coinvolgere troppo».
La ragazza si getta dunque nell’impresa, ma senza risparmiarsi, dedicando ogni risorsa nel cercare nascondigli dove poter sistemare le persone per l’imbarco sul Gerda III.
L’attività risulta complicata e piena di pericoli, come racconterà la stessa Henny nel 1980, dal momento che deve uscire di notte e scortare gli ebrei dai nascondigli al magazzino. Per non suscitare la curiosità d’eventuali pattuglie si stabilisce che «ogni ebreo venga accompagnato da non più di un bambino».
All’ora convenuta, la figlia dell’ufficiale deputato al faro si presenta nel luogo prefissato, prende in carico due persone alla volta per accompagnarle al magazzino e nasconderle in un soppalco, e poi riparte nel recupero di altri fuggiaschi. Di solito i gruppi destinati a salpare per la Svezia sono di sedici persone, ma in qualche occasione, determinata da ragioni di necessità, possono anche ascendere a trenta. La paura d’essere scoperti rende impossibile ai clandestini anche mangiare e trascorrono un tempo che sembra infinito nell’attesa del segnale di uscire e salire sull’imbarcazione.
La sera designata per l’imbarco, Henny si reca al magazzino. Per trasferire i gruppi bisogna tenere conto anche delle due guardie tedesche che pattugliano il molo, stazionano dinanzi al Gerda III, continuando a camminare avanti e indietro: «Per nostra sfortuna avevano fissato lì il punto d’incontro – ricordava Henny –. Tale situazione era snervante. Si sarebbero incontrati proprio davanti alla nave, si sarebbero voltati, avrebbero marciato di un centinaio di metri in direzioni opposte, si sarebbero girati e si sarebbero incontrati di nuovo davanti al Gerda III. Avevamo a disposizione un breve lasso di tempo, prima che si voltassero e si dirigessero verso di noi. Ciò implicava il calcolo al millesimo, per evitare di essere scoperti».
Spesso i rischi si moltiplicano: «Il momento peggiore – rammentava la giovane Sinding – era quando avevamo molti bambini. Usavamo dei sonniferi per evitare che si sentissero i lamenti e attirassero l’attenzione delle sentinelle durante il loro giro». I pochi bagagli sono già a bordo, caricati al mattino dai marinai. Il molo è largo pochi metri, ma ai fuggiaschi sembra di dover percorrere chilometri nella corsa più importante della loro vita con in braccio i bambini addormentati. I pochi bagagli sono già stati caricati al mattino dall’equipaggio per semplificare l’imbarco. Sulla nave gli ebrei sono ammucchiati nella stiva, che può ospitarne quindici al massimo. Le dimensioni del locale sotto il ponte dell’imbarcazione sono infatti dieci piedi (3,84 m) in lunghezza, dodici piedi (3,65 m) in larghezza e appena quattro piedi (1,21 m) di altezza. Non sempre c’è posto per tutti e più d’uno viene nascosto nella cabina dell’equipaggio, dove bisogna restare distesi per ore, fino all’uscita del tender in mare aperto.
L’ora della partenza è fissata per le sei del mattino ma prima di lanciare le cime a terra e levare l’ancora, l’equipaggio deve attendere l’ispezione di prassi delle due sentinelle di guardia. I controlli sono tuttavia blandi dopo la vigilanza notturna, i militari non si preoccupano di controllare la stiva, e preferiscono accettare una bottiglia di birra. Il Gerda III può prende il largo. Henny da terra osserva per assicurarsi che tutto proceda senza difficoltà e torna a casa solo quando la barca s’immerge nella nebbia dei canali. Tra l’8 e il 9 ottobre giungono in Svezia circa 2500 ebrei.
La rete di Resistenza dei giovani danesi
La ragazza entra nella Resistenza operando con il gruppo di studenti guidato da Jorgen Kieler, che al momento dell’occupazione tedesca frequentava la Facoltà di Medicina all’Università di Copenhagen. Nel gennaio 1943 ha deciso di lasciare gli studi convinto che un popolo occupato ha solo due opzioni: «collaborare con il nemico o resistere in maniera attiva». Ha adibito il suo appartamento nella capitale a sede della cellula e a stamperia del giornale clandestino “Frit Denmark” (Danimarca Libera).
I suoi colleghi si rendono disponibili a nascondere nei reparti ospedalieri dove fanno pratica gli ebrei di essere imbarcati per la Svezia. Del gruppo fa parte anche la ventiduenne Ebba Lund, che si reca nei villaggi di Barsebàckshamn, di Malmò, di Limhamn, di Klagshamn e di SkanÒr, contatta i pescatori riuscendo ad avere la loro disponibilità a poter nascondere gli ebrei sui pescherecci. Durante questo girovagare Ebba viene a sapere di Henny, ha deciso d’incontrarla e di cooptarla nel gruppo.
Il Gerda III serve, ufficialmente, a rifornire il faro di Drodgen, dove oltre al guardiano è stata collocata una guarnigione tedesca. Ciò costringe il capitano Tonnesen a lottare contro il tempo per arrivare in Svezia, lasciare i profughi e poi recarsi al faro seguendo una rotta che non dia adito a sospetti. Ma al faro operano altri giovani che hanno deciso di opporsi ai nazisti. Uno di loro è il figlio minore del guardiano di Drogden: Ingolf Haubirk ha aderito alla Resistenza, contattato e addestrato ai sabotaggi dal servizio segreto britannico. Così era stato per il fratello maggiore Ejler, morto a seguito di un imboscata tesagli dalla Gestapo. Al faro è recluso anche un prigioniero dei tedeschi, il cadetto della regia Marina John Mix, accusato di atti d’insubordinazione all’autorità occupante. Mix diviene presto il leader del gruppo, un sostegno per Ingolf e Henny. Fa parte della cellula anche un altro cadetto: Sven Kieler, reclutato dal cugino Jorgen. Il futuro medico per evitare la morte di civili innocenti ritiene infatti di dover puntare sul sabotaggio del nemico in alternativa ai bombardamenti Alleati: quello condotto dalla Royal Air Force del cantiere navale di Burmeeister&Wain, per esempio, ha lasciato intatto il bersaglio mentre le abitazioni attorno sono andate distrutte e molti degli abitanti sono deceduti sotto le macerie. Il gruppo decide di unirsi ad un’altra formazione, la Holger Danske, già decimata dalla Gestapo è ora guidata da Finn Nielsen; nasce l’Holger Danske 2, meglio nota con la sigla HD2.
Alle azioni di sabotaggio partecipano tutti i nostri personaggi, Henny impara a usare le armi e svolge il ruolo di palo: «prima di un sabotaggio segnalavo l’eventuale presenza di tedeschi nella zona – ricorda Henny –. Di solito camminavo con un ragazzo e fingevamo di essere molto innamorati per non destare sospetti». La giovane coinvolge anche l’equipaggio del Gerda III per espatriare gli oppositori del regime e gli agenti del SOE ricercati dalla Gestapo. Affitta un secondo magazzino, sempre nei pressi del molo dov’è ormeggiata la Gerda III, dove poter nascondere materiali e armi da passare alla Resistenza. Il primo obiettivo designato dal SOE è una fabbrica di apparecchi radio per i nazisti. Il 9 novembre 1943, due squadre dell’HD2 s’avvicinano alo stabilimento, lanciano gli ordigni incendiari attraverso le finestre. L’azione ha successo. Forti di questo, i giovani compiono nelle settimane successive altre otto missioni, tutte andate a buon fine. Si alza il tiro: si decide di colpire la fabbrica Hellerup, produttrice di localizzatori di aerei. A differenza degli obiettivi precedenti però è ben difesa e munita di recinzione. Il 28 novembre ’43 due gruppi compiono l’attacco, partecipano sia Henny sia Mix. L’operazione riesce senza subire alcuna perdita. Sven Kieler e Finn Nielsen decidono d’incontrarsi l’8 dicembre presso il retrobottega di una sarta. Non sanno di essere stati traditi proprio dalla padrona di casa. Due macchine della Gestapo circondano il locale, i due giovani inforcano le bici e iniziano a scappare, mentre Finn riesce, Sven viene ferito e catturato.
«Dovemmo eliminare la delatrice – ricorda Henny –, non per punirla né per vendicarsi, semplicemente per assicurare l’autoconservazione del gruppo». La giovane si reca in casa della spia con la scusa di voler farsi cucire un vestito mentre Finn e altri quattordici uomini circondano il luogo. Henny rammenta: «Ho suonato il campanello della signora Delbo e lei è uscita, le ho detto che volevo un vestito e le ho mostrato la stoffa che avevo con me. Mi ha fatto accomodare, mi sono accorta che c’era un altro cliente che si stava provando una giacca. Ho inventato una scusa e ho detto che sarei ripassata il giorno dopo. Appena fuori sono corsa da Finn, mi ha convinta ad aspettare l’uscita del cliente, ma la presenza di tutti noi ha insospettito qualcuno che ha chiamato la polizia». Finn e Mix vengono fermati, ma rilasciati la sera stessa, mentre Henny e il resto del gruppo si dileguano senza problemi. La sera stessa, subito dopo essere uscito dal commissariato, Finn cerca di concludere l’azione. Suona alla porta e colpisce la donna con una pistola silenziata. Solo ferita, la sarta informa la polizia nazista, che scatena una caccia all’uomo: alcuni componenti del gruppo sono arrestati, altri uccisi; Finn e la sua famiglia riescono a espatriare con il Gerda III. Il gruppo HD2 accusa il colpo, ma non s’arrende e continua a pianificare azioni di sabotaggio. La fine della delatrice è solo rinviata, il 9 marzo 1944 un altro nucleo del Holger Danske trova il suo nascondiglio e la uccide.
Tre settimane dopo, il SOE ordina al HD2 di sabotare due fabbriche: la Callesen, specializzata in equipaggiamento per sommergibili U-boat, e la Hamag, produttrice di attrezzature per aerei da guerra, situate entrambe nella città di Aabenraa, al confine con la Germania. La missione è alquanto rischiosa, molti residenti sono fedeli al Terzo Reich e sarà facile essere denunciati. Il 4 febbraio quattordici sabotatori dell’HD2 giungono, individualmente o in piccoli gruppi, ad Aabenraa. Qui quattro membri della resistenza locale si aggiungono, mentre il gruppo si divide in due: sei si recheranno presso lo stabilimento Hamag, il resto alla Callesen. Per l’ennesima delazione, solo la prima squadra riesce nell’intento, gli altri verranno fermati, arrestati o uccisi sul posto. Nel giro di poche settimane l’HD2 vede assottigliarsi le file dei suoi aderenti, il nuovo comandante, Jorgen Stafferldt, ordina a tutti i membri di raggiungere la Svezia. «Era troppo rischioso rimanere – afferma Henny -. La partenza avrebbe salvato sia i membri arrestati, che potevano tradire senza subire inutili torture, sia i componenti a piede libero». Prima di lasciare il suolo patrio Henny decide d’incontrare i suoi genitori. Il padre l’ascolta con attenzione e con amore, quando apprende che reca con sé una dose di veleno da usare in caso di pericolo, le chiede, in maniera seria, non di rimprovero, di non adoperarlo mai, perché: «Fintanto c’è vita, c’è speranza».
Henny, la memoria di un popolo
A metà gennaio la radio danese annuncia la notizia che Sinding padre è stato arrestato dalla Gestapo, notizia che si rivela falsa: i nazisti hanno compiuto un’irruzione non per arrestare l’uomo, ma in cerca di Henny e del fratello diciottenne Carsten. Il 16 febbraio un messaggio indica alla ragazza di recarsi alla libreria Mogens Staffeldt, da lì sarà portata in un luogo sicuro, ma la Gestapo arriva pochi minuti dopo. Henny riesce a dileguarsi e a tornare, sana e salva, al rifugio. Quattro giorni dopo viene prelevata da alcuni amici e condotta in una villa, nei pressi di Lyngby, appartenuta a una famiglia ebrea, da lei aiutata a sfollare in Svezia. Scopre che nel suo viaggio attraverso lo stretto dell’Øresund,verso la Svezia sarà con altri tre membri, ricercati, del suo gruppo. Dopo aver cambiato vari nascondigli, grazie a una imbarcazione della guardia costiera danese, il cui comandante è solidale con i partigiani, il 22 febbraio il gruppo giunge a destinazione. Non appena a terra Henny dichiara all’ufficiale dell’esercito svedese di voler rendersi utile e viene integrata nel corpo di spedizione creato in vista di una grande operazione Alleata. Nel gruppo c’è anche Mix che propone a Henny di sposarlo, ma rifiutato decide di rientrare sul territorio danese e profondersi a favore della resistenza. Morirà il 3 marzo, a seguito di una delazione.
Il 4 maggio 1944 la Bbc annuncia la resa delle forze tedesche in Danimarca, Norvegia e Olanda. Il giorno successivo Henny s’imbarca insieme alla Brigata danese con cui combatterà fino al 10 luglio 1945, giorno in cui l’unità viene sciolta.
La ragazza però vuole ancora rendersi utile, pertanto aderisce alla Croce Rossa del suo Paese. L’intento è di continuare a operare all’estero, prima in Olanda poi in Norvegia, per aiutare i bambini ebrei sopravvissuti ai campi: sono tutti completamente emaciati, alcuni muoiono lungo il viaggio di ritorno. Torna in Patria nel 1946, riprende la vita civile con l’attività di rifornimento dei fari, nel marzo dell’anno successivo sposa Erling Sundo, un partigiano. La coppia ha due figlie. Negli ultimi anni della sua esistenza, Henny è voluta tornare nel villaggio marittimo dei suoi genitori: Charlottenlund.
Il Gerda III è stato donato dal Parlamento danese al Museo del patrimonio ebraico di New York City, che ha provveduto a farlo restaurare nei cantieri J. Ring Andersen in Danimarca. Oggi è possibile ammirare il tender al Mystic Seaport di New York.
La storia di Henny e del salvataggio degli ebrei è stata raccontata nel 1991 dal film “A day october”. Nel 2009 Henny s’è spenta, rappresentava la memoria di un popolo e soprattutto di tanti giovani che avevano avuto il coraggio di dire No ai tedeschi e alla loro disumanità. In Danimarca quasi il 99% degli ebrei riuscì a tornare dal regno della disperazione. Un caso quasi unico in Europa, la dimostrazione che, se i popoli degli altri Stati avessero avuto un maggiore coraggio e una maggiore coesione, la storia moderna sarebbe potuta essere molto diversa.
Stefano Coletta, insegnante
Bibliografia:
Howard S. Veisz, Henny and Her Boat: “Righteousness and Resistance in Nazi Occupied Denmark”, Create Space Independent Publishing Platform, 2017.
Pubblicato mercoledì 31 Luglio 2019
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