Come avviene per tanti altri fatti che riguardano la Calabria, i riflettori si accendono durante le emergenze. Nel caso della tendopoli di San Ferdinando l’interesse dei media si è acceso nei mesi scorsi per le morti violente o tragiche di alcuni migranti. Carbonizzati tra le fatiscenti baracche come la 26enne nigeriana Becky Moses e Surawa Jaiht di 18 anni del Gambia. Oppure uccisi a fucilate come Soumaila Sacko mentre rovistava nelle lamiere abbandonate in una discarica.
Gli impegni solenni delle istituzioni, le frasi fatte sulle vergognose condizioni – quasi indescrivibili a parole – in cui vivono centinaia di essere umani, durano sino al giorno dei funerali. Poi questa gente ritorna nel cono d’ombra nel quale vive da anni. Emarginati, sfruttati, schiavizzati.
Per cercare di rompere questa disattenzione consolidata un gruppo di persone, sindaci, associazioni (tra cui l’Anpi) e sindacati si sono ritrovati nella sala del Consiglio comunale di San Ferdinando per discutere sulla creazione di un comitato che si occupi, prima di ogni altra cosa, del disagio abitativo. La base di partenza è lo studio dell’urbanista Alberto Ziparo dell’Università di Firenze, il quale ha spiegato come sia umanamente inaccettabile vedere migranti in queste condizioni quando in Italia vi sono oltre otto milioni e mezzo di case disabitate o sottoutilizzate. In Calabria il 40% del patrimonio residenziale è vuoto. In tante zone dell’entroterra lo spopolamento è inarrestabile. Nella sola zona della piana di Gioia Tauro (dove si trova la tendopoli) sono censiti trentamila vani non utilizzati. È quindi importante la sfida lanciata dal costituendo comitato.
L’esperienza di Riace rimane quella a cui guardare quando si parla di accoglienza diffusa e riutilizzo di case abbandonate. Lo hanno ribadito ancora Mimmo Lucano e Alex Zanotelli. Una sfida non facile perché si tratta da un lato di non suscitare contrapposizioni con la popolazione locale e dall’altra di pensare a un modello integrato di convivenza fatto non solo di abitazioni ma di trasporti, scuole, sanità. Dovranno essere tanti i protagonisti di questa scommessa di civiltà, a cominciare dalla Regione e poi il Governo; gli amministratori di tanti comuni, il mondo sindacale, la Chiesa. Servono investimenti, disponibilità economica, sociale e umana. Non si tratta in questo caso di dare una sistemazione di facciata per calmare le acque. La strada tracciata è quella di un impegno vero, basato sulla continuità degli interventi. In questi ultimi anni troppe volte abbiamo assistito ai proclami del giorno dopo le tragedie. Non servono più abiti usati e collette provvisorie per ridare dignità ai migranti. L’obiettivo da perseguire senza ripensamenti deve essere la chiusura del ghetto di San Ferdinando, un luogo di morte e dolore. Questa è la direzione indicata nell’affollato incontro dell’1 febbraio. Anche in questo caso l’Anpi ha scelto da quale parte stare.
Mario Vallone, presidente del Comitato provinciale Anpi Catanzaro, membro del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato lunedì 4 Febbraio 2019
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