Metà dei rom e sinti che risiedono in Italia sono di nazionalità italiana. Alcuni di loro hanno preso parte alla Resistenza contro il nazifascismo. Persone che da secoli non sono più nomadi e che conducono una vita stanziale. Ma nel discorso pubblico la questione rom è coniugata solo in termini securitari. Parlare di rom equivale a parlare di devianza. E soprattutto di campi.
«E no, Salvini, ancora una volta mistifichi la realtà. In relazione a quanto avvenuto a Giugliano (città metropolitana di Napoli), non sono i deputati grillini a chiedere un alloggio per i rom, ma la Corte Europea per Diritti dell’Uomo, organo internazionale istituito per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 Luglio per la tutela di rom e sinti, replica così al ministro dell’Interno a seguito di un’interpellanza presentata alla Camera da un gruppo di deputati del M5S.
Riavvolgiamo il nastro. A Giugliano in Campania, cittadina dell’hinterland napoletano, una delibera comunale dello scorso aprile mette sotto sgombero 400 persone di etnia rom, metà della quali minorenni, che vivono in una baraccopoli nella periferia del comune. Baraccopoli formatasi a seguito di un altro sgombero eseguito tre anni fa. Lo sgombero in questione è legittimato dalle pessime condizioni in cui l’insediamento informale riversa: mancanza di servizi igienici, acqua e elettricità. Andare via, certo, vista la situazione, ma per andare dove? L’amministrazione non fornisce alcuna alternativa per queste 70 famiglie di origine bosniaca arrivate a Giugliano quasi trent’anni fa, in seguito alla guerra nella ex Jugoslavia. Tra le associazioni che seguono la vicenda c’è anche 21 Luglio, il cui presidente, Carlo Stasolla, intraprende uno sciopero della fame che si interromperà solo con l’intervento della Corte europea per i diritti dell’uomo. «La decisione della Corte europea alla quale ci siamo appellati, ci ha dato ragione riguardo le violazioni di diritti e ha imposto al governo italiano di fornire un’abitazione alle famiglie che hanno fatto ricorso. Riscontrando una violazione dei diritti umani, il governo italiano, attraverso il comune di Giuliano, dovrà intervenire», spiega Stasolla, raggiunto al telefono.
Al responso della Corte europea si aggiunge l’interpellanza del gruppo dei deputati del M5S, rivolta al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che chiede una sistemazione definitiva per queste famiglie. Matteo Salvini, assente in aula, risponde solo attraverso la sua pagina social: «I deputati grillini vogliono dare subito un alloggio ai Rom? Chi vuole un alloggio può acquistarlo, affittarlo, fare domanda per una casa popolare. Non è ammissibile vivere nell’illegalità e poi pretendere che lo Stato ti regali una sistemazione alternativa», trascurando che ad essere in questione non sono pretese, ma diritti. Lo ricorda anche la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović. In un comunicato del 4 aprile scorso la commissaria precisa che Belgio, Bulgaria, Francia, Grecia e Italia «hanno i loro obblighi ai sensi della Carta sociale europea» poiché violano costantemente gli standard internazionali sui diritti umani in fatto di evacuazioni forzate. Si deve dare un’alternativa alle persone sotto sgombero. Non si può mandarle in strada.
«La politica dei campi – scrive l’antropologo Leonardo Piasere in Popoli delle discariche (CISU 2005) – inizia verso la metà del Novecento, in seguito all’arrivo dei rom dall’ex Jugoslavia, non come una precisa scelta nazionale ma come una politica locale che si allarga a contagio a partire dalle città del nord e che dagli anni Ottanta è supportata finanziariamente e legislativamente da alcune regioni. In base a questa politica e a questi interventi, l’Italia diventa il “paese dei campi”. Una volta arrivati nel “paese dei campi”, molti rom da secoli sedentari in Jugoslavia devono “riziganizzarsi” alla occidentale e devono, se non diventare nomadi, vivere comunque in un campo senza fognature, in abitazioni con ruote o baracche. La maggioranza di questi rom, invece, non ha mai abitato in abitazioni mobili né in un “campo” di cui non possiede nemmeno il termine nella propria lingua, e spera che “o kampo” sia un momento transitorio della loro vita di profughi».
Nel 2000 anche l’European Roma Right Center ha usato “il paese dei campi” per definire l’Italia, unico Paese europeo che utilizza la forma del campo sosta come soluzione abitativa destinata ai rom, istituendo, nei fatti, un sistema abitativo parallelo strutturato su base etnica.
Sono circa 25.000 i rom che vivono nei campi nomadi, 15.000 presenti nelle baraccopoli istituzionali, il 55% ha meno di 18 anni e il 44% è di nazionalità italiana.
La Campania è la regione dove sono concentrate le più grandi baraccopoli informali – Giugliano ne è un esempio con i suoi 400 abitanti – mentre le aree urbane con il maggior numero di micro insediamenti sono Roma e Milano (Rapporto 2018 dell’associazione 21 Luglio). «In un effetto a “palla di neve”, politiche non inclusive sono generate e traggono la loro ragion d’essere dal pregiudizio presente nel sentire comune, che però esse stesse, nel loro implementarsi, finiscono per giustificare, rafforzare, amplificare. E così, nei territori dove insistono insediamenti formali e informali rom, dove le politiche e le progettualità inclusive sono inesistenti o deboli, è sicuramente più facile registrare parole che evidenziano un atteggiamento di intolleranza e di aperta ostilità», chiosa il rapporto.
Questo meccanismo va inevitabilmente a rafforzare l’antiziganismo, definito dalla Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa come «una forma specifica di razzismo, un’ideologia basata sulla superiorità razziale, una forma di disumanizzazione e razzismo istituzionale alimentata dalla discriminazione storica, manifestata tra l’altro in violenza, incitamento all’odio, stigmatizzazione». Lo abbiamo visto di recente a Roma, nel quartiere Torre Maura, a seguito del trasferimento di alcune famiglie rom in una struttura di accoglienza o a Casal Bruciato, sempre nella capitale, per l’assegnazione ad una famiglia rom di una casa popolare. Odio razziale, violenza privata, minacce, adunata sediziosa, apologia di fascismo. Questi i reati contestati dalla Procura di Roma a 41 militanti di Casapound e Forza Nuova per i disordini di quei giorni.
Per quanto possa essere attuale, l’antizinganismo non è un fenomeno nuovo. L’Olocausto è stato il suo punto culminante. In Italia, a Lanciano (Chieti), esiste il primo – e unico – monumento, secondo in Europa solo dopo quello di Berlino, dedicato alla memoria degli oltre 500.000 rom e sinti perseguitati per motivi razziali che furono deportati, internati e sterminati nei campi di concentramento durante gli anni della seconda guerra mondiale. La Capitale li commemora con una targa nella centrale via degli Zingari.
Secondo le stime del Consiglio d’Europa, in Italia vivono tra i 120.000 e i 180.000 rom e sinti (lo 0,2% della popolazione), metà dei quali di nazionalità italiana. Solo il 3% è nomade.
«Una minoranza troppo spesso riconosciuta come popolazione omogenea, dimenticando che tra le ville kitsch delle famiglie di rom abruzzesi a Roma ed i nylon di tende improvvisate di rom bulgari a Foggia, ci sono altre 20 etnie, diverse per dialetti, tradizioni e condizioni sociali che compongono l’universo romanì» commenta Carlo Stasolla. Universo eterogeneo è anche quello giuridico: cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea, cittadini di Paesi extracomunitari, rifugiati, apolidi.
La storia dei gruppi rom e sinti presenti in Italia è profondamente connessa con quella dei luoghi in cui si sono radicati. Così radicati che esiste una versione sinta di Bella ciao. Il partigiano sinto più noto è stato Amilcare Debar, detto il Corsaro, compagno d’armi di Sandro Pertini, dalle cui mani ricevette il diploma di partigiano.
Nel mantovano si formò anche un battaglione composto unicamente da sinti italiani, “i Leoni di Breda Solini”, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sul Secchia (Modena), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940. Per questo, per il clima di odio, per le continue violazioni di diritti che queste persone subiscono, il presidente della Camera Roberto Fico ha voluto dedicare la festa della Repubblica anche «ai migranti sul nostro territorio e ai rom e ai sinti, italiani anche loro». La Chiesa, nelle parole di papa Bergoglio, chiede «perdono per le discriminazioni».
Ma non basta. Dichiarazioni come «i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa» detta dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Salvini, soffiano sul fuoco del pregiudizio su gruppi già tanto discriminati quanto poco conosciuti. Lo dimostra un monitoraggio condotto da Amnesty International sui messaggi dei politici delle principali liste (Europa Verde, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Movimento 5 Stelle, Più Europa, Sinistra Insieme) in vista delle elezioni europee dello scorso 26 maggio. Dai messaggi alle risposte degli utenti, il tono del dibattito online è ostile e la categoria maggiormente discriminata risulta essere quella dei rom che addirittura supera quella degli immigrati.
Mariangela Di Marco, insegnante
Pubblicato giovedì 13 Giugno 2019
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