Così ha scritto uno dei più grandi autori italiani dell’Ottocento, lo scrittore-soldato Ippolito Nievo. Con la sua penna, Nievo è riuscito a tratteggiare, in maniera formidabile, la realtà del tempo in cui visse, con gli umori, i sentimenti e le aspirazioni che lo caratterizzarono. Ma è riuscito pure a cogliere, nella frase appena citata, un fattore costante e ricorrente in ogni tempo e in ogni luogo. Infatti l’analogia (con l’accostamento provocatorio e poco “nobile” al mondo degli insetti) è a mio avviso particolarmente efficace nel descrivere lo spirito delle giovani generazioni.
I giovani “volano”, “ronzano” irrequieti: è quanto accade da secoli e secoli, in qualsiasi paese e a ogni latitudine. Perché sono sempre i giovani, con i loro sogni e le loro aspirazioni, a marciare in prima fila quando si tratta di difendere un valore che viene messo in discussione, o quando si tratta di battersi per conquistare un nuovo diritto.
Sono i giovani a salire sulle barricate, a scendere in piazza, a lanciarsi nella lotta, a dedicare tutte le loro energie a un ideale.
Ad animarli è la passione, l’ansia di mettersi in gioco, la voglia di provare a fare la differenza.
Se tale affermazione è vera, la maggiore dimostrazione risiede a mio avviso nel generoso contributo pagato col sangue dai ragazzi che, durante la Seconda Guerra Mondiale, salirono in montagna, armi in pugno, per dichiarare guerra al fascismo e al nazismo.
Da questo punto di vista, è emblematico l’elenco di coloro che furono catturati, condotti alla Casa dello Studente di Genova di Corso Gastaldi, e qui torturati e successivamente uccisi. È emblematico, perché è un elenco di giovani e giovanissimi; citiamone qualcuno.
Domenico Arecco (“Flavio”) aveva 30 anni: meccanico elettricista, catturato alla Benedicta e tradotto al carcere di Marassi, fu torturato alla Casa dello Studente e fucilato al Passo del Turchino dalle brigate nere il 19 maggio 1944. Con lui c’era Valerio Bavassano (“Lelli”), 21 anni, catturato il 7 aprile 1944 con altri diciassette compagni nella zona della Benedicta. Domenico Baiardo (“Cicci”) di anni ne aveva 22: era un operaio dell’Ansaldo; arrestato il 6 settembre 1944, fu tradotto a Marassi e torturato alla Casa; deportato in Austria, a Mauthausen, morì il 17 febbraio 1945. Giovanni Bellegrandi (“Annibale”) aveva 26 anni ed era un militare, col grado di sottotenente; venne catturato dalle SS il 19 gennaio 1945, fu torturato alla Casa e successivamente rinchiuso a Marassi; fu fucilato il 23 marzo 1945 presso il cimitero di Cravasco. Giacomo Canepa, ventitreenne, fu ferito e catturato a Voltri il 20 ottobre 1944 dai fascisti, venne torturato alla Casa e morì in seguito alle ferite il 22 ottobre 1944. Sauro Colombo invece, vent’anni, era operaio nelle Officine Industrie Meccaniche e Navali di La Spezia; venne catturato dagli sgherri fascisti il 16 settembre 1944 e, dopo le torture alla Casa, fu deportato a Mauthausen; morì poi nel lager Gusen II nel dicembre del 1944.
Si potrebbe continuare con questo elenco di giovani eroi, combattenti della libertà che avevano davanti a sé una vita da vivere e decisero di immolarla nella lotta contro l’orrore della guerra e della dittatura. Ciò non può che suscitare una riflessione profonda nei ragazzi e ragazze che visitano le celle e il sotterraneo dei tormenti di Corso Gastaldi (oggi Museo della Resistenza europea). Sono centinaia: ogni anno, accompagnati dai loro insegnanti, vengono condotti a visitare quei locali, vengono guidati dai volontari del Centro di documentazione “Logos” nelle celle e nel cosiddetto “sotterraneo dei tormenti”, vengono loro raccontate quelle storie di abnegazione, coraggio, eroismo.
Io sono proprio uno di quei giovani e, durante la visita, non potei fare a meno di pensare a tutte le volte che ero passato di fronte alla Casa dello Studente, del tutto ignaro di cosa vi fosse successo durante la Seconda guerra mondiale e di cosa quel luogo oggi significhi per la città di Genova. Come hanno scritto, in un precedente articolo già pubblicato su Patria Indipendente due giovani guide di “Logos”, Luca Sansone e Giacomo Lertora, l’attività svolta è un esempio di quale possa essere il ruolo della memoria oggi: «I giovani che vengono in visita alla Casa riescono a “toccare con mano”, a comprendere effettivamente cosa siano stati il fascismo e la Resistenza. Riescono a calarsi concretamente in una realtà che, se appresa solo nei manuali di scuola e nei libri, rischia di restare evanescente, impalpabile. Perché, quando lasciano le aule scolastiche per entrare nelle celle e nel sotterraneo, sono materialmente portati a interrogarsi, a “dialogare” con quei giovani che lì hanno sofferto e sono morti. Tra l’altro, molti di quei nomi che leggono sui pannelli affissi nel sotterraneo non sono, per loro, dei “perfetti sconosciuti”: li hanno già “incontrati”, magari andando a scuola o semplicemente camminando per la città, passando per via Ulanowski, per via Spolidoro o via Bellucci, ecc. È un lavoro importante, che va portato avanti: perché se è vero, come si usa dire, che i giovani “sono il futuro”, è altrettanto vero che i giovani sono “il presente”. E solo vivendo nel tempo presente con curiosità, con interesse, con motivazione, impegnandosi in prima persona, partecipando e confrontandosi, quei ragazzi possono custodire e mantenere viva la memoria».
Per questo motivo voglio ringraziare i volontari del Centro di documentazione “Logos” e l’Anpi genovese per il loro impegno, nella convinzione che sia un utile antidoto. Non solo per non dimenticare cosa è successo, ma anche per restare vigili contro le campagne di odio e intolleranza a cui purtroppo oggi assistiamo.
Riccardo Giuffrida, studente
Pubblicato venerdì 7 Settembre 2018
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