Sui mezzi di informazione si sono susseguite immagini di gruppi di migranti arrivati a piedi al confine greco-turco di Edirne-Pazarkule e respinti dai gas lacrimogeni e dalle cariche della polizia. Tra loro anche molti bambini. «È legale utilizzare proiettili di gomma contro i richiedenti asilo?» ha chiesto una cronista al portavoce della Commissione europea Eric Mamer. «Dipende tutto dalle circostanze e sono le autorità greche che nel loro compito di difendere i confini decidono il modo migliore per farlo» ha risposto nella conferenza stampa dello scorso 5 marzo, confermando la linea della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che ha definito la Grecia “scudo dell’Europa”.
Altre immagini hanno ritratto una motovedetta della Guardia costiera greca che ha speronato un gommone con a bordo migranti diretto verso le isole greche al largo della costa turca di Bodrum, da cui era partito. Gli agenti hanno utilizzato un’asta per respingere l’imbarcazione precaria, sparando anche alcuni colpi di avvertimento in acqua. Una condotta che è andata contro il principio del non respingimento, previsto dalla Convenzione di Ginevra. Nelle acque dell’isola di Kastellorizo, invece, ha aperto il fuoco contro due imbarcazioni ferendo alcune persone.
Altre istantanee arrivano dall’isola di Lesbo dove agli occupanti di un’altra imbarcazione è stato impedito di attraccare al porto di Thermy. I responsabili sono stati gruppi di abitanti del posto insieme a militanti dell’organizzazione neonazista Alba Dorata. E persone inermi sono state aggredite sulla banchina del porto sempre da Alba Dorata (Chrisi Arghì). Sono stati aggrediti anche giornalisti, attivisti e personale delle organizzazioni non governative, come attestano numerose immagini. Azioni squadriste che hanno lo scopo di seminare odio e paura e bloccare nuovi sbarchi.
A fine febbraio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha aperto le frontiere con l’Europa e ai suoi confini si sono riversati migliaia di persone che cercano di abbandonare la Turchia, dove oggi vivono 3,7milioni di rifugiati siriani, oltre a migranti provenienti da altri Paesi, come l’Afghanistan. Il conflitto siriano ha causato dal suo inizio – marzo 2011 – quasi 6 milioni di profughi, la maggior parte nei Paesi vicini (Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto), e oltre 6 milioni di sfollati interni, secondo i dati 2019 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. La chiusura delle frontiere turche venne sancita da un accordo nel 2016: l’Unione Europea avrebbe erogato circa 6 miliardi di euro fino al 2019 per limitare l’arrivo di richiedenti asilo siriani nel Vecchio Continente.
Ma il governo greco ha deciso di non aprire i confini, militarizzando la frontiera e ricevendo il supporto di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera che assiste gli Stati membri dell’UE nella protezione delle frontiere esterne dello spazio europeo di libera circolazione. La Grecia ha inoltre deciso di sospendere le domande di asilo per un mese, misura unilaterale che è stata criticata dalle Nazioni Unite. La comunicazione è arrivata il 1° marzo via Twitter dal Primo Ministro Kyriakos Mītsotakīs. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha sottolineato che «né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo». Nel contempo, l’esercito greco ha annunciato una serie di esercitazioni militari con base l’isola di Lesbo. Le aree costiere e marine saranno dunque considerate poligono di tiro, per cui “per evitare incidenti tutti i movimenti di terra e di mare in questa zona non sono raccomandati” afferma il comunicato. L’area interessata risulta essere quella attraversata da gran parte dei gommoni dei rifugiati provenienti dalle coste turche che in queste ore continuano ad arrivare, in particolare nell’isola di Lesbo dove la situazione è esplosiva da tempo.
Il governo di destra di Mītsotakīs ha deciso di ammassare sulle isole dell’Egeo migliaia di profughi, bloccando i trasferimenti sulla terraferma. Oltre 44mila persone sono intrappolate in questo arcipelago, in condizioni di vita inaccettabili.
Nel campo di Moria, a nord di Lesbo, organizzato per non più di 3mila ospiti, ne sopravvivono invece oltre 20mila e le loro condizioni mediche e psicologiche peggiorano inevitabilmente giorno dopo giorno. L’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere ha denunciato nelle scorse settimane la morte di un bambino per disidratazione. Il campo profughi, già sovrappopolato da svariati anni, è divenuto presto l’emblema degli accordi Unione Europea-Turchia del 2016 che prevedevano anche canali umanitari attraverso cui per ogni profugo siriano rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarebbe stato trasferito dalla Turchia all’Unione europea. Ma questo non ha funzionato: il governo greco e l’Europa hanno delegato quasi completamente alla società civile l’accoglienza dei richiedenti asilo. Tra il 2015 e il 2016 questo luogo divenne il simbolo dell’Europa dei popoli, dove arrivarono decine di attivisti che sposarono la causa di Lesbo e contribuirono ad accogliere chi fuggiva da guerre e persecuzioni in un territorio di fatto privo di un sistema di accoglienza. Dopo anni di abbandono da parte dei governi europei, una parte degli isolani è adesso insofferente e i fascisti di Alba Dorata ne hanno dunque cavalcato il malcontento.
Il gruppo neonazista, nato tra gli hooligans ad Atene negli anni novanta, ha sempre perpetrato reati contro gli immigrati nelle periferie delle città greche e ora applica le stesse strategie anche nelle isole del mar Egeo. Le ong e gli attivisti sono sotto attacco. Molti hanno deciso di sospendere le loro attività in sostegno dei profughi. Medici Senza Frontiere ha chiuso la clinica pediatrica per motivi di sicurezza, con conseguenze drammatiche sulle condizioni dei piccoli profughi. Gli attacchi delle ultime settimane sono soltanto alcuni di una lunga fila di episodi analoghi che non riguardano soltanto Lesbo: a Chios è stato appiccato il fuoco al deposito della onlus Stay Human Odv, che dal 2018 gestisce la distribuzione di beni e servizi nel campo di Vial. Alla frontiera terrestre, i militanti dell’estrema destra catturano i migranti che varcano il confine e li consegnano alla polizia, mentre altri gruppi europei di estrema destra sono arrivati per sostenere lo «scudo d’Europa». La presenza di estremisti tedeschi in Grecia è stata segnalata anche da un funzionario del partito di sinistra tedesco Die Linke.
Eppure poco meno di 80 anni fa, decine di migliaia di rifugiati hanno attraversato queste stesse rotte in direzione opposta. Al culmine della seconda guerra mondiale, nei campi di Siria, Egitto e Palestina, il Middle East Relief and Refugee Administration (MERRA), fondato dalla Gran Bretagna nel 1942, ha collocato 40mila civili dell’Europa orientale che fuggivano dal massacro nazista. Tra il 1939 e il 1941, circa 300mila polacchi hanno trovato rifugio nei campi dell’Iran. Nel 1944 i greci del Dodecaneso, in piena occupazione tedesca, arrivarono nei campi di Aleppo, come attesta l’archivio del Servizio Sociale Internazionale dell’Università del Minnesota.
Mentre i riflettori restano accesi sui confini fra Turchia ed UE, è importante ricordare che, secondo i dati delle Nazioni Unite, circa un milione di profughi premono al confine turco-siriano, nella regione di Idlib, teatro di scontri violentissimi tra le forze armate turche e quelle del regime di Assad – supportato dalla coalizione Russia, Iran, Hezbollah – per il controllo del territorio. Lo scorso ottobre la Turchia ha invaso il nord-est della Siria colpendo le principali città a maggioranza curda lungo il confine. Per la Turchia, il problema è sempre stata la presenza dei curdi siriani al di là della sua frontiera meridionale, un gruppo che considera terroristico e che per questo vuole osteggiare. Gli stretti legami tra curdi siriani e PKK – partito curdo che da decenni combatte contro il governo turco per ottenere l’indipendenza attraverso la lotta armata e azioni contro l’esercito turco – fanno di questo popolo il nemico numero uno di Erdoğan, che nega l’esistenza di un “popolo” curdo e di una lingua curda. Un popolo che non ha uno Stato ed è distribuito in cinque diverse nazioni (Iraq, Siria, Turchia, Iran e Armenia), benché sia la quarta etnia più grande del Medio Oriente. In realtà, dal 2013 le milizie curde – le Unità di Protezione Popolare (YPG) – hanno difeso le città curde del nord dagli attacchi dell’ISIS e recuperato i territori finiti sotto il controllo dello Stato Islamico in buona parte della Siria, supportate dagli Stati Uniti. Il piano di Erdoğan è chiaro: creare una zona cuscinetto lungo il confine con la Siria dove ricollocare un milione di rifugiati siriani che dovrebbero sostituire i curdi. Un affare di 27miliardi di dollari per cui la Turchia ha chiesto anche il contributo europeo. «La cancelliera Merkel ha già aderito alla richiesta di Erdoğan di co-finanziare 10mila alloggi ma nessuno qui ha detto una parola. Ecco dove è finita la solidarietà ai curdi siriani, maggiori alleati nella lotta contro l’Isis, di un’Europa che dopo il massacro a opera dei turchi nel Rojava prometteva di imporre sanzioni ad Ankara» scrive Il Manifesto in questi giorni.
E mentre gli scontri nella zona di Idlib continuano, Medici senza Frontiere in un comunicato dello scorso 4 febbraio ha denunciato che in questa parte della Siria gli ospedali vengono colpiti quasi ogni giorno, crimine di guerra efferatissimo che strategicamente colpisce chi soccorre e impedisce a chi ha bisogno di soccorsi e cure di accedervi. Non è la prima volta in questi nove anni di conflitto: era già successo durante le offensive delle forze siriane per riprendere il controllo di Aleppo, di Daraa e della Ghuta orientale.
Mariangela Di Marco
Pubblicato mercoledì 25 Marzo 2020
Stampato il 24/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/ultime-news/lue-dei-diritti-sospesi/