Quest’anno ricorrono i 75 anni dalla fucilazione di otto partigiani al campo sportivo di Cividale del Friuli (Udine), oggi intitolato “Martiri della Libertà”, avvenuta il 18 dicembre 1944. L’eccidio fu eseguito da un plotone composto da militi tedeschi e italiani comandato da un fascista italiano, i corpi straziati dei fucilati restarono esposti alla visione dei cittadini e solo dopo due giorni, per interessamento dell’Arciprete Mons. Valentino Liva, vennero sepolti in una fossa dietro la caserma. La cerimonia organizzata dal Comune (Medaglia d’Argento al VM per la Resistenza) e dalla locale sezione Anpi vede la partecipazione anche delle organizzazioni partigiane slovene perché tre degli assassinati erano giovanissimi partigiani di origine slovena. Ed è una conferma degli stretti e consolidati legami esistenti tra la Resistenza jugoslava e quella italiana.

Fu il manifesto affisso dal Tribunale Speciale per la Sicurezza Pubblica per annunciare l’avvenuta esecuzione a consentire l’identificazione delle spoglie degli otto Martiri. Essi sono:

Rodolfo Bastiani, da Cormons (Gorizia) di anni 38;

Stojan Terpin, da Vipolže (Slovenia) di anni 19;

Anton Marinic, da Dobrovo (Slovenia) di anni 18;

Franc Pahor di Opatje Selo (Slovenia) di anni 20;

Giacomo Impalà da Santa Lucia del Mela (Messina) di anni 20;

Aldo Faidutti da Saciletto (Udine) di anni 21;

Lodovico Puntin da Aquileja (Udine) di anni 19;

Severino Rocchetto da Palazzolo dello Stella (Udine) di anni 18.

La caserma “Principe di Piemonte” (ora Francescatto) fu luogo di detenzione di decine di partigiani, di militari e di semplici civili ritenuti, a torto o a ragione, colpevoli del reato peggiore: quello di aver trovato il coraggio e la forza di opporsi al dominio nazifascista. Nel settembre 1943, l’edificio era divenuto sede del Comando distrettuale tedesco e del Pz. Kp. della 24ª Waffen-Gebrings “Karstjager” delle SS.

Le truppe naziste si insediano a Cividale del Friuli il 14 settembre e il giorno seguente il comandante della piazza, hauptmann (capitano) Karl Offschany, fa affiggere il seguente comunicato sui muri della città:

“Ho preso oggi il Comando della Zona di Cividale. Passano alle mie dipendenze per il mantenimento dell’ordine pubblico i RR. CC, la M.V.S.N., la Guardia di Finanza e la P.S. Chi mi obbedisce sarà protetto. Chi non obbedisce sarà passato per le armi. La popolazione civile si mantenga calma per ottenere una buona collaborazione.

Firmato Hauptmann Karl Offschany”

In tantissimi vennero arrestati, rinchiusi, detenuti, torturati e fucilati: il primo fu l’operaio di 24 anni Antonio Rieppi, ucciso il 2 ottobre del 1943, e dopo di lui le vittime furono più di cento, si continuò a uccidere fino al 1° maggio 1945 (l’ultimo assassinato fu A. Zorzi di 22 anni). Le testimonianze raccolte nel dopoguerra tra la gente di borgo San Giorgio (una frazione di Cividale del Friuli prospiciente il luogo delle esecuzioni) consentono d’intuire che le cifre dell’eccidio furono forse più spaventose di quelle effettivamente accertate dalle esumazioni effettuate nel dopoguerra.

Cividale e le Valli del Natisone (confinanti col Collio sloveno e goriziano) furono una delle zone più difficili da controllare da parte delle truppe tedesche di occupazione. Nella documentazione dei comandi militari il territorio viene ripetutamente considerato tra i più pericolosi per le truppe. L’intensa attività partigiana destava una forte preoccupazione proprio per la posizione centrale che ricopriva il territorio di Cividale nell’Ozak, Operationszone Adriatisches Küstenland, Zona d’operazioni del Litorale adriatico, sottoposta alla diretta amministrazione militare del Reich. I diversi rapporti tedeschi registrano continue incursioni di «bande» verso le principali vie di comunicazione in direzione di Udine e di Gorizia. Qui gli occupanti si trovarono a contrastare sin dal settembre 1943 una dura Resistenza, costituita dai gruppi partigiani italiani, affiancati dai partigiani sloveni che, almeno in una prima fase, erano più preparati e organizzati.

Nel territorio, considerato «zona di bande», le forze tedesche organizzarono continue operazioni di rastrellamento, in cui la maggior parte dei rastrellati veniva concentrata nella caserma “Principe di Piemonte” di Cividale, divenuta oramai struttura centrale dell’azione repressiva tedesca sul territorio. Dopo lunghi interrogatori molti venivano «giustiziati» sul posto, altri invece trasferiti in altre carceri o deportati.

Le fucilazioni avvenivano sulla sponda destra del Natisone e i corpi sepolti in fosse comuni nello stesso luogo, vicino alle sponde del fiume. Alle esecuzioni delle condanna a morte parteciparono anche militi della MVSN ed elementi del fascista “Reggimento Volontari Friulani Tagliamento”, (successivamente denominato “Reggimento alpini Tagliamento”), di fatto dipendente dal comando tedesco.

La sede del comando tedesco di Cividale era una sorta di Tribunale Speciale locale, la cui documentazione fu completamente distrutta dai tedeschi prima di abbandonare la città. La presenza e soprattutto l’uso di tale tribunale conferma che la città di Cividale del Friuli fu luogo di un importante centro repressivo messo in atto dal supremo commissario Reiner (assieme ed in rete alle tristemente note Risiera di S. Sabba a Trieste e alla Caserma “Piave” di Palmanova) nel tentativo di stroncare la forte Resistenza nell’Adritisches Küstenland annesso al Reich tedesco.

I tre comandanti del plotone corazzato del Karstjäger di stanza a Cividale del Friuli – SS Oberscharführer Cavagna, tedesco nonostante il nome; gli SS Unterscharführer Dufke e Walter –posano davanti a un carro armato P40 nella caserma “Principe di Piemonte”. Questi ufficiali decretavano e partecipavano alle fucilazioni

Alcuni anni fa il compianto professor Luigi Raimondi Cominesi (Volontario del 1° Reggimento Motorizzato, sottotenente del Corpo Italiano di Liberazione, poi insegnante, poeta e scrittore) pubblicò il libro “Poesie di Lotta e di Speranza – Frammenti dal 1944 al 2009”, dedicando una delle liriche alla tragica fucilazione nel campo sportivo di Cividale del Friuli. Riportiamo il testo e il commento di Raimondi Cominesi.

“IL CAMPO SPORTIVO”

Dove ora veniamo a parlare

delle giovani vite perdute

passava sui fucilati, ridendo

sparando loro alla testa

un tenentino, un bravo ufficiale

della nera repubblica sociale.

– Ma come che ‘e s’ciopa ben

ste suche de i banditi taliani –

diceva ridendo, ridendo sparava.

Il Campo Sportivo di Cividale

era vuoto a quell’ora, in dicembre.

I colpi

scatenavano cornacchie maldicenti.

Ancora piangiamo lacrime scure.

Come di sangue.

Ssiiilenzio…

«La testimonianza su questa crudele esecuzione e sull’ufficiale fascista, un vicentino, mi è stata rilasciata – spiegava Raimondi Cominesi – da Jadran Terpin partigiano dell’O.F. di Vipolce, Repubblica Slovena, fratello di Stojan, fucilato il 18 dicembre 1944 a Cividale con altri sette partigiani originari da Cormons, da Aquileia, da Palazzolo dello Stella, da Saciletto, due (uno, ndr) da Messina e due da altre località, ora nella Repubblica Slovena.

La poesia è stata scritta nel 1988. Una recente versione “sperimentale”, non pubblicata, richiede un accompagnamento sonoro e ha delle mutazioni sul testo qui presentato.

I cognomi di etnia “slava” dovrebbero essere corretti e trascritti nella loro forma originaria, anche perché, nella Repubblica Italiana, la “mescolanza” dei Caduti indica la internazionalità della Resistenza nelle nostre zone, parti integranti della nuova Europa libera. Il padre di Terpin era nella Organizzazione Clandestina Antifascista Slovena, ancora prima del settembre 1943, quando Vipolce si chiamava Vipulzano e faceva parte della Provincia di Gorizia.

Mario Fantini, che andava a comperare delle derrate alimentari per la mensa operai dei Cantieri di

Monfalcone, si incontrò casualmente con i Terpin a causa di una ferita procuratagli dal ribaltamento del motocarro “pieno di ciliegie” acquistate nel Colilo goriziano. Fu curato e cominciò a frequentare i Terpin.

Fu così che ebbe i primi contatti con la Resistenza slovena, con l’O.F. Anche la famiglia di Mario Modotti fu sfollata a Vipulzano, per timore dei bombardamenti dei cantieri di Monfalcone. Mario Fantini diventò il partigiano “Sasso”, poi Comandante della Divisione d’Assalto Garibaldi “Natisone” che combatté in Italia e in Slovenia.

Mario Modotti fu, più tardi, “Tribuno” Comandante della Brigata unificata Ippolito Nievo A, formata da garibaldini e osovani, che combatté nella Valcellina e nella Val Còlvera.

“Sasso” e “Tribuno” erano cognati, la moglie di “Sasso”, Gigia, aveva come nome di battaglia “Pietra”».

Luciano Marcolini Provenza, Anpi di Cividale del Friuli