Secondo alcune fonti, sarebbe nella black list del ministero dell’Interno anche il Cara di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, dove l’11 gennaio scorso sono stati accolti i 51 profughi curdi, alla deriva su una barca a vela, salvati dalla Comunità di Torre Melissa, cittadini, volontari, carabinieri. Il centro calabrese, tra i più grandi d’Italia, potendo ospitare fino a 1.200 persone, finì sotto la lente della magistratura e sono in corso due mega processi. Ora però sembrerebbe tutto cambiato. «Una struttura eccezionale, organizzatissima, dotata di ogni servizio e personale efficiente e molto molto solidale», aveva raccontato a Patria il sindaco di Melissa, Gigi Murgi.
Da Castelnuovo di Porto, nel Lazio, gli ospiti a cui il decreto sicurezza concede un riparo, pochi, potrebbero essere trasferiti In Calabria, per gli altri il futuro è la strada.
La generosità di Torre Melissa aveva commosso il Paese. «Un soccorso spontaneo – dice Mario Vallone, presidente provinciale dell’Anpi Catanzaro –. È stato un gesto di grande umanità verso il prossimo, da vivere come una lezione per quanti ancora si ostinano a parlare di respingimenti e porti chiusi». Non ha avuto invece risonanza mediatica lo sbarco della scorsa estate e lo slancio generoso dei cittadini di Isola Capo Rizzuto. «La narrazione mainstream vuole che si parli di Calabria solo per la n’drangheta e il malaffare – continua Vallone – invece c’è una generosità diffusa che potrebbe divenire modello per l’Italia, una regione povera che accoglie i suoi fratelli poveri senza guardare alla nazionalità».
In Calabria c’è una grande storia di solidarietà. Il primo sbarco di migranti, erano in centinaia sulla nave Ararat incagliata, avvenne nel dicembre 1998, più di vent’anni fa, a Badolato. La popolazione dell’intero soveratese si prodigò in aiuti, ospitalità e assistenza. Ad Acqua Formosa, Squillace, Gioiosa Ionica, Carlopoli e in tantissimi altri borghi avvenne lo stesso. Negli anni successivi, proprio grazie a quegli arrivi, riaprirono scuole, case, botteghe di artigiani chiuse dai tempi del grande esodo degli anni 50 e 60 che portò i calabresi senza lavoro verso le Americhe. La maggior parte di loro non fece più ritorno in Italia. Solo più tardi ci fu Riace, con nuovo modo di intendere l’accoglienza. Ma nel frattempo altri paesi della Regione avevano colto l’occasione per ripopolare luoghi abbandonati destinati a scomparire, letteralmente. Anche dalla memoria. La terra calabrese non a caso voleva mantenere un rapporto forte con un passato fortemente ispirato ai valori democratici. «In Calabria ha pagato un prezzo altissimo l’opposizione al fascismo; – spiega Vallone – a San Giovanni in Fiore, provincia di Cosenza, avvenne una delle prime stragi dopo la marcia su Roma. La milizia sparò sui contadini. Erano in 2.000 ad una manifestazione, spontanea e popolare, per protestare contro il dazio sul grano. Morirono cinque persone, fra cui una donna incinta al quinto mese, i feriti furono 18, alcuni in modo molto grave». A Casignana, nel reggino, Mussolini non era ancora arrivato al potere – era il settembre del ’22 – sui braccianti guidati dal sindaco spararono gli emissari dei latifondisti: tre morti e sei feriti gravi. Il gerarca Giuseppe Bottai si precipitò per complimentarsi con gli assassini.
L’Anpi Catanzaro ha avviato più progetti per recuperare quella memoria: «La gente di quei paesi era intristita. Tutti i giovani erano andati via e i vecchi vedevano sparire per l’incuria targhe, cippi, stele. Recuperare la memoria delle lotte era importantissimo e spesso abbiamo avuto il sostegno delle amministrazioni». Le stragi di contadini hanno costellato la Calabria anche nel secondo dopoguerra, durante le lotte per la riforma agraria. Come a Torre Melissa: l’eccidio di Fragalà, nome del fondo di un possidente della zona.
All’alba del 29 ottobre 1949, con premeditazione accertata, i celerini spararono sulla folla di contadini. C’erano donne, giovani e anche bambini. I morti furono 3, tantissimi i feriti. Qualche anno fa, il Comitato provinciale Anpi di Catanzaro in collaborazione con l’Uisp e il Comune dedicarono un progetto a quegli eventi e si recarono più volte sul luogo. «Su quella strage era calato il silenzio – ricorda il presidente Vallone –. Il grande pittore Ernesto Treccani si era trasferito da Milano a Melissa e con i quadri e le sue foto aveva saputo raccontare la vita di quei contadini e delle classi subalterne, era un patrimonio inestimabile che rischiava di andare inesorabilmente perduto. Insieme al sindaco Murgi, all’assessore Maria Teresa Lonetti e all’intera giunta abbiamo fatto un gran lavoro. Ora c’è un museo frequentato da centinaia di studenti». Ecco, la generosità in Calabria è fatta anche di ricerca e consapevolezza, un esempio di impegno civile, pienamente democratico, a cui in molti dovrebbero ispirarsi.
Pubblicato giovedì 24 Gennaio 2019
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