Il 18 ottobre scorso il Comune di Ozieri, provincia di Sassari, su proposta della Sezione Anpi locale ha consegnato in una cerimonia pubblica, al Presidente Nazionale dell’Anpi, ora nominato Presidente Emerito, Carlo Smuraglia, una copia dell’ordine del giorno discusso e votato dal Consiglio comunale nel quale si dichiara Ozieri città antifascista e antirazzista.
Il 31 ottobre il Consiglio comunale di Sassari, sempre su sollecitazione dell’Anpi cittadina, ha discusso e votato un ordine del giorno sostanzialmente identico a quello votato a Ozieri, nel quale si è dichiarata Sassari città antifascista e antirazzista.
In particolare il Consiglio comunale di Sassari impegna “il Sindaco, la Giunta e lo stesso Consiglio comunale: a farsi carico del mantenimento della memoria storica, con iniziative culturali in collaborazione con le istituzioni scolastiche e nei luoghi di aggregazione; a portare il problema dei nuovi fascismi all’attenzione della popolazione e in modo particolare dei soggetti più giovani e vulnerabili dalla mitologia neofascista; a investire in cultura, favorendo le iniziative promosse dalle associazioni che diffondano i valori di libertà, tolleranza e uguaglianza a cui si richiama la Costituzione; a escludere qualunque tipo di presenza o manifestazione sul territorio di Sassari di soggetti che si ispirano al fascismo, esplicitandone i casi suddetti nel regolamento comunale sulla concessione di spazi pubblici; a garantire il rispetto della legalità, promuovendo direttamente azioni legali in caso di violazione delle suddette leggi o di violazione dei divieti espressi dal Comune; a negare il rilascio dell’autorizzazione di occupazione del suolo pubblico ad associazioni che presentino richiami all’ideologia neofascista, alla sua simbologia, alla discriminazione razziale, etnica, religiosa o sessuale, verificati a livello statutario, ove lo statuto è presente, sui siti Internet e sui social network, o dell’attività pregressa o per accertata violazione delle leggi Scelba e Mancino”.
Questi ordini del giorno sono andati ad aggiungersi ad altri di simile tenore discussi e votati in varie parti della Sardegna.
Non si può certo affermare si tratti di una situazione consolidata, ma da un lato essa si sta diffondendo sempre più, dall’altro rappresenta un momento di grande importanza per i cittadini interessati e un punto di riferimento per gli altri Comuni che vogliano seguirne l’esempio.
Perché dobbiamo rivolgere la nostra attenzione ai Comuni?
Molteplici sono le ragioni e tutte importanti.
Il Comune è l’istituzione più vicina ai cittadini, la sua gestione, nel bene e nel male influenza e orienta il comportamento degli amministrati; è l’istituzione chiamata in prima battuta a dare risposte concrete, il suo comportamento non può essere dilatorio o evasivo, i servizi erogati, la loro qualità sono il primo e fondamentale metro di giudizio sugli amministratori: città sporche, trasporti pubblici inefficienti e inadeguati, scarsa sicurezza connotano, nel giudizio dei cittadini/utenti, amministratori e amministrazioni inefficienti e inadeguati, allontanandoli sempre di più dalla partecipazione alla vita democratica.
In un Paese come l’Italia fatto di migliaia di Comuni piccoli e medi il Sindaco, gli Assessori e i Consiglieri comunali rappresentano altrettanti punti di riferimento per i cittadini che, nel bene e nel male, diventano i destinatari della insofferenza popolare, o peggio, come accade nella nostra regione, bersaglio di attentati e intimidazioni che mettono a repentaglio la vita e i beni degli eletti a cariche pubbliche.
Giusto per smentire il mito della Sardegna esente dalla presenza mafiosa, deteniamo il poco invidiabile primato nazionale di attentati a pubblici amministratori.
Lo è in condizioni di normalità, in assenza cioè di fatti eccezionali siano essi positivi o tragici, lo diventa ancora di più nei momenti di difficoltà e/o di tragedia di un Comune; in quei momenti la comunità si stringe intorno alla sua istituzione più vicina, chiede di essere protetta e aiutata ed è in quei momenti che gli amministratori diventano il primo e spesso anche l’unico rappresentante dello Stato.
Ecco allora il senso del richiamo dell’articolo 54 della Carta Costituzionale ai cittadini investiti di cariche pubbliche ad “adempierle con disciplina ed onore” osservando le leggi e la Costituzione.
I tempi che stiamo vivendo non facilitano loro il compito e proprio per questo pensare e agire da antifascisti e sinceri democratici può fare la differenza nel rapporto con gli amministrati.
Il problema dei migranti, quello delle nuove povertà, la precarizzazione del lavoro e la diseguaglianza che aggrediscono con sempre maggiore ferocia se non affrontati con spirito di solidarietà e di mutuo soccorso, aprono la strada al razzismo, all’intolleranza verso tutte le diversità, all’indifferenza.
La conformazione della società così come si è venuta determinando negli ultimi due decenni assegna agli amministratori locali compiti e funzioni nuove; la distruzione o la marginalizzazione dei corpi intermedi della società, come i partiti e i sindacati, ha fatto venire meno fondamentali momenti di socializzazione e riflessione collettiva, lasciando gli individui in balia di un oceano di informazioni elettroniche che non sono in grado di gestire e molti neanche di comprendere, soli a combattere sfide con soggetti ben più forti di loro, culturalmente ed economicamente.
Per queste ragioni un sindaco non può e non deve essere imparziale, un sindaco che rispetta la Costituzione è un sindaco antifascista e antirazzista e non può operare che di conseguenza; per questi motivi non è imparziale.
Perciò il sindaco dovrà necessariamente dotarsi, sulla base di quanto consentito dalla legge, di strumenti che gli consentano di amministrare democraticamente.
Certo non sarà una “legislazione amica” perché questa è competenza dello Stato, ma una “regolamentazione amica” è possibile predisporla ad iniziare dagli Statuti comunali.
Dal nostro punto di vista lo Statuto comunale non può non richiamare la nostra Costituzione e la Carta dei Diritti Universali dell’Uomo e fare esplicito riferimento alla XIIª Disposizione Transitoria della Carta sul divieto di ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista non rappresenta certo un di più; come non sono un di più richiamare i valori della pace e della convivenza pacifica tra i popoli e la negazione della violenza in qualsiasi forma si manifesti; come non rappresenta un di più assegnarsi in Statuto il compito di promuovere nel proprio Comune la cultura del rispetto delle persone, delle etnie, delle idee considerando le differenze e le diversità un valore per tutta la comunità.
Il Comune e i partiti democratici presenti in Consiglio comunale, proprio perché espressione e interpreti della realtà locale, possono essere determinanti per superare quel deleterio comportamento delle Commissioni Elettorali Mandamentali che, nel certificare la regolarità delle liste elettorali, limitano la verifica alle firme raccolte e a pochi altri adempimenti burocratici.
Infatti a livello locale si conoscono gli atti e i fatti di gruppi, movimenti e singoli individui, e le istituzioni locali e i partiti democratici che ne fanno parte devono denunciare questi atti e fatti e comportamenti e farli pesare; per esempio tutto ciò dev’essere considerato quando si discute e si decide se accogliere o meno una lista di CasaPound o di altre organizzazioni che in modo palese od occulto si richiamano al fascismo.
Lo Stato antifascista lo si vede all’opera già al livello comunale; se non opera a quel livello significa semplicemente che non opera a nessun livello.
Per questo è opportuno riprendere in mano il documento unitario “per uno Stato pienamente antifascista” prodotto dall’Anpi e dall’Istituto Cervi e consegnato alle massime cariche dello Stato.
Le proposte di quel documento tutelerebbero efficacemente, se accolte e attuate, gli “interessi” e le attività dell’ANPI e di tutte le associazioni che fanno un lavoro assimilabile al nostro.
In quel documento ci sono tutte le proposte per produrre quella “legislazione amica” che consentirebbe di fare quel salto in avanti che tutti auspichiamo, ad iniziare da un esplicito riferimento al finanziamento della democrazia.
In Sardegna esiste una legge – la 56 del 1986 – che finanzia, o almeno dovrebbe, le Associazioni partigiane sarde. Nel 2016 il finanziamento all’ANPI è stato di 6.666 euro.
È importante che questa legge ci sia, altrettanto importante sarebbe un finanziamento degno di questo nome, senza togliere nulla a nessuno, sapendo che queste risorse vanno a sostenere la memoria, a ricostruire la storia dei sardi che hanno partecipato alla Resistenza, a divulgare i valori contenuti nella Carta.
Sarebbe oltremodo utile, per parte nostra, andare a vedere se tutti gli Statuti comunali contengono quelli che riteniamo essere gli indirizzi irrinunciabili per un Comune antifascista: il richiamo alla Costituzione, alla pace, alla difesa della dignità della persona, alla non violenza, alla cultura, alla cura e alla difesa della memoria della Lotta di Liberazione e dei protagonisti che l’hanno resa possibile: le partigiane e i partigiani combattenti prima di tutto, insieme a tutti coloro che con il loro operare disarmati hanno dato sostegno e conforto a quanti combattevano.
Qualora riscontrassimo carenze e/o omissioni sarebbe nostra cura intervenire per porvi rimedio.
Questo potrebbe essere una parte del nostro lavoro nei prossimi mesi.
Quanto sia importante avere una “legislazione amica” lo abbiamo visto quando abbiamo firmato il Protocollo con il MIUR; la nostra attività nelle scuole – parlo dell’esperienza regionale sarda – da episodica è diventata routinaria e la nostra presenza negli istituti è un fatto consueto, diffuso e consolidato.
Certo, affidarsi esclusivamente alle leggi di sostegno rischia di essere molto limitante e soprattutto illusorio.
Quanto accade nel nostro Paese, il rialzare la testa di tutta la galassia nera ci deve preoccupare e interrogare.
Qualcosa è successo se intere periferie, soprattutto nelle grandi città, sono finite in mano alla destra xenofoba e fascista.
Qualcosa è successo se questa entra, con numeri preoccupanti, nei Consigli comunali e dove non entra orienta il voto di migliaia di cittadini e determina la vittoria o la sconfitta di questa o quella coalizione.
È successo che i partiti popolari, che ormai non ci sono più, si sono ritirati dal territorio, hanno cambiato pelle, si sono rinchiusi nei palazzi dove si governa la cosa pubblica, hanno abbandonato le vecchie strutture organizzative senza sostituirle, sono diventati cosi leggeri da essere evaporati e lo hanno fatto nel momento peggiore della storia moderna del nostro Paese, nel pieno di una crisi economica e sociale devastante che nonostante i proclami continua ancora a mordere, hanno prodotto un vuoto politico che è stato riempito da destre e populisti.
Può l’Anpi surrogare i partiti assenti? No!
L’Anpi non è un partito, l’abbiamo detto tante volte ed è opportuno precisarlo.
Non è neanche un sindacato e non vuole diventarlo.
La nostra identità è chiara: l’articolo 2 dello Statuto stabilisce inequivocabilmente chi siamo e cosa facciamo; abbandonare la nostra missione di custodia e difesa della storia della Resistenza, degli uomini e delle donne che l’hanno resa possibile, smettere di chiedere il rispetto e l’attuazione della Costituzione porterebbe la nostra Associazione alla sua dissoluzione nel volgere di un breve lasso di tempo.
Al contrario dobbiamo pretendere che lo Stato in tutte le sue articolazioni e in modo particolare la scuola torni ad occuparsi del suo territorio e della gente che ci vive, dell’ambiente, dei disoccupati, degli emarginati, dei giovani soprattutto.
Dobbiamo pretendere che i partiti, soprattutto quelli a cui abbiamo guardato con favore, tornino a fare il mestiere di attori sociali, formino ed informino le persone, si occupino dei veri problemi del Paese e soprattutto la smettano di essere dei comitati elettorali che danno segni di vita solo in previsione delle elezioni.
Come il vuoto non è stato prodotto in una notte o in un anno, così la ricostruzione del tessuto sociale del Paese avverrà in un tempo misurabile in generazioni, se mai si avrà voglia e volontà di farlo.
Noi dobbiamo continuare a operare tenendo ben fermi i nostri punti di riferimento: la lotta di Liberazione e la Costituzione.
In Sardegna abbiamo sottoscritto un Protocollo d’Intesa con l’Anci Sardegna per fare opera di sensibilizzazione verso i Comuni isolani sui temi dell’antifascismo, del recupero della memoria e la valorizzazione delle partigiane e partigiani sardi.
Onestamente non ha dato grandi risultati, ma rappresenta comunque un importante punto di partenza, meglio di ripartenza.
È nostro intendimento chiedere un incontro alla nuova dirigenza regionale dell’Associazione dei Comuni per verificare le condizioni per un’adozione su vasta scala dell’ordine del giorno votato a Ozieri e Sassari e cogliere l’occasione per aprire con le istituzioni locali una interlocuzione che abbia come obbiettivo minimo la generalizzazione della celebrazione delle giornate del 25 Aprile e 2 Giugno.
L’Anpi in Sardegna è stata costituita a partire dal 2010, un grande merito dobbiamo attribuirlo al compianto Luciano Guerzoni, sarebbe un importante risultato se in occasione del decennale la grande maggioranza dei Comuni sardi deliberassero l’adesione ai valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dei principi fondanti della Costituzione.
Piero Cossu, Presidente Anpi Sassari e componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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