È nostra ferma convinzione che tutte le sezioni dell’Anpi debbano “far rete” (come si usa dire oggi), cioè collegarsi, collaborare, sostenersi concretamente in questi tempi in cui, secondo alcuni che negano persino l’evidenza, non ci sono più fascisti in circolazione! Per questo, consideriamo importanti le trasferte della nostra Anpi di Mondovì, che si reca a visitare – secondo una bella tradizione inaugurata dall’amico Mauro Pettini – altre sezioni della nostra Associazione, conciliando il tributo ai partigiani dei diversi luoghi con altri significativi aspetti culturali.
Così sabato 28 e domenica 29 settembre siamo stati a Parma, città insignita il 9 settembre 1947 della Medaglia d’Oro al Valor Militare per la guerra di Liberazione, e poi Salsomaggiore, decorata il 9 maggio 1994 con Medaglia di Bronzo, e infine Busseto.
Accolti con calorosa amicizia dal presidente del Comitato provinciale di Parma, Aldo Montermini, ci siamo subito immersi nelle vicende storiche della città, che sin dal 1922 ha manifestato il suo fiero antifascismo.
Davanti al Monumento alle Barricate lo storico William Gambetta ci ha raccontato con coinvolgente passione e rigore argomentativo una pagina di storia che dovrebbe essere ancora più conosciuta, soprattutto dai giovani.
Dopo una sintetica spiegazione di cosa è l’Oltretorrente – nel sec. XIII il quartiere dei servi della gleba, rimasto poi la zona popolare di Parma – Gambetta ha illustrato lo sciopero legalitario del 1° agosto 1922, organizzato in tutta Italia dall’Alleanza del lavoro (la coalizione promossa in quell’anno da tutti i sindacati di sinistra) per protestare contro lo squadrismo fascista.
Si rivelò, purtroppo, un fallimento (Turati lo definì “la Caporetto del movimento operaio”), ma dette origine ai “fatti di Parma”, con protagonisti gli Arditi del Popolo, veterani ex militari della Grande guerra, al comando di Guido Picelli, tra i primi antifascisti che protessero la popolazione dalla violenza fascista, e la locale Legione proletaria “Filippo Corridoni”.
Furono giorni di vera e propria battaglia nelle strade cittadine, con la gente dell’Oltretorrente sulle barricate a combattere contro i fascisti, che per aver ragione dei loro avversari mobilitarono migliaia di militi. A nulla servì però neppure l’arrivo da Ferrara di Italo Balbo (già esponente di spicco del Pnf): il 6 agosto i fascisti si ritirarono.
Bisogna rimarcare che tutto ciò avvenne qualche mese prima della marcia su Roma (il 28 ottobre di quello stesso anno).
Una volta preso il potere, il fascismo attuò tutte le strategie possibili per cancellare il ricordo di quei fatti e per tentare una sorta di pacificazione: con quest’intenzione venne infatti eretto il Monumento a Filippo Corridoni, socialista interventista morto in trincea a S. Martino del Carso il 23 ottobre 1915. Il monumento, collocato all’inizio dell’Oltretorrente, voleva comunicare al popolo parmigiano che in fondo c’era una sostanziale comunanza tra i suoi eroi e il fascismo, senza tuttavia calcare troppo la mano e mettendo solo dietro il monumento un piccolo fascio littorio, subito rimosso dopo il 25 luglio 1943.
L’opera davanti cui abbiamo sostato più a lungo e dove abbiamo deposto un nostro omaggio floreale è il Monumento al Partigiano, eretto nel giugno 1956. Tre sono gli elementi che lo compongono, costituendo una sorta di narrazione ben ripercorsa dalla nostra competente guida: il muro della fucilazione, costruito coi mattoni del Palazzo della Pilotta, bombardato durante la guerra; il partigiano fucilato, con le mani legate dietro la schiena da fil di ferro: è il simbolo della Resistenza in città, del movimento clandestino e vuol ricordare tutti i Caduti per mano della barbarie fascista; ma soprattutto il giovane partigiano armato, figura eretta e protesa in avanti, immagine della Resistenza che ha vinto, ha reso possibile la Liberazione nazionale ed è e resta garanzia di un futuro migliore.
Fu inaugurato il 30 giugno 1956 alla presenza di una folla immensa e del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi; nel 1961 fu oggetto di un attentato neofascista, venne fatto esplodere del tritolo che danneggiò la statua del partigiano a terra: una volta restaurato, l’originale venne trasferito nel locale cimitero della Villetta e al suo posto è stata messa una copia.
Ascoltare il racconto di questi fatti, riflettervi sui luoghi dove sono accaduti, meditare accanto a monumenti dal forte impatto emotivo sono esperienze intense, che vale assolutamente la pena di fare e di proporre a quanti hanno sensibilità etico-civile.
Un altro momento indimenticabile è stato al pomeriggio, a Salsomaggiore, quando, in compagnia dell’amica Patrizia Mainardi, presidente della locale sezione Anpi, abbiamo sostato davanti al Monumento alla Resistenza, realizzato dallo scultore Louis Molinari e inaugurato nel 2004. Un’opera, quindi, molto recente, dalla simbologia essenziale, tre colombe portafiori che alludono a quella pace ottenuta a prezzo di tanto sangue; ma le colombe sono in volo, a indicare anzitutto la libertà conquistata. Ed è al pari importante la targa accanto, che reca incisa questa frase di Giacomo Ferrari, nome di battaglia “Arta”, il Comandante unico delle formazioni partigiane del parmense: “I nostri caduti non sono morti/sono un fuoco che brucia/un faro che illumina/sono la fiamma viva/della passione italiana. Con questa luce non potremo perderci. Avanti, amici!”.
Monumento e targa ricordano e celebrano i 64 Caduti di Salsomaggiore: anche qui abbiamo depositato commossi un nostro omaggio floreale.
Con questa luce non potremo perderci: speriamolo davvero, anzi facciamo di tutto perché sia così. Oggi qualcuno si sta adoperando per spegnerla, invece, questa luce, per rimuoverla. Dobbiamo assolutamente vigilare e “resistere” a questa subdola, pericolosissima operazione.
Abbiamo provato un’altra forte emozione davanti al Monumento ai Caduti di Busseto: collocato al centro di una zona verde, lo si raggiunge attraverso un sentiero dove sono indicazioni i “luoghi di morte” della Seconda guerra mondiale (dalle Barricate di Parma a Guernica; da Cefalonia alle Fosse Ardeatine; da Dachau a Marzabotto). Fu edificato nel 1975, per il trentennale della Liberazione; non ha nessun simbolo, ma sulla targa si può leggere questa affermazione di P. Calamandrei:
“Era giunta l’ora di resistere. Era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”. Parole scolpite nella pietra, che dovrebbero anche restare nelle menti e nelle coscienze di noi uomini del 2019.
Anche a Busseto siamo stati accolti con grande cordialità dall’amico Adriano Concari: con lui, come con Aldo e con Patrizia, scambio di libri e di pubblicazioni, materiale prezioso che leggeremo e metteremo a disposizione nella nostra sede di Mondovì.
Oltre alla Resistenza, anche altri sono stati gli obiettivi che ci eravamo prefissati in questo viaggio: la visita ai luoghi verdiani, per meditare su un genio che tutto il mondo ci invidia e fu anche un grande patriota, inscindibile dalle vicende del Risorgimento. Non potevano mancare naturalmente ripetuti “incontri” con la straordinaria cucina locale, autentica delizia per tutti noi che certamente siamo rientrati a casa con qualche chilo in più.
Voglio ancora osservare che in molti casi i luoghi conservano meglio dei libri e dei film la memoria dei tempi. Visitarli è imparare con maggiore coinvolgimento cos’è stato il nostro recente passato: un tempo di infamia e di violenze, ma anche un tempo di riscatto e di lotta contro l’ingiustizia e la dittatura.
Ci dobbiamo vergognare perché da noi è stato possibile il fascismo; ma dobbiamo essere orgogliosi perché da noi ci sono stati coloro che l’hanno avversato e l’hanno sconfitto. E ci hanno permesso, col loro sangue e la loro lotta, di vivere oggi in una libertà allora impensabile.
Non solo non dobbiamo mai dimenticarlo, ma anzi sostenerlo a voce ferma di fronte a chi racconta in modo artefatto tutta un’altra storia.
Stefano Casarino, vicepresidente Comitato provinciale Anpi Cuneo e presidente della sezione Anpi di Mondovì
Pubblicato giovedì 31 Ottobre 2019
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