Si può anche tentare – per superficialità, per stupidità, per assoluta malafede – di rimuovere il passato, di cancellarlo, di darne delle versioni di comodo, edulcorate o artefatte. Ma la verità riemerge lo stesso, quasi sempre, anche a distanza di tempo.
Dal 26 aprile 1945 al 18 settembre 2019: ci sono voluti ben 74 anni per tributare la pietà e l’onore del ricordo a otto vittime di un folle crimine fascista, avvenuto a Cuneo.
Un’atroce beffa, quando già era stata proclamata la Liberazione e l’esercito di occupazione tedesco era in piena rotta.
Ecco i nomi di questi Martiri:
- Appelbaum Armand Moise, nato a Varsavia (PL) 11/09/1911, residente a S.Martin Vésubie (F), commerciante;
- Futtermann Bernard, nato a Varsavia (PL) 03/03/1903, residente a S. Martin Vésubie (F), commerciante;
- Futtermann Marcel, nato a Parigi (F) 15/10/1927, residente a S.Martin Vésubie, studente di diciotto anni;
- Giordano Biagio, nato a Cuneo 26/04/1924, residente a Cuneo, operaio;
- Joseph Georges, nato in Lussemburgo 19/09/1924, residente a S.Martin Vésubie, studente di ventun anni;
- Korbel Hugo, nato a Vienna (A) 05/09/1894, residente a S.Martin Vésubie, commerciante;
- Schwarz Siegfried, nato a Vienna (A) 15/10/1902, residente a S.Martin Vésubie;
- Terrazzani Francesco, nato a Pola 15/10/1892, residente a Moretta (CN), maestro elementare, partigiano.
Abbiamo ricostruito i fatti – grazie al lavoro di alcuni storici (Danielle Baudot, Susan Zuccotti, Alberto Cavaglion) e dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo (gli amici Gigi Garelli e Michele Calandri) – e possiamo leggere in tutta chiarezza quest’ennesima pagina di infamia della nostra storia recente, che va letta a voce alta per farla almeno ascoltare a chi oggi sta spacciando il fascismo come un regime che fece anche cose buone.
Otto persone, sei ebrei, un partigiano e un semplice civile, un operaio, furono prelevate dal carcere da una banda di fascisti in fuga, caricate su un camion e fucilate alla base della quinta arcata del Viadotto Soleri di Cuneo.
Unico motivo: la furia omicida, la violenza della ritorsione e della vendetta compiuta da chi si sentiva ed era sconfitto, contro i propri nemici, anzi contro le proprie vittime. Non un’esecuzione, ma un pluriomicidio, una strage.
Per suggellarne la verità storica e per risarcire almeno con essa quei morti innocenti, nel pomeriggio di mercoledì 18 settembre a Cuneo è stata scoperta una targa in via Borgo Nuovo e si è tenuta una significativa cerimonia.
In rappresentanza del Comune di Cuneo, l’assessore Mauro Mantelli ha appunto definito l’avvenimento come “una carneficina legata alla vendetta di chi stava perdendo la guerra” e ha stigmatizzato l’antisemitismo di cui anche molti, troppi italiani si sono macchiati, almeno dalla sciagurata emanazione delle leggi razziali (1938) in poi, spazzando così via il comodo e del tutto falso luogo comune di “italiani brava gente”.
Densi di importanti riflessioni i due brevi, incisivi interventi che si sono succeduti. Il primo, di Gigi Garelli, direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, ha rimarcato il carattere “gratuito ed efferato” delle violenze commesse dai nazifascisti in fuga, la loro perversa volontà di “punire” chi non si era piegato ai loro voleri e ha opportunamente messo in guardia sul pericolo, attualissimo, “che si annida anche nell’indifferenza dei buoni”.
Franco Revelli, dell’Anpi di Cuneo, ha posto l’accento sul rischio che ciò che è successo si possa ancora ripresentare, sia pure in forme diverse, e ha individuato due saldi baluardi nell’impedire ciò: l’Unione Europea, oggi oggetto di troppe critiche ma comunque garante di più di settant’anni di pace nel vecchio continente; lo Stato d’Israele, che è – comunque se ne voglia valutare la recente politica – una democrazia in grado di garantire libere elezioni e libero avvicendamento dei partiti al governo.
È stato giusto ricordare Israele, perché proprio da lì sono venuti alcuni parenti delle vittime del massacro di Cuneo, come ha ricordato Joelle Hansel, directrice de programme au Collège International de philosophie di Parigi, nel suo bellissimo discorso conclusivo.
Hansel si è soffermata sull’odissea della sua famiglia, in particolare del nonno Hermann Armand Moïse Herz Epelbaum e di altri parenti trucidati nel posto in cui è stata scoperta la targa commemorativa. Odissea iniziata nel 1940 dalla Parigi occupata dai tedeschi: prima tappa Nizza, poi Saint Martin Vésubie in Provenza, “seguendo la stessa rotta delle centinaia di ebrei fuggiti da Nizza”, e infine la zona di Cuneo, dove poi vennero arrestati a causa della delazione di un’amica italiana dell’appena diciottenne Marcel Futtermann, nipote di suo nonno. Arrestati a Cornaletto il 12 aprile, furono portati nel carcere di Cuneo e rinchiusi assieme agli altri tre ebrei che poi saranno fucilati con loro.
Solo negli ultimi tre anni si è fatta chiarezza sui Giusti di Saint Martin Vésubie, che avevano accolto, protetto e nascosto gli ebrei durante la guerra, e sul percorso di questa famiglia attraverso le Alpi per passare dalla Francia all’Italia e all’atroce epilogo della vicenda, di “questo ignobile crimine” che sembrava “fosse stato dimenticato” e del quale, però, resta traccia negli atti amministrativi recentemente ritrovati.
Voglio rimarcare due affermazioni di Joelle Hansel. La prima sull’assoluta unicità della Shoah: “Gli ebrei sono stati perseguitati nel corso di tutta la loro storia, ma hanno sempre avuto la possibilità, quando sono stati espulsi da un Paese, di rifugiarsi in un altro. Invece, i nazisti hanno negato agli ebrei qualsiasi possibilità di rifugio: li hanno inseguiti per sterminarli ovunque fossero, anche in un piccolo villaggio nel profondo dell’Italia e persino negli ultimi giorni di guerra”.
Verità storica, spietatamente atroce, da non dimenticare mai. E i fascisti italiani hanno attivamente collaborato in ciò.
La seconda riguarda il presente: i discendenti di Hermann Epelbaum oggi vivono in Israele, partecipano “alla vita dello Stato ebraico che nostro nonno, i cinque ebrei che sono morti con lui e i milioni di ebrei sterminati dai nazisti, non hanno avuto la possibilità di vedere”.
Sono una famiglia numerosa, tanti nipoti e pronipoti, ai quali sarà tramesso il ricordo del nonno e a loro volta “lo trasmetteranno alle generazioni future affinché non venga mai dimenticato”.
Su questa asserzione concludo: il presente e il futuro sono più forti e più belli di quell’orrendo passato; la criminale follia nazifascista non ha prevalso. E non potrà mai più prevalere, solo però se continueremo a tenere vivo il ricordo della verità storica e a vigilare con attenta determinazione perché in nessuna forma si ripeta quanto di più aberrante è accaduto nella storia dell’intera umanità.
Stefano Casarino, presidente sezione Anpi di Mondovì (Cuneo)
Pubblicato mercoledì 27 Novembre 2019
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