Sono passati pochi giorni dalla visita del presidente turco Erdoğan in Italia e in Vaticano, i bombardamenti dell’esercito di Ankara sulla enclave curda di Afrin nel nord della Siria continuano e l’interesse per le gesta dei combattenti delle milizie Ypg – per intenderci, coloro i quali hanno combattuto contro l’Isis e hanno opposto resistenza durante l’assedio di Kobane e non solo – sembrano sopiti.
Ma facciamo un passo indietro. Nel caos siriano di questo inizio anno, in una guerra che dal 2011 ha devastato il Paese o quel che ne è rimasto, a metà gennaio gli Stati Uniti annunciano la creazione di una forza militare di 30mila unità composta anche da combattenti curdi da schierare al confine tra Siria e Turchia allo scopo di evitare il ritorno dei jihadisti in Siria. Prontamente la Turchia lancia un’operazione militare su Afrin, un territorio controllato dai curdi nel nordovest della Siria, con l’obiettivo di eliminare i gruppi armati sempre curdi che il governo di Ankara considera terroristi e quindi una minaccia alla sua sicurezza.
Con l’operazione denominata “Ramo d’ulivo”, che la Turchia ha avviato nella regione di Afrin, in pratica si vuole impedire ai cantoni curdi del Rojava – la regione autonoma creatasi durante la guerra civile in Siria – di unirsi e quindi costituire in futuro un’entità autonoma e compatta al confine turco. Ankara in questo progetto dal notevole sforzo militare sta utilizzando anche 25mila soldati dell’Esercito siriano libero, cioè la milizia che combatteva contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad e che oggi è diventato un gruppo mercenario. Il bersaglio dell’offensiva militare turca non sono solo i guerriglieri del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, sulla lista delle organizzazioni terroristiche di Usa e Ue, ma anche le Unità di protezione del popolo (Ypg) (sempre curde e considerate solo dalla Turchia terroriste, ndr) e le Forze democratiche siriane, una coalizione sostenuta dagli Stati Uniti e formata dalle Ypg e da altri gruppi armati.
Il presidente Erdoğan ha anche dichiarato che con questa offensiva non intende fermarsi alla piccola enclave di Afrin, ma cercherà di spingersi fino a Manbij, una città controllata dai curdi a est di Aleppo.
Oltre alle numerose vittime civili nei primi giorni dell’attacco, l’aviazione turca ha colpito il tempio ittita di Ain Dara, un sito di 3mila anni, celebre per le sue sculture di leoni e sfingi in pietra che secondo molti archeologi sono uniche nell’architettura religiosa della regione. Secondo l’Unesco i villaggi a rischio nella regione di Afrin comprendono resti architettonici di abitazioni, chiese, templi pagani, cisterne e stabilimenti balneari.
La regione di Afrin è piccola e isolata dal resto dei territori curdi: è una enclave di 3.700 chilometri quadrati in cui convivono curdi, armeni, assiri, yazidi, cristiani sfuggiti alla furia del Califfato: Lì oggi vivono 500mila persone, la metà delle quali sono sopravvissute alla guerra, rifugiati e profughi interni. I combattenti che proteggono la zona di Afrin sono gli stessi che hanno liberato Raqqa e altre zone della regione dall’Isis. Sono anche gli stessi che hanno difeso la città di Kobane, diventata un simbolo per l’Occidente – spiega Shiyar Ali, rappresentante del Pyd Svezia, in Italia per denunciare questa offensiva da parte dello Stato turco nel nord della Siria.
Il Pyd è il Partito dell’unione democratica, fondato nel 2003 nel nord della Siria, ed è la principale forza politica del Rojava, la federazione autonoma curda autoproclamatasi durante il conflitto siriano. Dal fronte di Afrin, in un collegamento telefonico molto disturbato, riusciamo a sentire la voce della co-presidente del Movimento della società democratica Asiya Abdulla (nei partiti curdi le cariche elettive sono occupate da un uomo e una donna in condizione paritaria, ndr): «Vorrei solo dire che questo attacco non ha altro scopo che riportare l’Isis o altri gruppi affini su quest’area. Nonostante ciò noi andiamo avanti: resisteremo. Noi non rappresentiamo nessun pericolo né per la Turchia né per altri Stati. Il nostro obiettivo è vivere in pace» spiega la co-presidente, poi la linea si interrompe.
In questa situazione va ricordato che la Turchia è il secondo esercito della Nato e che la guerra in Siria è stata anche una guerra per procura con gli Stati Uniti, l’Iran e la Russia che dovranno accordarsi per il dopo Isis e il governo post-bellico in Siria. La Turchia ha anche, ovviamente, obiettivi politici in Siria e, per garantirsi una certa influenza sulle soluzioni diplomatiche future, deve continuare a coordinarsi con la Russia e con l’Iran senza indispettire troppo gli Stati Uniti, con i quali però i rapporti sono ai minimi storici.
In questo rompicapo geopolitico, a farne le spese potrebbero essere di nuovo i curdi come un secolo fa quando – dopo lo smembramento dell’Impero ottomano – fu promesso loro uno Stato e invece si ritrovarono divisi tra Iran, Iraq, Turchia e Siria.
Le milizie curde sono state utili nella cacciata del gruppo Stato islamico, ma ora potrebbero essere nuovamente sacrificate sull’altare della realpolitik e delle commesse in ambito difesa e ricostruzione post-bellica. Intanto prosegue la mobilitazione popolare: dal resto della regione curda nel nord della Siria, da Jazira (il cantone più a est del Rojava, ndr) è partita una carovana di migliaia di persone diretta ad Afrin. Ad unirsi ai combattenti di Ypg e Ypj (Unità di difesa delle donne, ndr) sono stati anche 400 yazidi iracheni della regione del Sinjar anche perché – secondo quanto riportato dall’Agenzia Nova che ha raccolto la testimonianza di una fonte yazida – il Pkk sarebbe in grado di offrire ai combattenti yazidi uno stipendio di 300 dollari al mese. La regione del monte Sinjar, dove si erano rifugiati migliaia di yazidi, fu liberata dall’assedio Isis nell’agosto 2014 dall’intervento del Pkk.
Secondo Federica Mogherini, alta rappresentante per la politica e la sicurezza dell’Ue, una nuova escalation di violenza può allontanare la possibilità di una soluzione politica del conflitto.
Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi
Pubblicato giovedì 22 Febbraio 2018
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