Mario Tronco, componente della Piccola Orchestra Avion Travel, compositore e pianista (tastiera elettrica), è tra gli ideatori e fondatori dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Direttore artistico e musicale degli spettacoli dell’ensemble multietnico nato a Roma nel 2002 e ormai celebre in tutto il mondo, ci racconta la meravigliosa storia di un progetto che dopo 13 anni ha ancora molto da esprimere. Suonando.
Come è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio?
Da un rapporto sentimentale con la piazza in cui ho scelto di abitare: per amore di Piazza Vittorio e del suo quartiere, il rione Esquilino, dove vivono persone provenienti da tutto il mondo. Nel 2002 con un gruppo di altri artisti e intellettuali fondammo un’associazione, l’Apollo 11, per salvare un cinema in procinto di diventare una sala bingo. Proposi l’idea di trasformare il suono vivace della piazza in un’orchestra. Dopo l’11 settembre 2001 gli immigrati, non solo gli arabi, erano considerati nemici dell’umanità. Erano anche i tempi della legge Bossi-Fini e di una xenofobia dilagante. Noi invece eravamo convinti, e lo siamo ancora, che unire culture diverse produce bellezza.
Esiste anche un film sui primi passi dell’orchestra: presentato a rassegne e festival, ha vinto numerosi premi…
Agostino Ferrente, presidente dell’Apollo 11, è un bravissimo documentarista e ha voluto filmare tutto: dal concepimento dell’idea fino al primo concerto, il 24 novembre 2002, ho avuto una telecamera puntata addosso.
Era il concerto di chiusura del RomaEuropaFestival?
L’Orchestra è nata anche attraverso una “truffa”. Avevamo talmente sparso in giro per Roma la voce di una ricerca di musicisti immigrati che la notizia arrivò alla presidente del Festival, Monique Veaute. Del tutto distorta, però. Era aprile e lei era convinta che l’orchestra fosse già completa. Ci propose un contratto per 21 musicisti. In realtà, eravamo solo tre. Fummo un po’ incoscienti, ma ci offrivano un contratto e firmammo. Per trovare i musicisti mancanti abbiamo dovuto superare diffidenze enormi, ci scambiavano addirittura per poliziotti in borghese a caccia di stranieri senza permesso di soggiorno. Tempi lontani: ora nelle grandi produzioni l’Orchestra conta fino a 60 musicisti.
Avete cominciato finanziati da una sottoscrizione, oggi come vi sostenete?
Solo il primo anno gli associati hanno contribuito personalmente al progetto. Fortunatamente l’Orchestra ha avuto un’attività sempre più intensa e si è quindi autofinanziata con concerti, spettacoli, produzioni. Non abbiamo sovvenzioni pubbliche. L’Orchestra si alimenta tramite la qualità delle cose che fa.
L’OPV ha messo in scena anche repertori d’opera, il Flauto Magico di Mozart e la Carmen di Bizet, ovviamente “secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio”: sono progetti italiani?
Vogliamo sempre sperimentare strade nuove. Un musicista deve essere soprattutto curioso, la tecnica poi si impara. Il Flauto Magico è nato nel 2007 da un’idea di Daniele Abbado ed è ancora un successo italiano e internazionale. Pensiamo di portarlo in tournée anche in futuro. La Carmen, invece, è un progetto francese. I transalpini sono molto all’avanguardia e hanno a cuore la cultura. La produzione è del Festival des Nuits de Fourvière, una sorta di casa dell’orchestra, e dell’Opéra-Théâtre di Saint-Étienne. In Italia ha inaugurato il cartellone a Caracalla l’anno scorso, nella versione operistica, poi abbiamo realizzato uno spettacolo diverso in collaborazione con Mario Martone e, in seguito, un altro del tutto nuovo per l’apertura della stagione 2015-2016 del Teatro Olimpico, prodotto con l’Accademia Filarmonica Romana. Un evento storico per un’istituzione fondata nel 1812.
I vostri spettacoli hanno anche varcato l’oceano, negli Stati Uniti come sono stati accolti?
A New York sapevamo che in platea c’erano Lou Reed e Laurie Anderson, ma dopo il concerto non sono venuti in camerino a salutarci e quindi eravamo preoccupati, temendo che lo spettacolo non fosse piaciuto. Il giorno dopo ci esibivamo in un altro locale. Sono spuntate due persone vestite in maniera stravagante: “Ci hanno chiamato Lou e Laurie – hanno detto – per informarci di questo magnifico concerto, ed eccoci qui”. Li avevano svegliati in piena notte affinché non lo perdessero!
Come si coniuga una partitura classica con la varietà musicale dell’OPV?
L’Orchestra lavora in due modi: innanzitutto è un laboratorio nel quale ogni musicista porta il suo contributo personale, il suo background di suoni, ritmi e melodie. Partiamo da improvvisazioni molto lunghe e poi si dà ordine a idee sparse: un aspetto molto bello dell’OPV è proprio la sua natura anarchica, con piccole e semplici regole necessarie per difenderne lo spirito spontaneo. Per i progetti operistici il lavoro è sia musicale sia sui personaggi, un processo molto intimo. Facciamo assomigliare i personaggi delle opere ai musicisti, per somiglianza caratteriale. In questo modo il pubblico assiste a una verità.
In questi anni siete rimasti sempre coerenti…
Siamo nati per un’iniziativa politica, musicale naturalmente: la folle idea di realizzare un’orchestra multietnica senza finanziamenti pubblici e, dopo 13 anni, il 70% dei musicisti è rimasto lo stesso. Però far avere un permesso di soggiorno stabile resta complicatissimo. Ciò che trovo inaudito è lo stupore delle persone, ancora oggi, nel vedere esibirsi sul palco artisti di 15 nazionalità diverse. Non c’è più niente di nuovo o straordinario in questo, basta camminare per le strade e guardarsi intorno, oppure andare nelle scuole. Siamo come la società reale, semplicemente. Anche se si vuol far finta che non sia così.
Avete mai pensato di fondare una scuola di musica?
Abbiamo appena concluso il progetto A scuola con l’Orchestra di Piazza Vittorio, un’esperienza favolosa. Si è trattato di un percorso formativo dedicato ad alunni delle medie ed elementari della periferia romana. I ragazzi hanno partecipato con enorme entusiasmo: lezioni di “geografia musicale” alla scoperta di musica, storie, luoghi – africani, asiatici, sudamericani – dei Paesi di origine degli studenti. Attraverso gli strumenti e il suono abbiamo raccontato terre lontane, culture e tradizioni a loro addirittura ignote. Sono giovani nati in Italia da genitori immigrati e non hanno mai conosciuto i posti da cui provengono le famiglie. Abbiamo cercato di condividere la nostra idea di musica e la nostra esperienza artistica sperando che possano aprire la mente, lasciare una traccia. Ci sono già un’infinità di altre richieste e in futuro cercheremo di accontentare tutti gli istituti scolastici».
A Roma tra poco partirà il Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco, avete in cantiere qualche progetto per questo evento?
«Sì, s’intitola Credo, è un oratorio interreligioso. Nell’Orchestra si professano quattro religioni diverse: gli italiani sono i più miscredenti, mentre tutti gli altri hanno un forte sentimento spirituale e da sempre desiderano offrire musicalmente il loro punto vista. Abbiamo debuttato al Festival Todos di Lisbona lo scorso settembre. “Io credo” può significare anche “io penso”, ed è molto diverso dal “credere”, concetto assoluto. Vogliamo condividere un dubbio, parte da qui l’idea dello spettacolo.
Dove provate, avete una sede?
Non abbiamo una sede e da 13 anni aspiriamo ad averne una. Le passate amministrazioni capitoline hanno istituito “Case” per la musica, per la cultura, per tutti ma non per noi. Saremmo disposti anche a pagarla, ma non ce l’hanno mai concessa, nonostante Roma possegga tanti luoghi abbandonati che cadono a pezzi.
Qual è il parere del musicista Mario Tronco sull’inno nazionale italiano?
Mi piace. Non le parole, ma la musica sì, perché ben rappresenta il popolo estroverso che siamo.
E Bella ciao?
È commovente, mi fa venire gli occhi lucidi.
Pubblicato venerdì 20 Novembre 2015
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