Un summit di ministri economici, in un residence tranquillo e lussuoso sull’acqua, in Germania. Un lago? Il mare? Non si sa. Il mistero serve all’astrazione apparente di una storia molto concreta.
Ecco lo scenario del film di Roberto Andò che si propone di svelare il sistema occulto incombente sulla società contemporanea. È un giallo metaforico sui nascondigli della piramide che ci sovrasta. I fotogrammi flash e il filo di suspence delle sequenze rimandano alla cupola riflessa nei meandri della globalizzazione. Il potere agisce attraverso movimenti di denaro ragionati e architettati che deviano e spartiscono il flusso della ricchezza decidendo le sorti di Paesi e popoli. È ad esso che milioni di persone inermi devono gli improvvisi uragani di povertà e le perduranti crisi sociali, origine di guerre, terrorismo, catastrofi ambientali.
Tutto parte dall’empireo di pochi che decidono le direttive economiche e monetarie sostenendole con gli agganci politici. Il progetto del profitto secondo la massima “il denaro crea denaro”, indifferente alle distruzioni conseguenti, resta nell’ombra, non percepito dalle masse per l’enorme distanza tra il potere e la gente comune. Dalla sua è l’imbroglio dell’anonimato nelle strutture bancarie e finanziarie e la connivenza delle varie ragioni di Stato. La vicenda filmica demistifica passo passo le trame delle strutture di comando. Nel consesso di rappresentanti convocati per approvare una manovra rapace del potente Daniel Roché, (Daniel Auteil) direttore del Fondo Monetario Internazionale, appare come invitato anche un monaco, Roberto Salus (Toni Servillo). Egli assumerà un ruolo accusatore e controcorrente e indicherà un’impostazione alternativa alle misure del capitale selvaggio. Nella sua visione i diritti dell’uomo saranno al centro di ogni impostazione economica.
Ben presto scopriremo che il magnate, colpito dal cancro, ha chiamato il religioso per confessarsi ed anche garantirsi l’assoluzione pagandola, more solito, con un po’ di beneficenza ma senza dare prova di pentimento.
Intanto l’accoglienza ambientale si presenta gravida di ambiguità, di oscuri trabocchetti e di stretta sorveglianza informatica. Porte che si socchiudono e non solo per brevi retroscena sessuali, ma per spionaggi e un cagnaccio nero che minaccia di sbranare su commissione. I rapporti personali sono falsi, ufficiali o biecamente strumentali.
Nel clima di ipocrita cortesia piomba come un fulmine la morte di Roché. Lo trovano al mattino col volto impacchettato in un sacchetto di cellophane. Tutto fa pensare al suicidio, ma potrebbe anche essere un omicidio. L’ultimo ad uscire dalla sua stanza sembra sia stato Salus dopo la confessione.
L’équipe dei ministri è allarmata. Che cosa dire all’opinione pubblica? Alla polizia? Che cosa sarebbe più utile? Il cellulare del defunto è sparito. Parte un’inchiesta interna appoggiata da servizi segreti.
In realtà dai ricordi del monaco emerge che la vittima ha riconosciuto senza rimorsi in confessione la propria aridità di finanziere, rifiutando però di svelare il contenuto della drastica manovra da presentare all’indomani. Pullulano sospetti interessati contro il religioso, nel timore che sia al corrente del segreto. Viene assediato da alcuni ministri affinché rompa il silenzio confessionale.
Pochi lo difendono. Tra di essi Claire (Connie Nielsen) scrittrice per l’infanzia anch’essa invitata al Convegno. La donna riesce a convincere con finezza femminile la rappresentante canadese (Marie Josée Croze) ad assumersi responsabilità umanitarie nella votazione finale.
Intanto Salus ha disseminato massime brevi ma chiarificatrici in molti colloqui individuali e confessioni incoraggiando i dubbi rispetto alle decisioni economiche da prendere. Ha invitato a riflettere sulle gravi ricadute sulle popolazioni di provvedimenti pirateschi. Il senso di colpa assale anche il delegato italiano (Pier Francesco Savino) che decide di abbandonare la posizione conformista. Il suo voto contrario insieme a quello canadese farà naufragare il progetto, tra dissensi e stupore.
Vediamo alla fine addomesticarsi anche il rabbioso bull, mascotte del capitale globale grazie all’aura francescana emanante da Salus e acquistare una nuova innocua personalità e un nuovo nome: Bernardo.
Il film, simbolico e ricco di allusioni, ha nel suo corso varie citazioni cinematografiche. Ad esempio il “Fascino discreto della borghesia” e “Il fantasma della libertà” di Luis Buñuel rievocati dall’allineamento dei ministri tipico delle foto e delle riprese televisive e dal ping-pong dialettico tra etica e politica nei tête-à-tête di Salus coi convenuti. L’atmosfera di incertezza e sospetto, le modalità tortuose del potere, ricordano quelle descritte da Elio Petri in “Todo modo”. Un clima molto attuale, in cui tutto sembra possibile e sfuggente alla legge, come provano, nella cronaca di casa nostra, i tanti strani omicidi o suicidi simulati o istigati, legati alla sfera pubblica.
Il regista Roberto Andò, come Salus, non risolve la ragnatela del giallo, ma dirada la nebbia sul thrilling quotidiano della vita corrotta e inafferrabile della cosa pubblica, suggerendo una ribellione contro l’avidità e l’egoismo.
Nel cast di attori domina Servillo che sa rappresentare la pacata fermezza e severità e si impadronisce della guida del percorso. Le altre presenze creano una galleria di tipi espressivi, da Auteuil (Roché) che ben incarna l’isolamento del privilegiato, ai falchi Alexsej Guskov (il ministro russo) e Richard Sammel (il tedesco) all’esitante Favino (che qui rinuncia alla sua robustezza), componendo una gamma riconoscibile di volti contemporanei.
Lo spettatore, via via coinvolto in una narrazione filmica avvincente e ben congegnata, avrà modo di riconoscersi alla base di un’avventura non solo poliziesca, di risvegliarsi e aguzzare lo sguardo su ciò che avviene anche intorno a noi.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato mercoledì 11 Maggio 2016
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