La sesta edizione della Festa del cinema di Roma ha dedicato a Monica Vitti una mostra fotografica che testimonia la sua intensa e applaudita carriera di attrice, dalle doti comiche e drammatiche, e la proiezione di due film: il noto Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) di Ettore Scola e Scandalo segreto (1990), l’ultimo, da lei scritto diretto e interpretato, sullo strapotere della telecamera. Pur appartata e in silenzio, per gravi ragioni di salute, la diva che ha appena compiuto 86 anni s’impone nel ricordo delle sue tante interpretazioni, che arricchiscono il cinema italiano.

Qual è la vera Monica? Quella fragile e sofferente o quella spiritosa, la femmina sfidante dei film comici e della commedia all’italiana o la donna che l’uomo cerca di avvilire e che alla fine esce un po’ sconfitta un po’ vincente nel folto della società maschilista? L’una e l’altra. Ce lo dice lei stessa quando, in un’intervista, si descrive nel primo incontro infantile con la guerra in Sicilia, in una spiaggia tutta bianca in cui irrompe improvvisa la sirena d’allarme. Lei non è colpita da quel sibilo, ma dalla voce ricorrente della madre in cerca di suo fratello. Le sembra buffo quel ripetuto richiamo «Giorgio!». E poi ricorda le soste nel rifugio, dove finalmente i bambini possono giocare tutti insieme e lei, ignara sotto la coltre cupa del pericolo, comincia ad animare dei pupazzetti, burattini di un teatrino improvvisato fatti dal fratello. Per assurdo deve all’occasione dei bombardamenti la prima prova della sua vena artistica, del suo humour e la voglia di divertire tutta quella gente preoccupata.

Una splendida Monica Vitti (da https://flashbak.com/wp-content/uploads/2017/07/Monica-Vitti-wearing-the-Bulgari-%E2%80%9CSeven-Wonders%E2%80%9D-named-for-the-seven-magnificent-Columbian-emeralds-necklace-of-platinum-emeralds-and-diamonds1965-Photo-Karen-Radkai-1.jpg)

“Rappresentare” sarà per lei vivere di più. In questa personalità delicata eppure capace di inserirsi interamente nella recita, di narrare nel senso antico, si mescolano sensibilità drammatica e umorismo, vissuti e sentimenti, scena e set.

A quattordici anni inizia a recitare sul palcoscenico. La convince una battuta del personaggio de La nemica di Dario Niccodemi a cui giunge la notizia della morte di uno dei suoi figli («Quale?») e insiste per interpretare quella parte. Verranno poi il cinema, la tv e ancora il teatro. Negli anni 60, già entrata nel panorama cinematografico, incontra Michelangelo Antonioni. È uno dei registi che si distacca dalle grandi vicende collettive per addentrarsi nei meandri individuali. Sarà lo scopritore del suo originale talento. Dal connubio intellettuale, e poi sentimentale, tra i due, nascono tra i film più importanti per la raffigurazione dell’incomunicabilità e dell’alienazione. L’attrice vi lascia un segno graffiante interpretando in chiave femminile la solitudine e gli sconvolgimenti di un’epoca problematica, di una società in crisi. È Claudia ne L’avventura (1960), figura di un mondo femmineo in subbuglio, che cerca un varco in una realtà effimera in cui è finita la sicurezza dei Sentimenti con la maiuscola. I personaggi borghesi della gita in yacht sugli scogli di Lisca Bianca, isola delle Eolie, mettono in forse i loro rapporti. Claudia è una di loro e l’incognita di Anna, la fidanzata scomparsa che tutti cercano, è l’icona dell’inquietudine. È ancora Vittoria ne L’eclisse (1961) ed esprime sul suo volto e nel linguaggio il senso di vuoto, la difficoltà a trovare un senso e un aggancio con gli altri, immersa nei silenzi delle persone. Così la donna rappresenta la contemporaneità.

Nel film La notte (1962) è Valentina, figlia della ricchezza ma insoddisfatta, oppressa da un clima di nebbiosa inconcludenza. La corteggia invano Giovanni, scrittore ospite della lussuosa villa del padre, l’industriale Gherardini. Anche l’intellettuale è pieno di incertezze esistenziali e sta vivendo un rapporto coniugale in bilico, prossimo alla rottura. Tutti i personaggi, in preda alla noia, sembrano trastullarsi con le loro scelte effimere e riflettono le debolezze di una società borghese priva di valori. Nel successivo Deserto rosso (1964) è Giuliana, la cui depressione è dovuta non solo al trauma di un incidente d’auto, ma all’influsso dell’ambiente di Ravenna in cui la natura è violata dall’industrializzazione selvaggia e dallo scadere delle relazioni personali. La Vitti rende bene la nevrosi della donna smarrita di fronte alla depauperazione e disumanizzazione del paesaggio e alla spontaneità perduta.

In Dramma della gelosia eccola impersonare una fioraia tanto patetica quanto esilarante. Ama due uomini e non riesce a scegliere tra i due. È il ritratto di un’eroina da soap opera, protagonista di un Jules e Jim romanesco e movimentato, ora greve ora zuccheroso e romantico, pieno di echi del dopoguerra. Ruba per necessità in Teresa la ladra di Carlo Di Palma (1973), commedia piena di malinconiche verità, ispirata a un romanzo di Dacia Maraini. Rivive nella storia filmica l’odissea di tante donne travolte da una condizione subalterna e alle prese con la povertà e il maschilismo imperante. Rende a meraviglia l’aria sperduta di un’orfana di madre, vessata da un padre buzzurro e brutale, poi vedova di guerra, sballottata nelle difficoltà e turlupinata dai maschi, costretta a scelte estreme per sopravvivere, a subire la prigione, il manicomio e lo scacco della separazione dal figlio, sempre abbagliata dall’illusione amorosa. È la Tosca nel capolavoro, omonimo, scanzonato e laico di Luigi Magni (1973). Fa vibrare la figura celebre, col sottofondo di un sorriso, è l’amante appassionata e sensuale del pittore ribelle, raggirata dal perfido Scarpia. Canta e si lancia nei duetti con Gigi Proietti (Cavaradossi) che piaceranno tanto al pubblico come l’intensità recitativa nel finale del melodramma. Accanto a Joseph Losey, Miklos Jancso e Andrè Cayatte (Modesty Blaise del 1966, La pacifista del 1971, Ragione di stato del 1978) anche Louis Buñuel, regista dissacrante, si accorge delle sue doti. La ricordiamo nel film Il fantasma della libertà (1974) in una sequenza di surreale caricatura dell’ipocrisia borghese. Lei, signora snob, superficiale, s’indigna sfogliando col marito delle cartoline “proibite” scoperte in mano alla figlioletta. In realtà le foto che vediamo sono solo vedute di Parigi e tutto illustra la doppiezza della verità, l’inverso della morale e la lussuria segreta della coppia. I personaggi coniati da sguardi maschili in cui Monica si traveste hanno dati comuni. C’è il tocco decisivo dell’interprete che fluttua con maestria dal dolce all’amaro. Monica coglie certe costanti del genere femminile, frutto di un’antica storia: l’esitazione, la rassegnazione, la sfiducia di sé che, una volta superati, possono dare il via agli estremi opposti, agli assoluti della spavalderia, della ribellione, del coraggio, o all’autocoscienza.

Luis Buñuel (da http://list.lisimg.com/ image/964811/500full.jpg)

Un giorno chiedono alla Vitti di rispondere al quesito: Cos’è un’attrice? Lei sulla vetta della notorietà (cinque Davide di Donatello, tre Nastri d’Argento, dodici Globi d’oro, due alla carriera, e ancora alla carriera un Ciak d’oro, un Leone d’oro a Venezia, un Orso d’argento alla Berlinale, una Concha de Plata a San Sebastián) eppure presaga dell’incerto futuro, si confessa. Non sa cosa rispondere, improvvisamente umile: «Credete sia facile? Non lo so cos’è un’attrice. Si può diventare cattivi attori in ogni momento. Se io potessi fare un acuto come la Callas sarebbe più semplice, voi potreste dire “mamma mia che voce fantastica!”. O se potessi camminare su un filo. Ecco io sono un’attrice comica e ho cercato di farlo finché ho potuto». È proprio questa adesione alle variabili dell’esistenza il segreto del suo successo.

Al di là del suo brio e della professionalità, leggiamo nelle sue interpretazioni, in profondità, le gioie, le defaillances, gli errori, i dubbi che sono dentro di noi. Compresi i trabocchetti del destino.

Serena d’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista