La sfida è quella consueta: lavorare criticamente sui film di largo consumo, provando a enuclearvi una tematica di ordine socio politico, come è importante per una rivista che si proponga di leggere i conflitti, i totalitarismi, i sovranismi, le forma di negazione dei diritti umani alla luce del dettato costituzionale e dell’antifascismo. In ogni ambito di espressione culturale. Vi dirò, è pure divertente. Non solo perché puoi andare a vedere anche i film commerciali (di fantascienza, azione, commedia e via dicendo) senza sentirti in colpa (non di solo Fellini vive il critico…), ma perché questo è l’esercizio concreto della scienza della semiotica. Tutto si può interpretare e sottoporre a esegesi testuale, dall’arte alla letteratura: per quanto mi riguarda partendo da quanto ho appreso dallo studio delle scienze testuali che si adoperano anche per la Sacra Scrittura.
Il cinema del regista australiano George Miller – autore del film di cui vi parlerò – è articolato e ricco di spunti interessanti, spaziando tra generi diversi. Dall’action movie a sfondo fantapocalittico della saga di Mad Max, al cinema per i più piccoli di Babe, maialino coraggioso, Babe va in città e Happy Feet (1 e 2), un film drammatico come L’olio di Lorenzo e quello tratto da un romanzo di John Updike, Le streghe di Eastwich. Non solo film di azione ma generi diversi, in cui ha prodotto opere di grande originalità.
È soprattutto nella saga cinematografica iniziata con il suo esordio nel 1979 (Mad Max, in Italia Interceptor) e dedicata alla figura del poliziotto Max Rockatansky, personaggio dai tratti western di vendicatore, che Miller ha da dirci di più sul mondo contemporaneo. La fantascienza distopica illustra i tratti di un mondo futuro in cui niente è andato come si sperava: ma sono i fattori di crisi che mostrano cosa non va adesso, che servono a suggerirci quel che può accadere in prospettiva.
Il personaggio del folle Max evolverà di film in film (5, per adesso) nella creazione di un mondo alternativo, segnato da un’apocalisse atomica, intuita alla fine del primo film e che poi diventerà lo scenario dei successivi. Nel primo sequel, Mad Max 2 (Interceptor – Il guerriero della strada, 1981), la residua società umana è diventata preda di folli criminali che lottano per il possesso delle risorse primarie (in primis acqua e carburante) contro coloro che hanno conservato la volontà di organizzarsi in sistemi sociali etici. Il ciclo narrativo evolve ulteriormente nelle opere successive Mad Max Beyond Thunderdome (1985) e Mad Max: Fury Road (2015): il mondo di domani descritto da Miller è una realtà di estrema violenza, stratificato socialmente in classi derelitte affamate e disperate, variamente oppresse e dirette da gruppi di potere incarnati in personaggi cupi, folli, espressione dei vari modi in cui i potenti della Terra l’hanno governata nei secoli, con crudeltà e sprezzo di ogni umanesimo. Un senso dell’umano che resiste in gruppi sparuti che cercano non solo sopravvivenza, ma pure un minimo di spazio vitale in cui i rapporti personali abbiano ancora valenza e futuro. La figura di Max, reso folle a sua volta dall’omicidio di moglie e figlio nel primo film, oscilla tra l’utilitarismo cinico e residue capacità di seguire il sentimento umano della solidarietà con i più deboli.
Divenuto una figura mitica di un universo in totale disfacimento (è il finale di Mad Max oltre la sfera del tuono), cantato nelle tradizioni orali delle generazioni successive, assomiglia ai cavalieri erranti del classicismo western: aggiornata la cavalcatura con una potente autovettura, la conclusione delle sue avventure è comunque il suo andare oltre, come nei film dedicati alla Frontiera.
La saga di Mad Max ricostruisce una geografia che dà riferimenti essenziali e precisi a quella di oggi. Nella ridefinizione del personaggio dopo il cambio dell’attore che lo interpreta (Mel Gibson, poi Tom Hardy), con Fury Road siamo di fronte a un sistema\mondo diviso in tre luoghi di riferimento: se la Cittadella è un luogo di privilegi, con acqua e zone verdi, riservati a una élite ristretta su cui regna Immortan Joe, Gastown è dove si raffina il carburante, e Bullett Farm dove si fabbricano munizioni. Chi detiene la produzione di alimentari, la Cittadella, controlla le altre due attività, anch’esse rette da un oligarca e i propri accoliti.
Rispetto ai film precedenti si presenta un nuovo personaggio, Furiosa, combattente tenace, in rivolta contro Immortan Joe: e proprio a lei è dedicato il film di cui parliamo, che ne traccia in un prequel infanzia e giovinezza. La resistenza di un gruppo di donne, le Molte Madri, passa per la tutela del loro Luogo Verde (fertile e pacifico), a cui Furiosa bambina viene sottratta, presa in schiavitù dal signore della guerra Dementus, che ambisce al controllo delle città\sistema che costituiscono il microcosmo descritto da Miller. La storia che ne segue è di vendetta e di riscatto, come nelle migliori tradizioni di molto cinema di azione. La vena femminista, già presente nel film precedente, si delinea con maggior chiarezza: Furiosa è una guerriera temibile, ma i suoi tratti conservano maggior umanità rispetto a tutti gli altri personaggi del film, custode com’è della speranza di un luogo altro a cui tornare, il pacifico villaggio da cui fu sottratta e a cui vorrebbe tornare.
La vicenda si chiude sul passaggio narrativo che apre Fury Road: in una sequenza compare anche in modo fugace Mad Max (che dovrebbe tornare nei film già annunciati da regista australiano: peraltro sappiamo bene che gli eroi e le eroine cinematografiche non si congedano mai definitivamente dal loro pubblico…). La capacità tecnica di Miller è strabiliante: il film ha un ritmo e una maestria nel coordinamento delle sequenze di livello eccezionale. È cinema che può piacere o no, ma è di qualità altissima. A differenza di molti action movie (la saga di Mad Max ha prodotto uno stuolo di epigoni del filone apocalittico, di rado alla sua altezza), i personaggi sono scritti meglio, presentano sfaccettature psicologiche – magari tessute di particolari visivi minimi, ma significativi – non banali: intendiamoci, non aspettatevi Bergman, ma sono opere che sono delle vere e proprie miniere di idee, in cui contesti, tribù e gruppi sociali sono introdotti con grande creatività.
È un cinema che racconta la crudeltà umana, sicuramente molto violento, ma che limita la crudezza delle immagini. E nel frattempo che cerchiamo di tirare il fiato per seguire il ritmo delle convulse scene di azione, ci fa riflettere sulla rappresentazione di una società classista, oppressiva, dominata dalla legge del più forte, avida e violenta, che toglie spazio alla speranza nella misura in cui si nega l’umanità: e che somiglia purtroppo a molti elementi del mondo che stiamo abitando già.
Il destino delle classi subalterne, esemplificato da alcuni esseri umani che fungono da sacche viventi di sangue per consentire ai potenti di continuare a vivere nonostante malattie e deformità, quello delle donne, destinate alla riproduzione, l’intersecarsi dei rapporti di potere nel difficile rapporto tra i vari fattori economici, soprattutto la pazzia massiva di coloro che governano (Dementus non è un nome scelto a caso) ci rimandano ai signori delle nostre attuali guerre, degli attacchi a Capitol Hill e al Parlamento Brasiliano, a quelle forze culturali e politiche che vorrebbero ricollocare i nostri Paesi in una rete di rapporti in cui l’autorità si definisce in base al potere industrial bellico, rigorosamente improntato al sovranismo etnico, al suprematismo razziale.
Cosa state pensando, che molti dei leader mondiali non sarebbero fuori luogo in un film della saga di Mad Max? Perbacco, mi sapete leggere il pensiero…
Andrea Bigalli, docente di Cinema e teologia all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, referente di Libera per la Toscana
Pubblicato sabato 13 Luglio 2024
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