Nella prima metà del Novecento il termine suffragette veniva associato dai benpensanti a luoghi comuni, ironia o scandalo. Donne bizzarre, esagitate, con modi e prepotenze maschili. Quasi delle macchiette. Ben diverso era e fu il loro ruolo anticipatore che costò a molte di esse sacrifici e sangue. Sulle loro battaglie riposano i diritti conquistati a fatica ovunque dall’universo femminile.
Il film diretto da Sarah Gavron entra nel merito fin dall’inizio. La voce fuori campo che definisce “instabili” e inferiori le capacità mentali muliebri si contrappone ai fotogrammi del lavoro duro e sfibrante a cui la società costringe le operaie e già ci promette una verità tagliente.
È il 1912 e siamo in Inghilterra. Quelle denominate con spregio “suffragette” sono donne che combattono per il riconoscimento dei loro diritti di lavoratrici e di cittadine. Ma ci vorranno anni per avvicinarsi a queste mete civili: diritto a una paga giusta, a non sottostare alle molestie dei datori di lavoro, lotta contro lo sfruttamento bestiale dei minori, diritto di incidere col voto.
Guidate da Emmeline Pankhurst fondatrice del movimento suffragista, inascoltate e derise nelle loro pacifiche rivendicazioni, perseguitate dalla polizia e dai tribunali, le più determinate si decidono ad azioni radicali al fine di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Il personaggio di Maud Watts interpretato da Carey Mulligan rappresenta a perfezione la coscienza di classe che cresce sul luogo di lavoro e in famiglia. Prima timidamente poi sempre più decisa. È una giovane moglie e madre di un bambino che lavora fin dalla tenera età in una lavanderia industriale, soggetta come le sue compagne agli abusi e allo sfruttamento del signor Taylor, il padrone. La sua ribellione matura dopo l’incontro alle manifestazioni per il voto con alcune esponenti decise e generose: la farmacista Edith Ellyn (Helena Bonham Carter) si ispira nel film alla figura di Edith Garrud, istruttrice di ju jitsu e promotrice dell’autodifesa delle suffragette, e l’attivista Violet Cambridge (Anne Marie Duff), compagna di lavoro vessata dal marito alcolista.
Maud diviene quasi per caso portavoce del gruppo politico e porta in parlamento davanti al primo ministro Lloyd George, con parole semplici ma significative, le istanze del lavoro femminile e la richiesta di contare. Il suo nuovo ruolo le procura punizioni e dolori sul piano familiare e lavorativo. Il marito Sonny (Ben Wishaw), operaio come lei, preda dell’opinione diffusa, considera una vergogna l’attività militante della moglie, specialmente dopo l’arresto della donna durante le manifestazioni. Oltre a chiuderle la porta di casa le sottrae il figlio dandolo in affidamento, ma non riesce a farla tornare indietro e a fermare la sua evoluzione. Maud è sempre più convinta delle ragioni della sua battaglia.
Il film segue, con una narrazione coerente e robusta senza pleonasmi, il corso delle lotte, i personaggi, le circostanze del braccio di ferro tra donne e polizia, le speranze e le delusioni, la forza d’animo di quelle che resistono. Le scene sono intense. I faccia a faccia dell’operaia con il suo antagonista, l’insinuante ispettore Steed (Brenden Gleeson), esponente dei servizi segreti e artefice di abili iniziative repressive, mostrano come la forza delle idee può vincere una battaglia estenuante. A niente servono le offerte insidiose di vantaggi, diventando un’informatrice. La nostra eroina tiene testa all’avversario, non sarà mai una spia. Resiste nel suo povero rifugio in una chiesa, dilaniata dall’allontanamento del figlio, dall’incomprensione di Sonny e dall’ostracismo della comunità e accetta di compiere attentati dimostrativi indolori. Dimostra come la volontà femminile, votata a un giusto fine, sia capace di superare ogni prova.
La Mulligan, attrice dal volto acqua e sapone, rende bene i suoi dubbi e la sua coerenza. Vediamo anche Meryl Streep nella parte della Pankhurst, che anima lo sfondo con i suoi happening di ispiratrice carismatica e clandestina, capace di riassumere le aspirazioni di genere.
Violet rappresenta la condizione umana nelle fabbriche del tempo. La sua è una vita d’inferno. Lavora notte e giorno calpestata dal padrone e, a casa, dal marito ubriaco. La sua rabbia interpreta quella di tutte le altre. La sua morte che riproduce quella storica della militante Emily Davison nel 1913, in seguito alle ferite riportate durante il Derby galop di Epson, sarà il fatto drammatico che porrà in primo piano i principi del movimento.
La donna vuole portare a termine il progetto deciso dal comitato malgrado contrattempi avversi: far conoscere la voce del WSPU (unione sociale e politica delle donne) esibendo la bandiera viola, bianca e verde alla presenza del re Giorgio. Il suo corpo preso di petto dal cavallo regale verso il quale si lancia diverrà un simbolo. La sequenza del funerale è l’immagine di una protesta che guadagna sempre più il consenso popolare.
L’arroganza delle forze conservatrici alla fine dovrà cedere. Il voto alle donne in Gran Bretagna verrà concesso, benché incompleto, nel 1918 e totale nel 1928. Lo sottolineano i titoli di coda.
In Italia bisognerà aspettare il 1945: sarà il frutto della Resistenza al fascismo.
Sappiamo però che esistono ancora non poche regioni del mondo in cui le donne sono, vittime invisibili, ridotte al silenzio. Per esse l’emancipazione è ancora un sogno. Questo film emblematico, d’azione e di passione è fatto anche per loro.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato lunedì 21 Marzo 2016
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