Preceduto da molte aspettative per l’attualità del temi trattati, Suburra, di Stefano Sollima, tira in ballo la faccia malavitosa di una capitale decantata da tutto il mondo e ormai incapace di ammantare col suo fascino la decadenza della sua classe politica. L’esibizione periodica dei mali di quest’ultima, è ormai quasi normalità. Il numero di personaggi politici implicati in truffe, scambi di denaro e favori e comportamenti mafiosi è crescente.
Il film evoca gli intrallazzi parlamentari di rappresentanti senza scrupoli dalla carriera votata al business personale, i coinvolgimenti nell’illegalità, le bande pericolose che infestano le periferie, dove regna sovrano lo spaccio della droga, i regolamenti di conti tra cosche avversarie, gli omicidi quotidiani.
La trama ispirata al romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo che smaschera le torbide intersecazioni fra i tre poteri, politico, religioso e criminale si muove tra fiction e realtà. Emergono ricordi di fatti di cronaca passati e recenti, i riferimenti a formazioni di estrema destra alleate col crimine, episodi di degrado di malcostume e di corruzione in cui sono implicati rappresentanti della cosa pubblica di vario segno e ambienti vaticani. Ricordiamo bene i malori per droga e la morte di alcune escort in alberghi e case private e i casi scottanti di prostituzione minorile in cui appaiono coinvolte figure delle istituzioni e anche elementi delle forze dell’ordine. Clamorose e recenti le vicende di “mafia capitale”.
La storia filmica divisa in capitoli temporali (sette giorni prima dell’Apocalisse) dal 5 all’11 novembre del 2011 ruota intorno all’incidente occorso a Filippo Malgradi (Francesco Favino) onorevole e padre di famiglia, durante un incontro sessuale alla cocaina nel suo albergo, con la escort Sabrina e una minorenne. Quest’ultima muore. Egli, membro di una commissione, si sta adoperando per una legge che consentirebbe una grossa speculazione ad Ostia. Un suo ex compagno di avventure politiche eversive in tempi giovanili, Samurai (Claudio Amendola), superstite della banda della Magliana che si è riciclato, gli raccomanda il progetto voluto fortemente dalle famiglie mafiose del Sud.
L’onorevole che deve liberarsi del ricatto di Spadino, amico di Sabrina, complice nell’occultamento della salma della povera ragazza, si rivolge al collega di partito “Rogna”. Questi ordina a Numero 8 (Alessandro Borghi), un avvertimento contro il giovane delinquente. La punizione però degenera in omicidio per la furia incontrollabile dell’esecutore. La morte di Spadino solleva scompiglio poiché egli è il fratello del capo clan degli zingari, Manfredi Anacleti, un boss grezzo e crudele (interpretazione anche troppo sanguigna di Adamo Dionisi). Ne nascono scontri cruenti fra bande e sarà Samurai a calmare le acque offrendo all’energumeno una fetta del grosso affare imminente.
Il film segue le azioni dei due gruppi criminosi e le iniziative senza scrupoli di Malgradi e di Samurai per garantire il buon esito del piano. Un sicario sgombrerà il campo dei ribelli e ucciderà brutalmente Numero 8 e i suoi complici. Ma Viola, la sua donna (Greta Scarano), riesce a nascondersi.
La legge per Ostia, cara ai malavitosi, sarà approvata in parlamento grazie ai voti mercanteggiati da Malgradi con esponenti di altro colore politico, ma il governo cade subito dopo. Cadrà anche Samurai, bersagliato dai proiettili di Viola, che vendica così il suo compagno. Quello che resta è la sintesi di un campo di battaglia con i suoi morti, in una sequenza espressiva, livida ed emblematica: il vicolo solitario battuto dalla pioggia con un cadavere a terra.
Il film risulta un intreccio poliziesco incalzante più che un ordito penetrante e sottile che sveli le fisionomie precise dei governanti e le loro responsabilità in una società in sfacelo. Lo danneggia la scelta narrativa cronachistica, una serie di fatti meticolosamente illustrati con stile altisonante e l’incollamento a questo ambito. È un “troppo” descrittivo che penalizza analisi più profonde. Restiamo avvinti e imprigionati, nei copioni del filone noir, nelle sottolineature ambientali (la casa del boss degli zingari) e nei dettagli gestuali (i particolari del sesso alla cocaina, le vittime sbranate dal pitbull inferocito, le uccisioni, la rapina nel supermarket). La fotografia di Paolo Carnera, lucida, d’effetto, non omette niente. Si tratta di ciò che avviene ogni giorno nelle zone oscure della città. La colonna sonora assordante è superflua di fronte all’eloquenza dei personaggi e delle situazioni estreme. Pestaggi, suicidi, omicidi, gole tagliate, sangue a dismisura. Piacerà forse al grande pubblico abbacinato dalle forti tinte, non ai cinefili. Essi cercheranno invano un significato simbolico nell’inserimento iniziale, parallelo, della decisione papale di abbandonare il soglio pontificio, ma non troveranno qualcosa di più di una coincidenza. Anche le sequenze allusive della caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011 restano nel vago di una citazione di sfondo. Passare dall’album di cronaca nera a una radiografia politica è ciò che manca al percorso filmico.
Tra gli ottimi attori del cast spicca Favino, di collaudata bravura comunicativa, nella parte del politico vizioso che si crede intoccabile (e lo dice) in quanto parlamentare della Repubblica. Egli ha pochi sbandamenti, non conosce crisi di coscienza ed è un prototipo della politica sporca. Amendola impersona felicemente il manovratore di affari Samurai, ammanicato con i peggiori contatti legali e illegali dello Stato con una falsa apparenza di pacatezza. Borghi – già rivelato nel film di Caligari Non essere cattivo – è il malavitoso di Ostia, esagitato e impulsivo, che sogna una sua futura Las Vegas del litorale, colorata e brillante di casinò e di profitti. Elio Germano rende bene Sebastiano, organizzatore di eventi per fruitori ambigui e vip, uomo molle, esitante e vile, incapace di affetti, pronto a sacrificare per interesse e paura l’amica Sabrina (Giulia Elettra Gorietti). Farà una brutta fine. La Scarano è perfetta nella figura della tossica Viola “rovinata” ma fedele al suo uomo, vittima dell’emarginazione e vendicatrice, autrice della nemesi finale contro la losca congrega. Che avviene in linea con la profezia del proverbio “Chi la fa l’aspetti”.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato giovedì 5 Novembre 2015
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