Ingrid Bergman: una vera attrice, un limpido talento. Il suo nome ha dominato gli schermi dagli anni 40 ai 70 ed è stata rievocata in ottobre in una serata speciale all’Auditorium di Roma, omaggio della figlia Isabella Rossellini insieme a Christian De Sica, anch’egli figlio d’arte. Ne ha descritto la vita un documentario del regista e critico svedese Stig Bjorkman presentato al festival di Cannes e distribuito nelle sale per due giorni.
Non possiamo dimenticare il suo personaggio nel romantico Intermezzo (1939) di Gregory Ratoff accanto a Leslie Howard, alle prese con una passione proibita. Un volto sensibile il suo, capace di interpretare le più varie emozioni femminili. Dolcezza, desiderio e rimorso, sentimenti umani al di là delle datazioni di costume. La ricordiamo poi con Humphrey Bogart in Casablanca (1942) nella love story di Michael Curtiz. È Linda, divisa tra la fedeltà al marito leader della Resistenza antinazista e le tentazioni di un vecchio amore. La vicenda che fonde eros e spionaggio, la sua ambientazione, i connotati del tempo hanno conservato il loro fascino. Eccola poi accanto a Gary Cooper come Maria, giovane guerrigliera ingenua e coraggiosa di Per chi suona la campana (1943), dal celebre romanzo di Hemingway per cui ottiene il primo premio Oscar. Fragile e forte, capace di donarsi anche nel cuore di un conflitto spietato, come la guerra civile spagnola.
Sono vari i ruoli nei quali ha appassionato gli spettatori del ’900. Paula, la donna in preda all’inquietudine per traumi infantili di Angoscia (1944) di George Cukor accanto al grande Charles Boyer, per cui consegue un altro Oscar. Constance, la psichiatra intenta a risolvere il dramma di un uomo misterioso affetto da amnesia e accusato di omicidio che crede di essere il dottor Edwards in Io ti salverò (1945), giallo psicologico ed onirico con Gregory Peck. È Alicia, ragazza dalla vita complicata e ambigua in Notorious, thriller ricco di suspense, di momenti melodrammatici e di ardimenti cinematografici.
Si cimenta anche col personaggio di Giovanna d’Arco che arricchisce di verve mistica e combattiva, in una versione non molto fortunata e a sfondo commerciale di Viktor Fleming del 1948. In Arco di Trionfo di Lewis Milestone, dello stesso anno, è Joan Madou, cantante vagabonda che tenta il suicidio nella Parigi del ’38 ed è salvata da Ravic, un ebreo ricercato dal nazismo. La capitale francese alle soglie della seconda guerra mondiale, gremita di rifugiati politici, ci offre richiami significativi al problema tuttora irrisolto dell’emigrazione clandestina.
Nel 1956 è Anastasia (altro Oscar), improbabile figlia smemorata dello zar Nicola sopravvissuta agli eventi rivoluzionari russi nel film omonimo di Anatole Litvak, melodramma salvato solo dal suo charme. Con la regia di Ingmar Bergman nel 1978, è Charlotte in Sinfonia d’Autunno, una figura emblematica di madre egoista e umanamente fallita che ha sacrificato gli affetti alla carriera.
Tra i grandi registi con cui lavora figurano Sidney Lumet (con Assassinio sull’Orient Express del 1974, per il quale è premiata con un terzo Oscar) e Roberto Rossellini che avrà un ruolo speciale, non solo registico, nella sua vita.
L’incontro col neorealismo è fertile e in particolare la visione di Roma città aperta e di Paisà le suggeriscono di scrivere al regista italiano dichiarandosi pronta a lavorare con lui. La lettera segnerà l’inizio di un sodalizio importante non solo professionale, ma amoroso.
Ispirerà opere rosselliniane in cui l’obbiettivo realistico si sposta dai grandi temi sociali ai turbamenti del mondo individuale apportando alle trame tutta la sua sensibilità interpretativa. Ecco la Karin di Stromboli (1950) destinato originariamente ad Anna Magnani, compagna di vita del regista, che ci mostra conflitti interiori e rimandi spirituali, poi l’Irene di Europa 51 (1952), dramma intimista pervaso da elementi retorici e centrato tutto sull’espressività della protagonista. Ecco il terzo episodio di Siamo donne (1952), costruito con leggera e indovinata ironia: una signora – la stessa Ingrid – dedita alla cure del suo roseto in lotta contro i dispetti micidiali di un gallo. Ecco la Katherine di Viaggio in Italia (1953), in una radiografia della vita di coppia e di uno sgretolamento coniugale immersi nel frastuono del colorato paesaggio partenopeo.
Ma qual è il segreto di Ingrid? La sua spontaneità. L’intensità che è capace di trasmettere con uno sguardo, con un sorriso, un semplice gesto, una parola, senza virtuosismi, entrando nei personaggi, infondendovi una parte di sé, credendo ad ognuno di essi. Recitare è l’amore della sua vita, un bisogno profondo, una vera vocazione.
Lo ritroviamo tradotto in ritmi teatrali dall’Ingrid Bergman tribute della figlia Isabella svoltosi alla Festa del cinema di Roma insieme al suo humour, alla coerenza di fronte a scelte difficili.
Anche Io sono Ingrid (2015) di Bjorkman ci mostra un ritratto vivo ed interiore dell’artista. Una donna libera e sicura nel lavoro e nel vissuto sentimentale, che supera ogni ostacolo. Il puzzle di sequenze tratte da appunti, interviste, ricordi dei figli e degli amici, fotografie e home movie ci fa seguire passo passo dalla Svezia, agli Usa, all’Italia, lo slancio vitale dell’attrice svedese e quella gioiosità che tanto piaceva al grande fotografo Robert Capa, suo amico.
Tra le ultime fatiche della star figura l’interpretazione del personaggio di Golda Meir in una miniserie televisiva diretta da Alan Gibson nel 1982. Si può capire che la personalità della prima donna eletta ministro in Israele nel 1969, abbia interessato l’attrice. Pensiamo all’origine ebraica dei genitori di Ingrid e al carattere forte di Golda, protagonista di grandi sfide politiche e storiche e di tempeste familiari. Tutto ha contribuito ad attrarre uno spirito femminile emancipato come il suo.
Non dimentichiamo che dice di sé: “Ero l’essere umano più timido mai inventato, ma dentro di me c’era un leone che non sarebbe rimasto in silenzio”.
Questa è la sua foto più trasparente, il suo dna.
Pubblicato mercoledì 23 Dicembre 2015
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