Appunti per un viaggio da Bolzano è un docufilm realizzato dalla passione di Massimo Tarducci con testimonianze e rievocazioni, alternate alla presenza centrale della protagonista Lidia Menapace.
I ricordi di lei nei pensieri che accompagno il viaggio di Tarducci e gli interventi a cura di Andrea Bigalli (tra cui quelli di Rosy Bindi, Luciana Castellina, Francesco Comina, Pierpaolo Dalla Vecchia. Alfred Ebner, Pietro Marchi, Guido Margheri, Francesco Palaia, Ivan Pedretti, Livia Turco, Luisa Zanotelli, Luca Kocci) si intrecciano alla ricerca di una studentessa – Emma Tarducci – come tessere di un fitto discorso familiare decisivo per la narrazione, con espressioni dirette, ironiche, divertenti e taglienti, senza retorica.
Lidia, di formazione cattolica, spicca infatti come un esempio singolare nel variegato panorama femminista. Sviluppa una vena indipendente, ancorata al tema universale della pace che è anche un suo bisogno intimo e profondo. Lo completa con la difesa dei diritti concreti dell’emancipazione femminile e popolare. La sua fede non intralcia il radicalismo delle scelte, è parallela. Di qui, in un curriculum vagabondo, il passaggio politico dalla democrazia cristiana al campo del marxismo indagato nella sua complessità, all’ambito comunista, al Manifesto, una bella eresia (“i cristiani hanno spesso la tendenza all’eresia” afferma Castellina).
Tra i momenti più coinvolgenti ci colpisce quello della figura giovanile di Lidia nella Resistenza, partigiana col nome di battaglia Bruna, rievocata in brevi incisive sequenze in bianco e nero in cui rileggiamo “Giorni di gloria” (il celebre e bellissimo film diretto da Mario Serandrei, Luchino Visconti, Giuseppe De Santis e Marcello Pagliero, prodotto dalla Titanus e dall’Anpi nel 1945).
Bruna non vuole uccidere, perciò rifiuta le armi, dà il suo contributo alla lotta portando messaggi e piazzando il plastico sotto i ponti o sui binari ferroviari per interrompere l’offensiva nemica. Non nasconde la paura, sa come sia decisivo il ruolo della donna, non solo nell’accoglienza, ma nella militanza, fatta di spostamenti arditi e furtivi di collina e in paese. Corre con la bicicletta, come tante sue compagne, memorizza ordini, informazioni, da consegnare ai reparti. Tutto è nella sua mente e qualcosa… nelle calze. Fa la sua parte rischiando la vita e di più, come le altre. È riconosciuta combattente anche se non armata, e di questo è grata al Movimento di Liberazione. E a chi oggi la definisce una ex partigiana replica: “Sono ex in vari settori, ma non qui! Partigiani si è per sempre”.
Vivendo come insegnante la grande contestazione del ’68, la vede come continuazione della Resistenza. Ne coglie l’emergere di un nuovo soggetto politico, gli studenti che, uniti alle classi lavoratrici, sono un enzima per rinnovare la società. Conferma l’importanza degli anni 70, li definisce “anni speciali”, con le riforme legislative a tutto campo, le conquiste civili e sociali, le lotte rinnovatrici che vedono le donne protagoniste. Lidia le abbraccia tutte, anche il divorzio. Per lei la funzione femminile come rammenta Bindi è “come una grande forza non solo collettiva ma individuale”. La pace sarà poi la sintesi di tutti i beni. E la rivoluzione voluta dal ’68? Lidia risponde. Deve essere culturale, cambiare la mentalità, penetrare nelle persone. Proprio come la pace tra i popoli. La società deve essere planetaria, basata sulla pluralità. E nello stesso tempo fatta di donne e uomini in carne e ossa.
Lidia non ha mai avuto soste. Molte le tappe citate dal film, dall’università Cattolica di Milano, all’attività politica a Bolzano dove – prima come donna – fa la consigliera comunale e poi è assessora provinciale, come ricorda Alfredo Ebner. In un territorio così tradizionale e maschilista, come descrive il presidente Anpi Bolzano e componente del comitato nazionale dell’associazione, Guido Margheri, ottiene consensi tra la popolazione altoatesina rispettandone la lingua madre, in nome di una concezione umana e universale più vasta. Benché piemontese, considera la nuova città una sua Heimat, una seconda Patria, laboratorio di diversità. È iscritta alla democrazia cristiana, ma con spirito originale e progressista. In seguito, nell’anno della contestazione si dimette dal partito per incompatibilità ideale con una lettera aperta al segretario nazionale Dc, Mariano Rumor. Prende altre strade.
Sposa Eugenio (Nene) Menapace un trentino rispetta il suo dinamismo perché “ciascuno è come è”. Linda, nata Brisca, ne prenderà il cognome, ma non dimentica il codice etico, emblematico, della madre riguardo al matrimonio: “Va bene tutto, ma non chiedere mai al marito i soldi per le calze”. I due staranno insieme per 52 anni in felice parità.
Riflettendo sulla sua storia, Lidia dice di essere stata fortunata, soprattutto per aver vissuto la Resistenza e il Sessantotto. Aderisce in seguito a tutti gli appuntamenti politici e rivendicativi importanti del Paese e partecipa contro i crimini della guerra alla manifestazione delle donne in nero per Sarajevo. Alle domande sul futuro osserva: “Se ce l’abbiamo fatta noi nei tempi bui del fascismo e del nazismo chiunque ce la può fare”. Sembra risponderle il grido finale, come in apertura, della giovane Emma che irrompe: “La rivoluzione siamo noi”.
Appunti per un viaggio da Bolzano è un documentario attuale, di contenuto, speranza, autonomia femminile e di impegno solidale e pacifista. Che per 52 minuti ti inchioda alla visione. Lo vedremmo volentieri diffuso e discusso nei licei e nelle università.
Serena d’Arbela, giornalista e scrittrice
I COMITATI PROVINCIALI E LE SEZIONI ANPI CHE VOLESSERO ORGANIZZARE DELLE PROIEZIONI POSSONO SCRIVERE A MASSIMO TARDUCCI: maxtard@inwind.it
Pubblicato domenica 30 Ottobre 2022
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