“Volevo raccontare cosa accade dopo” dice Ivano De Matteo portando sullo schermo la fuga di una donna e di suo figlio da un marito violento. La vita possibile è una vicenda di oggi che emerge dall’ombra della cronaca, emblematica, quotidiana ripensata e scritta insieme a Valentina Ferlan.
Il regista ama tuffarsi nella realtà di ogni giorno cogliendo i rapporti umani lacerati o in crisi in mezzo al vivere egoistico e privo di idealità. Il suo merito è concentrarsi sulle conseguenze dei fatti, sul dopo, più che sui dettagli dei comportamenti aggressivi. Egli insegue goccia a goccia sui volti e nei gesti i sentimenti e le ansie delle vittime costrette a scelte dure, drammatiche o paralizzate nella crescita serena.
Saranno soprattutto i figli a pagare gli errori dei genitori. Sembra un luogo comune sempre esistito, ma oggi il fenomeno risulta più feroce che mai per il decadimento dei valori nella società e la povertà di appigli elevati. I soprusi del coniuge divengono a un certo punto insopportabili, di qui le decisioni difficili della donna e le ripercussioni sul figlio tredicenne Valerio (il bravo Andrea Pittorino). La messa a fuoco di questo personaggio in bilico tra l’infanzia e l’adolescenza, invade l’intero film. Anna (Margherita Buy), la madre, è costretta a lasciare Roma e a trasferirsi con lui in un’altra città per sottrarsi alle vessazioni e minacce coniugali. La partenza dai luoghi abituali e il distacco dagli amici sommato ai ricordi dei litigi domestici avrà l’effetto di un terremoto sul fragile mondo del ragazzo che si sfascia come un castello di carte.
I due sono ospitati dall’amica Carla (Valeria Golino) personaggio alternativo e ottimista che apre loro generosamente la propria casa torinese. Anna è sbandata, ma riesce anche ad accollarsi un lavoro stressante. Non capisce però la solitudine di Valerio, convinta che basti qualche regalo, qualche frettolosa carezza per risolverla. Al contrario lui arriva anche ad odiarla. Pur essendo stato testimone degli scontri tra padre e madre e delle colpe del primo, ne sente molto la mancanza.
La parte femminile, ben sostenuta dalla sensibilità dell’attrice, mostra come qualsiasi mossa delle donne perdenti rischia di essere giudicata erronea e colpevolizzata se la persona non diviene padrona della propria vita. Anna ha aspettato troppo prima di lasciare il marito e l’ha fatto per non ferire il figlio. Da queste esitazioni derivano tante amarezze.
Tutta la storia però è spostata sull’asse infantile. Il dramma materno resta una cornice dolorosa. Qua e là nel racconto alcuni elementi fantasiosi (come l’innamoramento infantile) sembrano forzare la normale psicologia minorile, ma lo smarrimento e l’infelicità del ragazzo, ben delineati, riescono a coinvolgere lo spettatore. Le responsabilità genitoriali e sociali sono sotto accusa. In primo luogo l’errore di considerare il mondo dei piccoli come propria muta appendice. Una singolare cecità impedisce agli adulti di cogliere il sentire istintivo dell’infanzia e di riconoscere il pericolo di inquinamento del suo futuro.
Valerio vagabonda in cerca di sostegno e annaspa contro il muro di gomma della nuova città, osserva nell’ambiente urbano le incomprensioni, le intimidazioni, i linguaggi offensivi. Il film riscopre insieme a lui il bisogno d’amore e di sicurezza.
Le istituzioni non rimuovono gli ostacoli delle famiglie in difficoltà. Il figlio non può ricevere un aiuto psicologico senza il consenso del padre fino a che questi non perde la patria potestà. Come nel caso descritto, la legislazione non appoggia abbastanza le vittime e gli aguzzini continuano a pesare sulle decisioni. “Non c’è niente da fare” commenta l’assistente sociale.
Vediamo dunque un figlio spaesato nella Torino sconosciuta, aggirarsi in mezzo ad estranei. Incontrerà Larissa (Caterina Shuhla), che “batte” nel parco ogni sera e si stizzisce per quello strano bambino in bicicletta che la cerca, affascinato. La “lucciola” ucraina, molto espressiva, è una figura femminile contradditoria, ruvida e dolce. II rapporto che si crea tra i due, ci sembra invece piuttosto inventato anche se l’attrazione verso i più grandi è fenomeno caratteristico della prima adolescenza. Sarà un vero shock per Valerio vedere una sera l’amata nell’auto con un cliente e scoprire le sequenze della prostituzione. L’ingenua passione si tramuterà in rabbia e disperazione.
Più credibile e consolante l’amicizia col bizzarro francese che gestisce un bar sotto casa. Mathieu (Bruno Todeschini), ex calciatore con un passato sofferto, trova sempre la parola adatta e la proposta accattivante per il ragazzo. In sua compagnia, anche giocando al pallone, l’uomo sembra colmare i vuoti dell’assenza paterna e sanare i propri sensi di colpa.
Nel successivo cammino filmico la ripresa di Valerio appare improvvisa rispetto al ritmo precedente che scandiva il disagio. A un tratto lo vediamo cambiato, ambientarsi, uscire con qualche amico, dialogare con la madre. Merito di Mathieu che offre discretamente una mano anche ad Anna?
Le nuove ipotesi non impediscono alla narrazione di scendere di tono sciogliendosi nel lieto fine. La vita offre sempre possibilità: questa sembra la facile soluzione del film di De Matteo, come avviene nel déja vu delle fiction. Testimoniano il contrario gli eventi angosciosi d’inciviltà globale, sotto i nostri sguardi, gli atti di bullismo, i femminicidi, le soppressioni disinvolte di figli e partner a cui assistiamo di continuo e che riempiono gli spazi dei media.
Ad ogni modo l’intento problematico del regista non è fallito, affidando il suo apparente minimalismo alla logica naturale del tempo e ai soccorsi affettivi provvidenziali. Sono apprezzabili quei particolari della realtà familiare e degli “umiliati e offesi”, ignorati dalla miopia corrente, che l’occhio cinematografico indica al pubblico incitandolo a uscire dall’indifferenza contemporanea. Il bisogno di ricostruire dalle rovine di un sistema nemico dell’uomo le esistenze e speranze ferite mettendo in primo piano il rispetto, l’amore verso i propri simili è una meta non più differibile nell’interesse delle nuove generazioni.
Serena D’Arbela, scrittrice, traduttrice, giornalista
Pubblicato giovedì 13 Ottobre 2016
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