[…] Oggi ricordiamo gli scioperi del marzo 1944. Ormai la storiografia più attenta e matura ha ricostruito gli avvenimenti e il contesto militare, economico, sociale e politico nel quale quegli eventi si svolsero. Il primo dato che sorprende è senza dubbio il carattere di massa della mobilitazione operaia; centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, forse un milione, si astennero dal lavoro per circa una settimana, dal 1° al 7 marzo. Nella sola città di Torino, il numero degli scioperanti raggiunse le 70mila unità, mentre a Milano, la città dove le agitazioni ottennero maggiori adesioni, tale soglia fu ampiamente superata; se il Piemonte e la Lombardia furono le regioni più mobilitate, rilevante fu la partecipazione anche in Emilia e in Toscana, mentre a Genova, dopo le grandi lotte del dicembre 1943, seguite dalla durissima repressione del Prefetto Basile, la nuova tornata di agitazioni operaie non riuscì.
Ancora una volta, come era successo già in passato, furono gli operai dell’industria, in particolare delle fabbriche metalmeccaniche, a guidare la mobilitazione. Ma da un’analisi dei dati disaggregata per settore, ci si rende subito conto dell’apporto notevole fornito da altre importanti categorie dei servizi; basti pensare ai tranvieri di Milano e, nello stesso capoluogo lombardo, ai tipografi del Corriere della Sera che impedirono l’uscita del giornale per ben tre giorni. Senza dimenticare infine, in quegli stessi mesi, il consistente contributo di lotte dato nelle campagne dai lavoratori della terra; mentre in molte zone della Val Padana si effettuavano azioni di boicottaggio contro la produzione del grano necessario alle truppe di occupazione, lo sciopero delle mondine del maggio 1944, prolungatosi per circa un mese, testimoniò in modo chiaro la partecipazione trasversale di larghi settori del mondo del lavoro alla lotta di Resistenza.
Questa breve descrizione degli scioperi del marzo 1944 evidenzia un tratto peculiare dell’antifascismo italiano che, a differenza di altri movimenti di liberazione sviluppatisi nel resto d’Europa, oltre all’elemento politico e partitico, presentò un carattere sociale ben visibile. Se, infatti, il Comitato segreto di agitazione del Piemonte, della Lombardia e della Liguria e lo stesso CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) ebbero un ruolo importante nella preparazione politica dello sciopero, a livello pratico e organizzativo la spinta della base fu decisiva. I Comitati clandestini, nati in molte fabbriche del nord (dalla Breda all’Alfa Romeo, dalla Falck alla Pirelli), guidarono la lotta, esponendosi in prima persona alle rappresaglie del nemico; un dato, infatti, assolutamente centrale negli scioperi del 1944 fu l’alto numero di deportati che si registrò tra le file operaie, soprattutto tra coloro più esposti sindacalmente e politicamente per avere diretto lo sciopero (membri di Commissioni Interne, capilega, attivisti e militanti).
Se mancò da parte di Mussolini la “punizione esemplare” degli agitatori, è anche vero che la deportazione dei lavoratori italiani in Germania dopo gli scioperi del marzo 1944 rappresenta una delle pagine più nere e drammatiche della nostra Resistenza; centinaia e centinaia, infatti, furono i lavoratori che trovarono una morte atroce nei campi di lavoro e di concentramento nazisti.
Accanto al carattere di massa delle agitazioni e al dramma della deportazione operaia, il terzo dato che emerge dall’analisi di quegli avvenimenti è il valore politico della mobilitazione; da questo punto di vista, il confronto con gli scioperi del marzo-aprile 1943 può risultare di grande aiuto. Le lotte dell’anno precedente avevano avuto una motivazione “economica” piuttosto evidente, legata ai crescenti disagi in tema di pane, prezzi, trasporti, mercato clandestino; la dimensione politica di quella lotta stava soprattutto negli effetti prodotti perché, dopo quasi venti anni di negazione autoritaria del diritto di sciopero, gli scioperi del 1943 rappresentarono la spia più evidente del fallimento del corporativismo e dell’imminente crollo del regime.
Dopo il 25 luglio e ancor di più dopo l’8 settembre 1943, in un Paese allo sbando e spaccato in due, era iniziata la guerra partigiana, una guerra civile, patriottica e di liberazione al tempo stesso, dapprima piuttosto “minoritaria”, ma subito divenuta, con il passare dei mesi (tra la primavera del 1944 e quella del 1945), sempre più ampia e partecipata.
Gli scioperi del 1944 si situano proprio in questo crocevia, dopo la caduta di Mussolini nel luglio 1943, ma nei territori della Repubblica Sociale Italiana; dopo la nascita del movimento partigiano, ma in una fase in cui questo e gli Alleati ancora non riescono ad avere il sopravvento sul nemico nazifascista. Quegli scioperi assunsero subito un forte connotato antifascista; fu una lotta guidata da tre motivazioni politiche precise, che si sommarono ovviamente alle rivendicazioni di carattere strettamente economico. In primo luogo, lo sciopero puntò a conquistarsi alcuni spiragli di libertà, di critica e di opposizione ad un regime liberticida che aveva condotto l’Italia nelle braccia dell’alleato nazista e nel baratro della seconda guerra mondiale; in secondo luogo, esso ribadì il valore sociale del lavoro quale fattore fondamentale per lo sviluppo e il rafforzamento delle identità collettive; infine, espresse in forma netta e decisa l’opposizione alla guerra nazifascista.
Tutti elementi questi (la libertà, la centralità del lavoro, la pace) che avrebbero costituito il filo rosso tra la lotta partigiana (1943-1945) e l’elaborazione della Costituzione democratica, repubblicana e antifascista (1946-1948). […]
Oggi, più di ieri, è assolutamente necessario non dimenticare il costo elevatissimo di vite umane – molti erano lavoratori – che quella guerra di Liberazione comportò, coltivare giorno per giorno la memoria di quei tragici eventi perché le nuove generazioni non debbano mai vivere l’orrore di quel dramma collettivo, difendere ed espandere i valori di libertà e di giustizia sociale che spinsero i lavoratori fuori dalle fabbriche e i partigiani sulle montagne.
Guglielmo Epifani, all’epoca Segretario Generale della CGIL
(da Patria Indipendente n. 3 del 28 marzo 2004)
Pubblicato giovedì 22 Marzo 2018
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