Musica e fumetto: due discipline – anzi: sarebbe più opportuno dire due arti – accomunate dalla capacità di edificare mondi e partorire personaggi da lasciare in eredità agli appassionati. Musica e fumetto, a ben vedere, hanno tratti in comune: innanzitutto, da un punto di vista formale: con gli album, nel primo caso, o albi, nel secondo – uscite organiche non solo accomunate da quell’etimologia latina che richiama alla memoria il bianco, la tela nuda su cui iniziare il racconto, ma che racchiudono al loro interno nuove storie, incise o disegnate. Personaggi nuovi, caratterizzati da straordinaria ordinarietà o da un supereroismo che diventa quotidianità, digerito e atteso dal lettore. Inoltre, si tratta di due arti che monopolizzano due sensi fondamentali – udito, in un caso, e vista, nell’altro – la cui fruizione è totalizzante nella richiesta di attenzione sensoriale, ma soprattutto nella creazione di emozioni. Un assolo, un verso struggente, da una parte, una sequenza sincopata o un disegno ricco di dettagli, dall’altra sono elementi attraverso cui l’ascoltatore/lettore è magneticamente attirato e trasportato in una nuova dimensione.
Un senso di domestico straniamento, che si amplifica quando musica e fumetto decidono di interagire, legarsi, compenetrarsi a vicenda. Si tratta di un’intersezione relativamente giovane, che ha dovuto attendere la nascita del fumetto e il suo ingresso nella cultura di massa, prima di potersi definire collaborazione, e ha dovuto aspettare pazientemente altro tempo, nell’attesa che potesse sradicarsi quel pregiudizio che vedeva il fumetto come un fratello minore delle arti propriamente dette, per potersi finalmente fregiare del marchio prestigioso derivante da questa partnership. Dunque, non c’è stato un Mozart (ai tempi di… Mozart) innestato sul fumetto, come è intuibile, ma c’è stato un Mozart postumo – o meglio, redivivo, vivificato dalla potenza della musica e del tratto di Milo Manara – 250 anni dopo la sua nascita, nel 2005, quando all’artista veronese furono commissionate delle tavole ispirate alle opere Le nozze di Figaro, Così fan tutte e Don Giovanni.
Ma è solo uno delle migliaia di possibili esempi, testimonianza diretta del connubio stimolante, spesso dissonante, eccentrico, ma sempre interessante tra musica e fumetto. Ed elencare tutti i brani e gli album che raccontano le gesta di personaggi dei fumetti, ne citano la vigorosa portata comunicativa o annotare tutti i cammei delle pop star nei fumetti è impresa ardua. A partire dai Beatles, che rappresentano il fenomeno di musica popolare più diffuso e trainante a livello planetario e che, dal momento in cui hanno abbracciato un’estetica più psichedelica e visionaria (coincisa, tra le altre cose, con il film d’animazione Yellow Submarine, ideale trasposizione visuale dell’omonimo album) non hanno disdegnato incursioni nel mondo del fumetto in qualità di guest star, come accade nell’albo 222 di Batman in cui si fa riferimento alla leggenda metropolitana di P.I.D. – Paul Is Dead, secondo cui Paul McCartney sarebbe morto in un incidente d’auto e successivamente sostituito con un sosia. Altri pupilli del mondo comic sono stati i Kiss, band glam rock dall’immediato impatto visivo (ricorrevano a un vistoso make-up bianco e nero) che ha fatto capolino in numerose pubblicazioni, edizioni speciali in cui i musicisti erano i protagonisti e combattevano i villain con le loro “armi”.
Di personaggi immaginari è pieno il mondo della musica che, con i suoi riferimenti al fumetto, ha riempito interi scaffali di dischi dei più disparati generi e provenienti da tutte le epoche. Dal punk rock dei Ramones e della loro Spider-Man all’ingioiellato mondo del rap e dell’r’n’b e ai suoi esponenti, Eminem e R Kelly, che hanno rispettivamente cantato di Superman e della città che, più di tutte, ha bisogno di un eroe: Gotham City; per poi tornare sul già citato Paul McCartney, musicista di indubbia fama e bravura (nonché appassionato di fumetti ed estimatore di Jack Kirby), che scrisse Magneto and Titanium Man, brano in cui, ai due supercattivi Marvel, si aggiungeva Crimson Dynamo, il… Dinamo Cremisi inventato da Stan Lee. Focalizzandosi sul panorama italiano, la materia non perde di rilevanza e, anzi, non di rado la musica leggera ha fatto da contraltare al mondo del fumetto, permettendo agli eroi disegnati di vivere ulteriori avventure. È il caso di Spider-Man, cantato dagli 883 nel loro secondo album dal titolo Hanno ucciso l’Uomo Ragno, di Tex dei Litfiba, dell’Orchestra Bruno Martino, che nel 1962 pubblica il brano Paperon de’ Paperoni, del gruppo ska Banda Bassotti (nomen omen!) che, nel 1993, incide Zio Paperone. Lucio Dalla, alla fine degli anni Sessanta, scrive Fumetto, che la Rai sceglie come sigla del programma Gli eroi di cartone, dedicato alle figure iconiche dei fumetti. Menzione d’onore per Corto Maltese, personaggio ricorrente nella produzione musicale italiana, dalla più recente Rosso d’emozione di Jovanotti (2011), il cui incipit è quello di Una ballata del mare salato, prima avventura del marinaio di Hugo Pratt, per poi andare a ritroso e arrivare al 1996, al brano dalle sonorità etniche del gruppo torinese Mau Mau, a cui l’affascinante personaggio dà anche il titolo, per “approdare” (è il caso di dirlo) a Mari del Sud, album di Sergio Endrigo in cui è contenuta la canzone eponima in cui il cantautore, suadente, dice: Stupida estate inganni anche me/ Che conosco i viaggi miraggi e le imprese/ di Corto Maltese.
Andrea Pazienza, come alcuni degli autori più determinanti del Bel Paese, evidenzia un rapporto molto intimo e del tutto originale con la musica, che si traduce in un duplice livello di interpretazione. È, innanzitutto, molto vicino alla vivace scena musicale della Bologna contestatrice e, per naturale estensione, agli anfitrioni punk che aprivano le porte della città a nuove influenze d’oltremanica: egli racconta la turbolenta stagione del Settantasette quando e dove accade, non da osservatore distaccato, ma da appassionato sostenitore (ma questo non gli vieta di mettere a nudo contraddizioni e stridori legati a questa fase politica e culturale). Dall’altra parte, l’apporto di Andrea Pazienza al mondo della musica avviene in modo “postumo”, quando gruppi e cantautori non possono esimersi dal tributare il proprio omaggio cantato a un fumettista folgorante; è il caso del brano Quello che parlava alla luna di Bandabardò, 1977 di Bisca e Pazienza, canzone di Marco Cantini alla realizzazione del cui videoclip hanno partecipato anche Sergio Staino e Stefano Disegni, esponenti di spicco del mondo dell’illustrazione, nonché figure vicine allo stesso Pazienza.
Il rapporto tra musica e fumetto, le due arti protagoniste di questo excursus, però, corre come un fiume sotterraneo, una sorgente carsica che non sempre affiora per palesarsi agli occhi di tutti. Spesso, il rapporto tra musica e fumetto è stato più da boudoir, quasi sottaciuto; non preminente nella produzione artistica dei disegnatori. Sì, perché uno dei possibili incastri e innesti tra le due arti è rappresentato dalle illustrazioni degli album musicali, a volte perfetta sintesi delle “affinità elettive” di musicista e disegnatore, altre volte, singolare incursione in un terreno quasi sconosciuto, se non addirittura misconosciuto. Le copertine degli album disegnate dai fumettisti italiani, ai loro esordi o all’apice della carriera, spesso rappresentano un aspetto marginale (o almeno, non adeguatamente valorizzato) nella produzione artistica di illustratori e disegnatori, legati a doppio filo alle opere musicali.
Come nel caso di Hugo Pratt, la cui eleganza di tratto e storie viene traslata con naturalezza nelle opere musicali disegnate: non è un caso, probabilmente, che le sue copertine più celebri siano, infatti, di cantautori come Sergio Endrigo (già citato), Nino Ferrer e Paolo Conte, con i quali il disegnatore condivide la raffinatezza e l’etereo lirismo. Mari del Sud di Sergio Endrigo viene pubblicato nel 1982 e, per l’occasione, Pratt cede “in prestito” addirittura il suo alter ego fumettistico: Corto Maltese, anche qui diviso tra episodi rocamboleschi e riflessione, incontri a volte salvifici, a volte letali, località esotiche e scenari mistici, già impressi sulla copertina dell’album. E se, Pratt ed Endrigo dimostrano una forte empatia sul piano stilistico, quella tra Pratt e Paolo Conte è molto più una «corrispondenza d’amorosi sensi», uno scambio paritetico di identità e di anime affini. Per l’avvocato-cantautore e per il suo lavoro del 1990 Parole d’amore scritte a macchina le illustrazioni – pochi tratti di acquerello nero su uno sfondo color ruggine – sublimano l’intenzione delle parole, seducenti e sfuggevoli, che danzano «sui sentieri dei grammofoni», come nel brano Ho ballato di tutto.
L’ultimo lavoro realizzato da Hugo Pratt per il mondo musicale risale proprio all’anno della sua morte, il 1995, quando realizza la copertina della raccolta live Concert chez Harry di Nino Ferrer, su cui campeggia un personaggio secondario, ma pur sempre attinto dalla saga di Corto Maltese, un capitano che il marinaio incontra durante il suo viaggio in Siberia e che si chiama (squisita coincidenza!) proprio Nino.
E un altro fumettista che, già con la sua biografia sancisce la convergenza di questi due mondi, è Guido Crepax, figlio di un musicista della Scala, che cresce tra ascolti classici e jazz e, non per pura casualità, si dedica alle illustrazioni delle copertine di jazzisti contemporanei, prima tra tutte, nel 1953, quella per una pubblicazione di Fats Waller. Nell’arco di un decennio, il nome di Crepax inizia a legarsi anche alla musica napoletana ma, da un’esigenza di carattere puramente economico e professionale, ne deriva un sodalizio di prestigio con l’interprete simbolo della musica italiana all’estero: Domenico Modugno. Alla fine degli anni Cinquanta, Crepax illustra la copertina dell’EP di Lazzarella, brano scritto dallo stesso Modugno, ma è con Nel blu dipinto di blu che si consolida un rapporto già idilliaco tra il disegnatore e l’etichetta discografica Edizioni Curci di Milano che prosegue, nel 1959, con Piove (Ciao ciao bambina), vincitrice del Festival di Sanremo. E, tra le numerose illustrazioni di Crepax, negli anni, si aggiungono quelle delle copertine de I Camaleonti, Massimo Ranieri e del divertissement di Giorgio Gaber e Dario Fo, con testi scritti da Franco, fratello di Guido Crepax nel 1962, Il mio amico Aldo/Tre storie di gatti (una triste, una allegra, una media).
Addentrarsi – seppure in maniera lieve, come in questo caso – nelle pietre miliari musicali e fumettistiche della nostra penisola significa annoverare un nome come quello di Milo Manara, prolifico autore dal tratto inconfondibile e dalla spiccata propensione all’eros. Tra cantautorato, greatest hits e musica leggera (talmente leggera da essere quasi impalpabile, a volte), Manara procede da Riccardo Cocciante a Enzo Avitabile, per arrivare a Lucio Dalla e al più recente Biagio Antonacci. L’incursione di Manara nel mondo della musica non si “limita” al suo rapporto vivace con gli album e le loro copertine, ma giunge direttamente sul palco del Festival di Sanremo, dove, tra serio e faceto, paradosso e cabaret, nel 1995 si esibisce con la “Riserva indiana”, un “coro” al cui interno fanno capolino, oltre allo stesso fumettista, Antonio Ricci, Sandro Curzi, Daria Bignardi e Remo Remotti (solo per citarne alcuni), e che accompagna Sabina Guzzanti e David Riondino con il loro brano Troppo sole.
Impossibile, poi, lasciare fuori il movimento del Settantasette e il grande fermento politico e culturale che, durante gli anni di piombo, lega l’Emilia Romagna e la capitale. E sono certamente due le figure di riferimento in ambito fumettistico di questo tormentato decennio: Andrea Pazienza e Tanino Liberatore. Astratto (ma mai distratto) il primo, hooligan il secondo. Su un piano artistico, si intende. Perché se, da una parte, Pazienza riempie le sue opere di tratti semplici e parole complesse, di labirinti mentali, mappe antropologiche e digressioni filosofiche, dall’altra c’è Tanino Liberatore che si impone con le sue creature muscolari e i suoi possibili futuri distopici. Entrambi depositari di una fantasia capace di partorire mostri e angeli, entrambi dotati del senso incredibile della misura e delle proporzioni narrative, in grado di non sovraccaricare mai il lettore, ma fermarsi proprio quando si sarà instaurato quel senso di dipendenza, quell’avido bisogno di saperne di più.
Andrea Pazienza, da sempre affascinato dai testi cantautorali e dalla voce di Mina, stabilisce un rapporto quasi fisico con la musica. Pur non essendo un musicista, è una vera e propria rockstar (e il suo epilogo prematuro ne sarà triste conferma), capace di trainare la celebrità anche in un ambito culturale fino a quel momento dimesso e (più) marginale come il fumetto. Pazienza frequenta i collettivi nella Bologna dei giorni rivoluzionari, in particolare al Traumfabrik, una casa occupata nei pressi di Piazza Maggiore dove conosce e inizia a interagire con personalità di spicco dell’epoca, tra cui Filippo Scozzari. E qui, fa la conoscenza anche dei musicisti punk dell’epoca, con i quali improvvisa delle sorta di jam session che fondono performance musicale e disegno estemporaneo. Una produzione artistica governata dall’’intuito, dal fulmineo guizzo, dall’idea che balena e si fa materia: linee curve, dettaglio, tratto di pennarello – strumento, questo, preferito da Pazienza, con il quale ha realizzato molti dei suoi lavori in ambito musicale. E, in effetti, se si opera una disamina degli album da lui illustrati, si nota come convivano nomi tra loro molto distanti, se non addirittura incompatibili: Passpartù della PFM è il primo, nel 1978, cui segue la lunga collaborazione con Roberto Vecchioni, Enzo Avitabile, per arrivare a Claudio Lolli, Amedeo Minghi e David Riondino. Questo perché rivolgersi a Pazienza in quegli anni rappresenta, per il musicista, una vera e propria garanzia: di elevata qualità artistica del disegno, innanzitutto, ma anche di una fama – quella del fumettista-rockstar – di cui, per una sorta di legge dei vasi comunicanti della celebrità e del prestigio, arriva a godere anche l’album.
Tanino Liberatore, invece, il mondo della musica lo sonda a suo modo: realizzando futuribili recensioni in una rubrica di Frigidaire, scrivendo con il suo sodale Stefano Tamburini Tiamottì, un racconto distopico che prende le mosse dalla hit di Umberto Tozzi, e dando i natali al mostro ballerino Ranxerox. Un rapporto quasi accidentale, ma dagli incredibili riverberi artistici, è quello che si instaura tra Liberatore e il chitarrista statunitense Frank Zappa. Da un accidentale incontro tra i due durante il tour italiano del musicista, nel 1983, vede la luce la copertina dell’album The Man From Utopia, fitto intrico di simboli e allegorie di un moderno Hieronymus Bosch che ha come protagonista un forzutissimo Zappa, che stritola tra le dita la chitarra che imbraccia. La copertina e il suo… lato B cristallizzano gli episodi e gli incontri più nefasti che il Frank Zappa-Ranxerox porta come souvenir dalla sua tournée italiana; il tutto incorniciato da quell’iperrealismo, cifra stilistica di Tamburini, che è la chiave di lettura per accedere a una dimensione distorta, in cui ogni dettaglio esasperato apre un microcosmo di interpretazioni, tra realtà e leggende metropolitane, in un apparentemente infinito gioco di scatole cinesi aneddotiche.
Onor di cronaca impone di specificare che, già nel 1975, quando Ranxerox è ancora di là da venire, Stefano Tamburini dà vita a Fuzzy Rat, una serie di tavole con un topo per protagonista: una creatura ispirata alle illustrazioni realizzate da Cal Schenkel per lo stesso Zappa. Il topo di Tamburini è perfettamente calato nel tessuto sociale e musicale dell’epoca, viene contestato (tacciato di essere un fichètto) se si esibisce alla Magliana, sfoggia spillette con su scritto “Fuck Off Cops” ed è “gentilmente offerto” dalla Cramps Records, etichetta egemone nella scena underground di fine Settanta. Tanino Liberatore, però, non ha vincolato il suo nome e la sua carriera alla creatura a due teste FranXerox, ma ha sondato in modo estremamente versatile il territorio musicale, passando dal cantautorato morbido di Ivan Graziani (I lupi e Agnese dolce Agnese), alla copertina quasi-realizzata per Miles Davis, per arrivare alla produzione, a partire dal 2009, per il duo di musica elettronica The Bloody Beetroots. Una band, quest’ultima, che ha fatto dell’estetica comics la sua cifra estetica più esplicita: basti pensare alla maschera indossata in pubblico dai musicisti per celare l’identità che richiama alla memoria il costume del villain Venom, ulteriore punto di contatto nella corposa casistica che testimonia l’incontro tra fumetto e musica.
Come si è visto solo parzialmente, la musica e l’illustrazione hanno avuto i più disparati modi di attrarsi e congiungersi e, con l’avvento delle nuove tecnologie, gli esperimenti cross-mediali si moltiplicano di giorno in giorno. E così, se da una parte sembra che il mercato musicale si sia incagliato in quelle logiche tradizionali legate alla pubblicazione e alla vendita, dall’altra lo streaming e la dimensione sempre più imponente dell’esibizione dal vivo (solo per delineare due dei fattori macroscopici più trainanti) sembrano indicare nuove vie, tracciare nuovi sentieri in cui, non di rado, e in modi non ancora troppo abusati, il pentagramma incontra le chine e ciò che si sprigiona è un tripudio di fantasia vitale e necessaria.
Letizia Annamaria Dabramo
Pubblicato martedì 28 Gennaio 2020
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