Sappiamo tutti che l’uso dell’energia nucleare – prima a scopi bellici e, successivamente, civili – è cominciato negli Stati Uniti, tra la fine degli anni 30 e la metà degli anni 40, con un importante contributo da parte di scienziati italiani, tedeschi e di altri Paesi occupati dai nazisti, profughi in USA a causa delle persecuzioni razziali.
Possiamo però chiederci perché il III Reich non fu in grado (fortunatamente) di raggiungere gli stessi risultati. Infatti, grazie ad un sistema di università e ricerca particolarmente avanzato, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la Germania è stata la patria degli scienziati che hanno posto le basi della fisica contemporanea: basti citare Albert Einstein, ideatore della Teoria della Relatività e di molte altre fondamentali innovazioni nella fisica teorica, Max Plank e il giovane Werner Heisenberg che, sulla base del lavoro di Plank e Einstein, fondò la meccanica quantistica. Anche l’Italia, recuperando lo svantaggio che aveva accumulato nel XIX secolo, si era portata alla frontiera della fisica moderna con Guglielmo Marconi, Orso Mario Corbino, Giulio Racah e soprattutto Enrico Fermi ed i suoi “ragazzi di Via Panisperna”. Le potenze dell’Asse non erano quindi certo in ritardo rispetto agli USA nel campo della fisica.
Vero è che molti dei brillanti fisici tedeschi ed italiani attivi negli anni 30 erano ebrei (Fermi non lo era, ma lo era sua moglie) e furono perciò costretti alla fuga. Vero è anche che nel Reich, ad opera prevalentemente di Philipp Lenard e Johannes Stark, rispettivamente premio Nobel per la Fisica nel 1905 e 1919, si sviluppò l’aberrante teoria della “fisica ariana” che rifiutava la “fisica giudaica” (e in particolare la Teoria della Relatività). Bisogna però considerare che in Germania rimasero moltissimi fisici di altissimo livello, a partire dagli stessi Plank e Heisemberg, e molti di loro aderirono, con maggiore o minore entusiasmo, al nazismo. Inoltre, fino all’inizio della guerra, i fisici tedeschi ed italiani profughi in Francia, Svezia, Inghilterra ed America continuarono a pubblicare i loro lavori su riviste internazionali diffuse anche in Germania, perciò anche i fisici tedeschi erano perfettamente a conoscenza dei lavori di Fermi sulla fisica nucleare, di Otto Hahn e Fritz Strassmann (fisico antinazista, escluso da ogni incarico accademico) sulla fissione dell’uranio, di Lise Meitner e Otto Fritsh (austriaci fuggiti per le leggi razziali) sulla possibilità di una reazione a catena.
Il libro di Philip Ball “Al servizio del Reich” (Einaudi, 2015, pp. 292, euro 32), sull’attività dei fisici tedeschi durante il nazismo, ci aiuta a capire meglio la situazione.
Dalla lettura di questo libro, scopriamo che la teoria della “fisica ariana” ebbe l’unico risultato di non far citare i nomi dei fisici ebrei negli articoli dei fisici tedeschi, anche quando ne utilizzavano i risultati, ma non ebbe alcuna conseguenza pratica sui loro studi.
Effettivamente, già nell’aprile del ’39, il Ministero della guerra nazista fu informato della possibilità di sfruttare la fissione dell’uranio per ottenere un enorme rilascio di energia e l’Ufficio Armi della Wehrmacht organizzò un gruppo di scienziati ed ingegneri, l’Uranverein (Club dell’Uranio) guidato dal fisico Kurt Diebne, che iniziò subito gli studi su questo tema. Così, già nell’autunno di quello stesso anno, Heisenberg redasse un rapporto sulla fattibilità di un reattore nucleare utilizzabile come fonte di energia, anche per i motori di carri armati e sottomarini. In questo rapporto, Heisemberg segnalò anche che, con una massa sufficiente di U235, l’isotopo dell’uranio utilizzabile per la “reazione a catena” che è presente nell’uranio naturale per lo 0,7%, si sarebbe potuta realizzare una bomba di potenziale enormemente superiore ad ogni altra basata su un esplosivo chimico.
Tuttavia, l’U235 è difficile da separare dall’isotopo U238, che costituisce il componente principale dell’uranio naturale. Inoltre, Heisenberg sbagliò i calcoli e sopravvalutò di un ordine di grandezza la quantità di U235 necessaria per costruire la bomba. Non riuscendo a trovare il modo di produrre una quantità adeguata di U235, i fisici tedeschi si orientarono in un’altra direzione: una bomba atomica basata sulla reazione a catena nel plutonio (come quella americana che distrusse Nagasaki): questo elemento si sarebbe potuto produrre in un reattore nucleare alimentato da Uranio arricchito in U235 in quantità molto minore da quella stimata necessaria per costruire una bomba nucleare.
Fu realizzato così a Gottow un reattore sperimentale, che usava come moderatore l’acqua pesante (nella molecola della quale l’idrogeno è sostituito dal suo isotopo pesante, il deuterio), che dimostrò come il processo fosse effettivamente possibile. Fu perciò costruito un impianto industriale per la produzione di acqua pesante in Norvegia, a Telemark. Nel giro di un paio di anni, questo impianto riuscì a produrre abbastanza acqua pesante per far funzionare un reattore che avrebbe potuto generare in qualche mese abbastanza plutonio per costruire una bomba atomica.
Tuttavia, su richiesta degli Alleati, i partigiani norvegesi nel febbraio del ’43 distrussero sia l’impianto di produzione sia le scorte di acqua pesante già realizzate, prima che queste fossero trasportate in Germania.
Il progetto fu perciò abbandonato.
Se quindi la prima bomba atomica all’U235 non scoppiò su Londra, lo dobbiamo ad un errore di calcolo di un fisico illustre che aveva accettato il regime nazista. Heisemberg, a guerra finita, dichiarò che aveva sbagliato volutamente, per non dare ad Hitler un’arma nucleare. Tuttavia, non ci sono dubbi sul fatto che mentiva: egli infatti aveva dichiarato esplicitamente la sua simpatia per il nazismo fin dal 1933, aveva giurato fedeltà ad Hitler nel ’34 e la sua famiglia era legata da una vecchia amicizia con la famiglia di Himmler. Inoltre, la sua reazione d’incredulità quando, prigioniero degli inglesi, venne a sapere della distruzione di Hiroshima ad opera di una bomba nucleare all’U235, mostra chiaramente che aveva effettivamente sbagliato i calcoli.
Tuttavia, se nel 1943 Londra non fu distrutta da una bomba nucleare al plutonio trasportata da una V1, cosa che avrebbe certamente potuto ancora cambiare l’esito della guerra, lo dobbiamo all’eroismo dei partigiani norvegesi.
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
Pubblicato mercoledì 2 Dicembre 2015
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