La mia voce è sempre stata carica di sentimento,
perché ero legata alla vita che vivevo.
Quando sul palco versavo lacrime, non era Hollywood, era la realtà.
Tina Turner

Nata nella terra di nessuno, Brownsville, un remoto paesino rurale intorno a Nutbush, nel Tennessee, il 26 novembre 1939, Anna Mae Bullock, in arte Tina Turner, ha trasformato la sua lotta per la sopravvivenza in una rinascita che l’ha vista assurgere a regina indiscussa del rock’n’roll internazionale.

Donna, nera negli anni dell’America razzista, è diventata icona del riscatto da una vita segnata da violenza domestica e discriminazione. Niente è stato facile. A partire dalla consapevolezza di essere una figlia non voluta.

La madre Zelma Currie Bullock, soprannominata Muh, la prima sillaba di mother, sposò Floyd Richard Bullock, portandolo via a un’altra donna. Il matrimonio fu un campo di battaglia fin da subito, anche alla nascita della primogenita Alline. Quando la coppia decise che era tempo di separarsi, Zelma scoprì che era di nuovo in attesa. Così non ebbe altra scelta che restare. Quell’attesa era Anna Mae. Bambina iperattiva, instabile, provata dai continui litigi familiari.

Non tanto per ragioni economiche, non così precarie come per altre famiglie della zona. Il padre era supervisore in una fattoria e anche la madre lavorava nei campi. Un orto ben curato era una risorsa importante, la comunità di amici e parenti era vivace, le domeniche si andava tutti in chiesa. La nonna paterna, Mama Roxanna Bullock, e quella materna, Mama Georgie Currie, erano presenti nella vita delle nipoti. Ma ciò non bastava a tenere unita la famiglia. Gelosie, schiaffi, calci, urla, erano la norma. Quando il matrimonio si ruppe la madre fuggì abbandonando le due figlie. Era il 1950. Anna Mae aveva solo undici anni. Quella sparizione ebbe un effetto traumatico. Il padre fece di tutto per riavere indietro sua moglie. Scovata a St. Louis, vi spedì le figlie perché la convincessero. Lei non tornò mai a casa e nell’animo della figlia più giovane, si radicò il seme della diffidenza, della sfiducia, la certezza di non essere amata.

La vecchia Flagg Grove School di Nutbush dove studiava Tina Turner

L’esperienza scolastica fu una ulteriore ragione di malessere per Anna Mae. La Flagg Grove School di Nutbush era uno stanzone rivestito di tavole di legno in cui più classi facevano lezione contemporaneamente. Scopriamo una bambina in difficoltà nello svolgere esercizi alla lavagna, una bambina che si sente incapace, diversa dagli altri. Solo più tardi si saprà di un disturbo di apprendimento, la dislessia, che ai tempi la scuola non era in grado di rilevare e di affrontare adeguatamente. Quello stesso istituto, nel 2004, verrà trasportato da Nutbush alla periferia di Brownsville per farne un museo attraverso cui celebrare la carriera dell’ex alunna diventata la regina del rock, Tina Turner. Ristrutturato, riempito di cimeli, costumi di scena, dischi sistemati accanto al vecchio banco di legno e a una lavagna dell’epoca. Con qualche artificio, dalle finestre, la sensazione di vedere una distesa di campi di cotone.

Se la scuola non la gratificava, attraverso il canto Anna Mae esprimeva il proprio talento. “Ho sempre cantato – racconta nella sua autobiografia My love story –. Alcuni dei miei ricordi più lontani riguardano mia madre che mi portava a fare compere quando lei e mio padre vivevano a Knoxville, una grande città piena di negozi di ogni genere. Quando le commesse scoprirono che ero brava a cantare, mi misero su uno sgabello – avevo quattro o cinque anni – e mi ascoltarono mentre mi esibivo nei successi del momento (…). Sentendo una canzone alla radio la imparavo all’istante. Per me era naturale”. Un dono di natura, il talento nel canto, di cui la bambina fu subito consapevole. Alla chiesa santificata di Knoxville, durante il rito della comunione, quando la congregazione riceveva lo Spirito, tutti ballavano, battevano le mani e cantavano a squarciagola. Anna Mae ballava e cantava con loro.

Ai pic nic intratteneva i partecipanti cantando accompagnata dal trombone di Mister Bootsy Whitelaw. Così divenne famosa: la piccola Anna Mae che cantava con Mister Bootsy. “Cantare per me era un modo di esprimermi e anche una forma di consolazione, soprattutto quando la mia situazione diventò imprevedibile”. Dopo la fuga della madre anche il padre si trasferì altrove, sparendo dalla vita delle figlie. Le due bambine per un po’ restarono con dei cugini, fino a che Anna Mae trovò sicurezza e affetto presso una giovane coppia bianca, Connie e Guy Henderson, che aveva bisogno di aiuto per il figlio. Le insegnarono che si poteva vivere nell’amore e nell’armonia. A sedici anni la ragazzina si trasferì dalla nonna prediletta, Mama Geordie, che morì poco dopo. Dovette accettare l’invito della madre a raggiungerla, insieme ad Alline, a St. Louis. Le continue perdite di persone care, gli abbandoni, la sensazione di non sentirsi amata, incidevano pesantemente sulla stima di sé.

A St. Louis una sera, su invito della sorella, in un locale notturno della zona est della città sentì suonare la band che in quel momento faceva il tutto esaurito, quella di Ike Turner and the Kings of Rhythm. La canzone Rocket 88, nel 1951, era uno dei primi brani rock’n roll della storia e Ike era il musicista più popolare della zona.

Si diceva fosse un uomo rabbioso e dal carattere duro, ma che nonostante la cattiva reputazione avesse una personalità capace di attrarre le persone. Ike veniva da Clarksdale, nel Mississippi, il padre era morto giovane in modo lento e doloroso, a causa delle botte prese da un gruppo di bianchi che volevano fargliela pagare per avere avuto una storia con una donna bianca. Un odio profondo da quel momento si era insinuato nella sua vita. Verso chi gli aveva ammazzato il padre, verso le ragazze che lo rifiutavano, verso le persone benestanti. Unico obiettivo, quello di fare soldi e possedere tante donne. “Aveva un talento autentico – racconta Tina – con cui illuminava ogni palcoscenico su cui saliva. Prendeva la chitarra oppure si sedeva al pianoforte. E infondeva la vita nello strumento. Il pubblico impazziva”. Anche Anna Mae.

B. B. King

Una sera mentre Ike stava cantando You know I love you di B.B. King, la ragazzina colse l’occasione per farsi notare. Cominciò a cantare con una voce così potente da costringere tutti a prestarle attenzione. Anche Ike. La strada era segnata, il dado tratto. L’amore per la musica fu ciò che dal principio legò un uomo di professione musicista e una ragazzina molto più giovane dotata di una voce stupefacente, e tanta insicurezza. Con il sassofonista Raymond Hill che suonava nel gruppo di Ike, intrattenne una breve storia da cui Anne ebbe un figlio, Craig Raymond. Era il 1958, il padre sparì presto, lei aveva diciotto anni e il desiderio di offrire una bella vita al suo bambino. Lavorava come ausiliaria in ospedale, ma non bastava per mantenersi e poi soprattutto lei voleva cantare. Il confine dell’amicizia tra lei e Ike si ruppe poco dopo, quando, nel 1960, lei scoprì di essere incinta. Vita e lavoro divennero un tutt’uno e Anna Mae cominciò così una nuova vita, di musica ma anche di violenza e disperazione. “La mia relazione con Ike fu condannata il giorno in cui lui capì che io potevo essere il suo biglietto d’ingresso per il mondo della celebrità, la sua gallina dalle uova d’oro”.

La canzone A Fool in love scritta da Ike per un’altra cantante, divenne la sua canzone: la storia di una donna innamorata di un uomo che abusa di lei. Parole profetiche: You know you love him, you can’t understand/Why he treats you like he do, when he is such a good man. Ike e Tina Turner con le Ikettes interpretano il pezzo alla trasmissione Hollywood A-Go Go nel 1965.

e al programma tv Shindig!

Quando fu chiaro che la canzone avrebbe avuto molto successo Ike decise di trasformare i Kings of Rhythm nell’Ike e Tina Turner Revue, uno spettacolo che poteva raccogliere un vasto pubblico. In teatro, nei programmi televisivi.

Ike and Tina Turner Revue:

Ike and Tina Turner Revue dal vivo al Playboy after dark nel 1969.

Il nome d’arte Tina Turner, che lasciava intendere erroneamente che i due fossero sposati, divenne un marchio registrato a nome di Ike. Il nome e la persona che lo portava diventavano sua proprietà. Lui, su quella proprietà deteneva un controllo totale, perpetrato con la manipolazione psicologica e con la violenza.

Ike e Tina Turner nel 1971

“Quando mi propose l’idea del nuovo nome, fingendo che mi servisse un nome d’arte più efficace, dentro di me avvertivo che sarebbe stato un errore (…). Mi azzardai a mettere in discussione la sua proposta, dissi che non volevo cambiare nome e che non ero sicura di voler andare in tour, come lui aveva progettato. Poi prese un tendiscarpe di legno e si avvicinò per darmi una lezione che non avrei dimenticato tanto presto (…). Quando finì, restai sdraiata sul letto con un bernoccolo in testa e pensai: Sei incinta e non sai dove andare. Ti sei ficcata in un bel guaio. Quella sera nacque Tina Turner e la piccola Anne sparì per sempre”.

Sul palcoscenico Ike era la star e, oltre alla band, c’erano le Ikettes, tre coriste che cantavano e ballavano e c’era Tina che nascondeva il pancione sotto un busto. Nessuna paga per lei, solo vitto, alloggio, a volte un regalo. Si suonava in locali lerci, solo per i neri, senza servizi. Ma Tina aveva risorse a non finire, la capacità che aveva sviluppato da piccola di sopravvivere alle disgrazie. Tanto da riuscire a trasformare un incidente dalla parrucchiera che le provocò la caduta dei capelli, nel suo tratto distintivo: l’uso della parrucca. Parrucche personalizzate, da lei modificate, con le quali imporrà la sua immagine rock, un po’ punk, di certo trasgressiva. Che si accordava alla sua voce, non tipicamente femminile. Sam Cooke e Ray Charles, Otis Redding, erano gli artisti uomini che Tina amava ascoltare e che l’avevano influenzata. E poi James Brown che entrava in scena facendo il passo chiamato Mashed Potato, a cui Tina si ispirò. Infine, le voci gospel, come quella di Mahalia Jackson e di Sister Rosetta Tharpe, donne di grande personalità e presenza scenica.

Nel 1960 la tappa più eccitante fu quella all’Apollo di New York, Tina aveva tutta l’energia del mondo e avrebbe voluto cantare in modo più espressivo, diversamente da come le imponeva Ike. Ma era lui a decidere. Di passaggio a St. Louis, non volle neppure che lei prendesse in braccio suo figlio Craig di pochi anni lasciato con la babysitter. C’era il tour che doveva proseguire. Anche subito dopo il parto Tina doveva essere pronta a tornare in scena, era lei lo spettacolo, era per lei che la gente pagava il biglietto. Così per consolidare il suo potere Ike comprò una casa in cui far convivere i figli avuti da una precedente relazione con il figlio di Tina, Craig, insieme al nuovo arrivato.

Nel 1962 il matrimonio fu una triste cerimonia civile a Tijuana.

Nel 1964 si aggiunse alla band Rhonda, che si occupava dell’organizzazione. Una donna bianca, con un gruppo di persone nere era un fatto insolito, malvisto negli stati del Sud. Tanto che la si doveva nascondere. Mentre era pericoloso muoversi al di fuori dei quartieri neri per Tina e la band. C’era sempre qualcuno pronto a chiamare la polizia solo per il fatto di vedere un gruppo di neri, con in più una donna, spesso appellata come puttana negra. Gli hotel erano al completo quando si presentavano per prenotare una stanza. Erano gli anni delle manifestazioni per i diritti civili; nel 1963 si era svolta la Marcia su Washington per la pace e il lavoro, con a capo Martin Luther King. Ma per le strade del Sud, le parole del suo famoso discorso, erano solo una eco lontanissima. Il clima teso delle discriminazioni rendeva la situazione già al limite tra Ike e Tina ancora più difficile. Nessuno sprazzo di libertà era concesso a lei, in nessun campo e tanto meno in quello artistico.

Ike and Tina Turner dal vivo al The Big T.N.T. Show (1965).

Ma nel 1966 la proposta del produttore Phil Spector che le giunse tramite Ike cambiò i suoi orizzonti. Si trattava di registrare River Deep – Mountain Hight. Senza nessuna intromissione di Ike, questo era il patto. Solo dopo aver ottenuto i soldi stabiliti con Spector – per lui, non per Tina – Ike le concesse di collaborare al progetto. Da sola, senza la sua ingombrante presenza, lei scoprì che poteva cantare con una voce diversa, poteva intonare le melodie e non solo fare degli urletti come pretendeva il marito.

Una straordinaria interpretazione di River Deep – Mountain High e di I’m Gonna Do All I Can (To Do Right by My Man)

“Sapevo che a Ike non sarebbe piaciuta e temevo che mi avrebbe punito picchiandomi, come faceva sempre quando qualcosa lo irritava”. Ma quella era la sua vera voce, uno strumento capace di dialogare con un’orchestra di archi, di trombe, di rullanti, e tenervi testa. In America il pezzo non ebbe consensi. Non era abbastanza black per rientrare nel rhythm and blues ma neanche abbastanza bianco per essere pop. In Inghilterra invece sfondò. I Rolling Stones vollero l’Ike and Tina Turner Revue ad aprire i loro concerti. Come alla Royal Albert Hall.

Un successo clamoroso. Ma questo non servì a calmare la mania di possesso di Ike. “Mi mandava a fare shopping ma solo perché, secondo il suo ragionamento, quando gli altri mi ammiravano in realtà ammiravano anche lui. In un modo perverso, i segni che mi lasciava – l’occhio nero, il labbro spaccato, la costola fratturata, il naso gonfio – erano marchi, segni di appartenenza, un’altra maniera di dire: Lei è mia e posso farci quello che voglio”. Una volta Tina provò a scappare diretta a St. Louis dalla madre, ma non ci volle molto perché Ike la intercettasse lungo il tragitto. Un’altra, nel 1968, Tina arrivò a tentare il suicidio. In casa la situazione era diventata intollerabile. Ike vi aveva portato a convivere altre due donne, tutte sue amanti, una incinta. Per lui il sesso era potere. Tra di loro si instaurò un rapporto di complicità, erano tutte accomunate dalla stessa condizione di dipendenza da un uomo che dettava loro ordini, che le governava e le abusava. Ma una sera, prima di un concerto, Tina ingerì un flacone di tranquillanti. Venne portata al Daniel Freeman Hospital per una lavanda gastrica. Al suo risveglio le prime parole di Ike furono: Dovresti morire, stronza. Non gli importava della sua salute, l’unica cosa a cui teneva erano gli spettacoli da fare, e i soldi da guadagnare.

Lo spettacolo, infatti, viaggiò per tutti gli Stati Uniti, Ike e Tina si esibirono perfino al Madison Square Garden. Nel 1971 a Parigi Tina ricevette una standin ovation. In quello stesso anno Proud Mary scalava le classifiche di mezzo mondo diventando una hit che vinse il Grammy per la miglior esibizione vocale di un gruppo rhythm and blues.

L’esibizione all’Ed Sullivan Show nel gennaio del 1970.

E poi ospiti di Teatro 10, nel 1971 presentati da Alberto Lupo con I Want To Take You Higher e Proud Mary.

Con i soldi di questo successo Ike si fece costruire uno studio di registrazione che fu la sua rovina. Qui si rinchiudeva giorno e notte, spesso sniffando cocaina, ubriacandosi, cercando di produrre una canzone di successo. Inutilmente. Le violenze domestiche erano all’ordine del giorno. Tina era una frequentatrice abituale del pronto soccorso, dove arrivava regolarmente con il viso tumefatto. Ma lei pensava che per i neri e soprattutto per le coppie sposate, le botte, i litigi, la violenza, fossero una cosa normale.

Lo spettacolo doveva continuare, hit dopo hit. Come Nutbush City Limits.

L’adesione al buddismo, con la meditazione e la recitazione dei mantra furono un’àncora di salvezza, la possibilità di una nuova prospettiva nella sua vita. Nel 1975 ottenne la parte di Acid Queen nel film di Ken Russell basato sull’opera rock degli Who, Tommy. Un’esperienza che le regalò un briciolo di indipendenza. E le diede la forza di reagire.

Nel 1976, dopo uno spettacolo a Dallas, mentre Ike era addormentato, prese una borsa con poche cose e se ne andò da quella stanza di hotel e da quella vita. Dopo aver camminato a lungo quella notte si presentò all’hotel Ramada Inn. Era senza soldi, aveva il viso deformato. Sanguinava. Era nera. Il direttore comprese e le diede una stanza, una zuppa calda. Nessun tentativo di Ike di riportarla indietro andò in porto. Tina aveva trentasette anni, e una nuova vita davanti. Nessuno era pronto a scommettere su di lei senza Ike. Rhonda, invece, che le restò accanto, le organizzò una partecipazione al famoso varietà di Cher. Ci era già andata con Ike nel 1975 dopo il divorzio di Cher da Sonny ed era rimasta così colpita nel vederla felice per conto suo, libera. Artefice della propria carriera. La trasmissione diede a Tina grande popolarità. E la decisione di chiedere il divorzio. Decisione che scatenò in Ike nuove violenze, persecuzioni, ricatti. Davanti al giudice, però, Tina ottenne, non solo il divorzio, ma anche la proprietà del suo nome d’arte.

Tina Turner canta Shame Shame Shame con Cher al The Cher Show, nel 1975.

Grazie al giovane manager, Roger Davies, che le diede fiducia e le creò una band e uno show, Tina finalmente ballava da sola. Dopo il concerto all’East Village di New York, nel 1981, Tina Turner divenne l’artista con cui tutti volevano collaborare. Da Rod Steward che la sentì cantare la sua Hot legs e le chiese di duettare con lui al Saturday Night Live nel 1981.

Di nuovo dal vivo in Get Back e Hot Legs.

I Rolling Stones la invitarono ad aprire alcuni loro concerti in Nord America. Nel 1981 la sua voce in Honky Tonk Woman erompeva dai grandi stadi. Cantare davanti a folle oceaniche era sempre stato il suo sogno e ora lo stava realizzando.

Tina Turner in Honky Tonk Woman nel 1982

E poi David Bowie. In occasione del lancio del suo disco Lets dance, la sua etichetta discografica, la Capitol, gli aveva organizzato una serata in un locale. Bowie annunciò pubblicamente che quella sera sarebbe andato altrove, ad ascoltare la sua cantante preferita: Tina Turner. Così tutti vollero conoscere questa nuova artista e quella sera la sala era piena di celebrità. Lets stay together di Al Green, in duetto con David Bowie fu una hit. Non meno di Lets dance.

Qualche tempo dopo con lui realizzerà uno spettacolo dal vivo alla NEC Arena di Birmingham, aprendolo con Everything’s gonna be all right, tonight, canzone scritta da Iggy Pop nel 1977 per il suo album Lust For Life. La cover di David Bowie e Tina Turner fu incisa nell’album di Bowie, Tonight, del 1984.

Bowie per lei scriverà poi Girls.

Nelle testimonianze della Turner, la solidarietà e il supporto dell’artista londinese furono fondamentali per l’avvio della sua carriera. L’aiutarono, inoltre, a lasciarsi alle spalle tutte le violenze subite. Nel 1984, con l’album Private Dancer della stessa casa discografica di Bowie, la Capitol Records, Tina raggiungeva un successo grandioso, di vendita, di critica. La canzone omonima, segnando anche una decisa svolta verso la musica pop, l’aveva scritta Mark Knopfler dei Dire Straits per sé, ma poi aveva pensato che fosse più adatta a una donna.

Nell’album ogni canzone era la nuova Tina, la vera Tina. Steel Claw,

I cant stand the rain,

Better be good to me, furono la colonna sonora dei migliori anni Ottanta.

Le radio passavano le canzoni continuamente, il nuovo canale televisivo MTV trasmetteva i primi video musicali. Quello di What’s love got to do with it vinse un MTV Video Music Award nel 1984.

Il video.

La premiazione.

L’album ottenne il Grammy Award del 1984.

Da qui un tour mondiale. Artista ormai di livello planetario, fu anche talent scout. Di uno sconosciuto Bryan Addams, Tina decise di cantare Itonly love, invitandolo poi ai suoi live. Restituì il favore che lei aveva ricevuto dai grandi della musica. L’incontro, infatti, spianò la strada al giovane cantautore canadese.

Oltre alla musica, Tina si distinse come interprete nel cinema. Nel 1985, in Mad Max – Oltre la sfera del tuono recitò la parte dell’eroina Aunty Entity, al centro di un racconto futuristico, di azione e di avventura. I costumi, la parrucca sulla testa rasata, per quel ruolo così potente, contribuirono a creare l’immagine di Tina Turner come una donna forte, che aveva attraversato una vita di ostacoli, di violenze e di traumi, ma era lì, vincente, sicura di sé.

La colonna sonora con We don’t need another hero rese il film memorabile.

Tina rappresentava qualcosa di inedito, con una immagine e una personalità originali. “A quei tempi, non c’erano donne che cantavano e ballavano come facevo io, donne che potevano essere sexy senza buttarla sul sesso. Andavo in scena coi tacchi alti e un vestito corto, ballavo, ridevo e mi divertivo senza dare alle donne del pubblico l’impressione di voler sedurre i loro uomini. Dal mio palco non arrivava mai niente di negativo”. Quante donne potrebbero reggere il palco con Mick Jagger, per esempio. Ma fu una coppia bilanciatissima, basti vedere la loro esibizione al Live Aid del 1985 dove intonarono State of rock, It’s only rock’n’ roll.

Oppure Brown sugar in un live in Giappone.

La rinascita di Tina Turner divenne anche un esempio per molte donne: era la certezza che per tutte ci poteva essere una seconda possibilità. “La seconda volta ho avuto l’opportunità di riscrivere la mia vita – di rifare tutto quanto come volevo io – senza dover vivere all’ombra di qualcun altro”. Mark Knopfler rese perfettamente questo stato d’animo scrivendo per lei Overnight Sensation. Ike aveva fatto parte della sua vita e vi sarebbe sempre rimasto, ma ora era un’immagine sempre più lontana e sbiadita.

Arrivò anche l’amore vero, nella persona di Erwin Bach, dirigente della EMI, la sua casa discografica in Europa, dove la Turner era molto apprezzata. Lo sposerà anni dopo, con cerimonia in Svizzera – dove prese la cittadinanza – e una luna di miele al Grand Hotel a Villa Feltrinelli sul lago di Garda.

La carriera artistica raggiunse tappe decisive. Dopo il tour Private Dancer, seguì il Break Every Rule nel 1987,

il Foreign Affair nel 1990

e il What’s love got to do with it nel 1993 che si apriva con l’energica Streamy Windows.

Spettacoli sempre più articolati e sbalorditivi, con corpo di ballo, una band di musicisti stellari e una equipe tecnica alle luci, suoni, scenografie, effetti speciali. Spettacoli che raccoglievano ammiratori in tutto il mondo, pronti a ballare e cantare i suoi cavalli di battaglia. Lets stay together, Proud Mary, Tipical male,

The best, dall’omonimo album del 1989.

Nel 1995 ebbe modo di collaborare con gli U2, band capeggiata da Bono Vox che, insieme al chitarrista The Edge, stava scrivendo la colonna sonora per il film di James Bond, Goldeneye di Martin Campbell. Fu a lei che proposero di cantare la title track.

Un musical sulla sua vita: Tina: The Tina Turner Musical andò in scena all’Aldwych, uno dei teatri più antichi di Londra. E il film Tina – What’s love got to do whiti it (1993), diretto da Brian Gibson, rendeva pubblica la sua storia di violenza e di rivalsa.

https://www.youtube.com/watch?v=0EVwA_BrRnA

Nel 2002 il tour Twenty Four Seven Millennium la porterà in giro in Europa e Nord America. L’ultimo tour, a sessantanove anni fu il Fiftieth Anniversary, che partiva dal Missouri, dove era cominciata la sua carriera con Ike, e si concludeva nel maggio del 2009 a Sheffield, una città dello Yorkshire.

Nel 2013 la rivista Vogue le dedicava la copertina, mostrando la bellezza e la grande forza di una donna che aveva vinto su ogni discriminazione, affermando se stessa come donna libera, che aveva realizzato il proprio talento.

La sua storia di fatica e di rivincita, sul razzismo, sulla violenza domestica fu esemplare. Ofrah Winfrey la intervistò più volte, perché raccontasse ciò che aveva passato e come ne era uscita. Era un’occasione per raggiungere altre donne maltrattate e portare l’attenzione su un argomento taciuto, quello dell’abuso domestico subito da tante donne in silenzio. “Quando le persone ti guardano sul palco – le disse la conduttrice – sanno che vieni da un abisso di disperazione. Significa che, per quanto una donna possa essere disperata, può arrivare dove sei arrivata tu”.

https://www.youtube.com/watch?v=eMzus2EwHS4

Si può sempre trasformare il veleno in medicina, è stato il messaggio di saluto al pubblico. Un messaggio rivolto a tutti i fan, gli estimatori, gli appassionati, i musicisti suoi collaboratori, le donne che in lei vedevano un modello. Tina Turner è mancata il 24 maggio 2023, all’età di 83 anni nella sua casa di Küsnacht vicino Zurigo, dopo diversi anni di malattie. Ebbe un ictus, danni ai reni che la costrinsero alla dialisi e poi al trapianto di rene donatole dal marito. Infine un cancro all’intestino diagnosticato nel 2016.

Tina Turner è stata la prima star donna del rock’ n’ roll mondiale, capace di portare la stessa potenza nella musica pop. Ha realizzato una quantità impressionante di incisioni e di video musicali, tra le protagoniste della nascita di questo nuovo mezzo, esploso negli anni Ottanta. Un’immagine fuori dal comune, sexy senza essere provocante, anomala come la voce che lei stessa descriveva come quasi maschile. Passi di danza probabilmente irripetibili, energia e grinta fuori dal comune. Icona per tante donne oltraggiate che hanno trovato in lei la forza di non soccombere.

In questa ultima intervista, del 2019 Tina Turner ripercorre la sua storia artistica e di vita.

https://www.youtube.com/watch?v=AWHaONa1mWI

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli