Essere direttrice significa essere un’eccezione. La normalità del proprio lavoro è riconosciuta raramente. C’è un muro da parte degli organizzatori di teatri e festival, perché questo “essere sensazionale” serve per creare curiosità, aiuta a vendere ma anche a conservare le donne nella ghettizzazione.
Elke Mascha Blankenburg
Elke Masha Blankenburg, musicista, direttrice d’orchestra, saggista, è autrice di Le direttrici d’orchestra nel mondo. Una galleria di ritratti da Marin Alsop a Xian Zhang, l’unica e più completa ricerca sulla storia delle donne nella direzione musicale, da lei realizzata nel 2013. Ma è grazie alla recente riedizione di Zecchini (2023), a cura della docente di Sociologia generale all’Università di Roma Tre, Milena Gammaitoni, che il lavoro di divulgazione della Blankenburg (mancata nel 2013) è oggi all’attenzione di un più vasto pubblico e ha potuto essere aggiornato con nuove biografie. In nome di una comune passione per la musica e per la storia delle compositrici, la docente ha ricevuto in eredità i diritti esclusivi del libro per farne non solo la celebrazione della musicista e studiosa, ma un’opportunità di continuarne il lavoro, mediante l’organizzazione di convegni a tema, al fine di sensibilizzare sulla valorizzazione del repertorio musicale prodotto dalle donne. La musicista tedesca di Mindelheim, infatti, non solo è stata direttrice d’orchestra di grande talento, ma ha unito allo studio della musica l’interesse per le donne che la composero e che, come lei, dovettero combattere contro pregiudizi e rigide convenzioni.
Il volume, dunque, è un’occasione per guardare più da vicino una realtà poco conosciuta in cui le donne da sempre marginalizzate, salendo sul podio con una bacchetta in mano, hanno messo in discussione una mentalità radicata, stereotipi cristallizzati da secoli. Certo, impresa non facile. Le donne hanno dovuto mettere alla prova una strenua resistenza alle disuguaglianze di genere, sopportare una serie inenarrabile di angherie e ostacoli, tra cui l’avversione di maestri o familiari pronti a disincentivare un tipo di formazione ritenuta inadatta a loro, perché: “Bisogna essere sposati con l’orchestra e una donna non lo può fare” (p. 52). Ma hanno cercato strade alternative, creato nuove forme di gestione dell’orchestra, e oggi rappresentano esempi di straordinaria tenacia, con la quale, insieme al talento e allo studio, stanno cambiando regole apparentemente immutabili.
A partire dall’esempio della musicista tedesca che sulla scia dei primi movimenti femministi degli anni Settanta sentì necessario andare alla scoperta del valore musicale delle donne. È lei stessa a descrivere il sentimento di viva curiosità che guidò la sua ricerca: “Sono andata all’Istituto Musicologico di Colonia, il più grande dopo quello di Berlino, e ho lavorato dalle otto fino alle cinque del pomeriggio al catalogo per scoprire i nomi: Francesca Caccini, Lili Boulanger… vedevo solo i nomi, tanti, e scrivevo senza sapere delle loro musiche. Dopo dieci giorni ho trovato 112 nomi. Non hanno scritto solo musica per pianoforte o canzoni, quella permessa per una donna, no! Hanno scritto sinfonie, opere. In quel momento ho scoperto un nuovo mondo che ha cambiato la mia vita. Divenne una mania, per 15 anni, dovevo sapere chi erano queste donne, cosa hanno scritto, come hanno vissuto. E se quello che hanno scritto è buono. Perché siamo pieni di dubbi verso la qualità delle donne?” (p. 21).
Così nel 1978 fondò il circolo culturale poi diventato la Fondazione “Frau und Musik” (Donne e Musica) con lo scopo di conservare ed eseguire le musiche delle compositrici, tra cui Fanny Mendelssohn e Marianna Martinez da lei scoperte; una biblioteca Internazionale di Musica di Compositrici e diverse orchestre dedicate all’esecuzione delle loro musiche, tra cui la Clara Schumann Orchester Köln.

Nel 1996 istituì in Italia l’Accademia Europea Francesca Caccini e l’Orchestra Clara Schumann. Dal 1999 si dedicò alla scrittura e nel 2003 pubblicò la sua indagine, mossa da motivazioni che anche Gammaitoni ha prontamente rilevato: “Vedere su un podio una donna dirigere un’orchestra (…) sembra sempre un’eccezione ed una regola scritta di una Storia che ha censurato la vera storia della presenza delle donne nella musica, così come in tutte le altre arti e discipline” (p. 1). La scoperta delle loro musiche inoltre non è garanzia di loro esecuzione, infatti coloro che sono emerse dall’oblio hanno avuto questo privilegio in virtù del loro famoso cognome: Clara Wieck Schumann, Fanny Mendelssohn, Alma Mahler.
Invece i dati restituiscono un numero elevatissimo di compositrici, ma anche pedagoghe, musicologhe, direttrici d’orchestra, figure dimenticate nei conservatori di tutto il mondo ed escluse dalla storia della musica istituzionalizzata. Figure di eccellente talento, addestrato da numerose attività di studio e formazione spesso a fianco di grandi maestri, o espresso nella composizione di musiche che raramente hanno trovato spazio nella programmazione concertistica delle maggiori istituzioni musicali.

Del resto, le musiciste fin dall’800 poterono studiare musica in virtù del fatto di appartenere a famiglie di artisti, ma furono iniziate allo studio di uno strumento per ragioni diverse dal professionismo, ovvero poiché considerata attività idonea a esaltare qualità femminili. Se dal 1870 i Conservatori iniziarono ad ammettere donne nelle classi di composizione e direzione d’orchestra, poi, le stesse avevano facoltà di frequentarle in giorni e orari diversi da quelli predisposti per gli uomini. A loro erano inoltre destinati programmi di studio ridotti e venivano interdette alla pratica di strumenti a fiato o altri come il violoncello per la posizione fisica disdicevole.

E che dire del fatto che Santa Cecilia, patrona della musica, non fu mai musicista, ma una giovane patrizia che volle consacrarsi alla verginità facendo convertire il suo sposo al cristianesimo. Motivo per cui entrambi furono assassinati. Successivamente Cecilia fu canonizzata e trovò rappresentazione iconografica con uno strumento musicale tra le braccia. Cecilia, a ben vedere, non è altro che l’icona femminile di un sistema culturale oppressivo.
Anche quando nel Novecento, conservatori e accademie accettarono a pieno titolo l’iscrizione delle donne, di fatto la gran parte si trovò a studiare da autodidatte poiché rifiutate dai maestri che le escludevano dalle loro classi d’insegnamento. Una grande contraddizione se si pensa a quanto nell’antichità la figura della donna fosse in molte civiltà associata alla musica. Tra i resti della cultura sumera, per esempio, sono diverse le raffigurazioni rinvenute di donne intente a suonare uno strumento. Nella Bibbia, Miriam viene descritta come danzatrice, direttrice di un coro femminile; in Egitto la musicista Iti dirigeva una banda musicale, mentre in Paesi come Iraq e Iran le musiciste erano considerate sacerdotesse. Nel 1100 Hildegard von Bingen fondò un monastero femminile in cui cantare, suonare, danzare erano pratica quotidiana. Dal 1500 numerose musiciste e compositrici trovarono spazio come direttrici di cori all’interno di conventi nelle corti europee. Erano le Maestre di Cappella, come Maria Rosa Coccia (Roma 1759-1833) che a soli quindici anni superò l’esame presso la Confraternita di Santa Cecilia e per la prima volta ottenne un ruolo che era esclusivamente maschile. O come Francesca Caccini che nel 1624 scrisse una delle prime forme di melodramma ispirandosi all’Orlando Furioso, rappresentato alla corte di Varsavia. Compositrice attivissima e ben remunerata presso la corte medicea, viaggiò a lungo in tournée per le corti italiane ed europee. Claudio Monteverdi riconobbe in lei una maestra.
Francesca Caccini, Ch’amor sia nudo, I canti di Euterpe: Composizioni femminili (XVI – XVII secolo), La Bottega Discantica.
Dopo il 1850 si affermò la professione del direttore d’orchestra distinta da quella del compositore, condizione che divenne la prassi lungo tutto il Novecento. E da allora le direttrici d’orchestra divennero figure eclissate. Nel 2001 la direttrice belga Zofia Wislocka costituì la prima associazione in Europa di direttrici d’orchestra, “Femmes Maestros”, partendo dalla constatazione che, a differenza di Paesi come Stati Uniti o Australia, nel Vecchio continente nessuna donna era incaricata di dirigere una grande orchestra. Serviva un duro lavoro per abbattere lo stereotipo più duro a morire, ovvero che solo il carisma maschile potesse esprimere quel talento.
Non solo. Il mondo dello spettacolo, della direzione artistica, del teatro, come molte biografie raccolte nel volume hanno dimostrato, appare per lo più gestito da lobby maschili in cui le donne occupano ancora un ruolo marginale (solo recentemente, nel 2023, la pianista e direttrice d’orchestra lucchese Beatrice Venezi è stata nominata consigliere per la musica al ministero della Cultura). Una soluzione che molte di loro hanno trovato per emergere è stata quella di fondare proprie orchestre soprattutto femminili, ma non senza enormi difficoltà. Discriminazioni e pregiudizi, poi, hanno da sempre riguardato anche le strumentiste.
Negli Stati Uniti, per esempio, uno studio condotto sulle udizioni al buio nelle orchestre sinfoniche ha rivelato che per una musicista suonare dietro una tenda, nascosta dalla commissione selezionatrice, aumentava la possibilità di essere assunta. Certo, decisamente più grave la situazione di Paesi in cui le donne tuttora subiscono la discriminazione del patriarcato più violento. Ne è testimone Negin Khpalwak (Konar, 1997), la prima direttrice d’orchestra afghana, alla guida dell’orchestra femminile Zohra da lei fondata nel 2017, che dopo aver diretto un concerto in Afghanistan, durante il quale un kamikaze si fece esplodere, dovette fuggire dal suo Paese. La direttrice racconta che da quando i talebani sono tornati al potere alle bambine è stata concessa solo un’istruzione elementare, finalizzata all’acquisizione di precetti religiosi, mentre la maggior parte dei musulmani è contraria alla musica, soprattutto se eseguita da donne. “A Kabul quando da studentesse di musica camminavamo per strada la gente ci trattava male, prendendoci in giro e dicendo parolacce”, ha dichiarato in un’intervista raccolta da Gammaitoni (p. 9). “Per la mia gente sono una vergogna. Perché vado a scuola. Perché faccio musica (…). Tanti vorrebbero rinchiuderci nelle case, impedirci di fare musica. Io invece voglio dimostrare ogni giorno che le donne afghane possono fare tutto”, ha raccontato in un’intervista. E in un’altra ha aggiunto: “Se io fossi rimasta a casa non avrei potuto fare musica. Ma qualcuno deve crescere e combattere per i diritti delle nuove generazioni; dobbiamo aprire noi per loro le porte del futuro. Io scelgo la musica: è la mia vita, potete uccidermi ma non lascerò mai la musica”. Ad agosto 2021, dopo la caduta di Kabul nelle mani dei talebani, Negin Khpalwak è stata evacuata negli Stati Uniti assieme al marito Hamid Habibzada, anche lui musicista, e alla figlia. Nel dicembre successivo le musiciste dell’orchestra Zohra e i loro familiari hanno poi trovato rifugio in Portogallo, a Lisbona. Assieme ad altre attiviste cerca tuttora di mantenere alta l’attenzione sull’Afghanistan.
Un interessante approfondimento sulla sua vicenda: Negin Khpalwak, la vittoria della musica sulla barbarie (2017).
La direttrice afghana ha sollevato la questione della formazione delle nuove generazioni e della musica come strumento educativo. Partendo dal tema chiave, il volume si allarga, infatti, anche a una analisi più in grande in cui emerge quanto denso sia il silenzio storiografico sulla presenza delle donne come soggetti attivi nella storia, raramente citate nella manualistica scolastica, censurate e sottovalutate nella loro genialità, ignote e limitate nella loro potenzialità di contribuire alla costruzione dell’identità di donne e di uomini in formazione. Questa esclusione si riscontra in numerosi ambiti. L’Associazione Toponomastica femminile, per esempio, che ha censito le mappe di tutta Italia, ha riscontrato come una minima percentuale di vie o piazze sia dedicata alle donne, soggetti il cui contributo alla storia del Paese è stato di fatto scarsamente riconosciuto.

Tornando alla figura della direttrice d’orchestra, recentemente salita alla ribalta grazie alla produzione cinematografica, tra le pellicole più riuscite, quella dedicata alla vita di Antonia Brico (Rotterdam, 1902 – Denver, 1989), ricavata dal romanzo The Dirigent (2019) di Maria Peters divenuto The Conductor. Il film, uscito nel 2021, ripercorreva le vicende biografiche e tutti i pregiudizi a cui andò incontro una musicista di talento ostacolata nel suo proposito di diventare direttrice d’orchestra affermata. Alla fine, dopo una lunga esperienza come assistente di Karl Muck al Festival di Bayreuth e il debutto con la Filarmonica di Berlino, fu direttrice ospite di numerose orchestre, ma incontrò numerosi ostacoli, tra cui l’avversione di orchestrali e cantanti che rifiutarono di essere diretti da una donna. Il suo nome è legato alla New York Women’s Symphony Orchestra da lei fondata nel 1934, composta da musiciste, che si guadagnò il supporto di Eleanor Roosevelt. Successivamente, in ottica inclusiva, divenne un’orchestra mista col nome di Brico Symphony Orchestra, poiché: “Nella vita i generi si mescolano, dev’essere così anche nella musica”, dichiarò (p. 72). Fu maestra di pianoforte della cantante folk Judy Collins, che produsse il documentario Antonia: A portrait of the woman da cui si coglie quanto Antonia Brico fu una vera pioniera, ispiratrice di schiere di musiciste.
Il documentario:
Nel 2023, invece, il film Tár, scritto e diretto da Todd Field, portava sul grande schermo la storia di una direttrice d’orchestra vestita di tutti gli stereotipi negativi che si possano associare a una donna che vuole fare carriera utilizzando modalità tipicamente maschili, assumendo atteggiamenti manipolatori, ruoli dominanti e autoritari. Il regista ha sempre negato di essersi ispirato alla vita di Marin Aslop, la prima donna a dirigere una grande orchestra negli Stati Uniti. Ma innegabili le numerose coincidenze – entrambe allieve di Bernstein, docenti in importanti conservatori statunitensi, lesbiche, con una compagna membro dell’orchestra che dirigono, entrambe con una figlia adottiva – tanto da indurre la musicista a rilasciare interviste in cui contestare una simile sceneggiatura, tesa a fare del film una rappresentazione contro le donne, un ritratto che non riguardava solo le direttrici d’orchestra, ma le donne come leader nella società.
Il trailer:
Marin Alsop (New York, 1956), è senz’altro tra le figure più sensazionali in fatto di talento. Figlia di musicisti, avviata alla musica da bambina, diplomata in violino a Yale University. Vedere Leonard Bernstein dirigere un concerto alla Filarmonica di New York fu la ragione dei successivi studi in direzione d’orchestra che la portarono a vincere una serie impressionante di premi e riconoscimenti internazionali fino a ottenere la nomina a direttrice musicale di orchestre sinfoniche a Denver, a Long Island, e in Inghilterra, a capo della Bournemouth Symphony, la più antica orchestra britannica. “La mia integrità musicale – ha dichiarato – mi sta più a cuore di tutto il resto, a cominciare dal perenne clamore che suscita una direttrice. È già abbastanza grave che ci sia voluto così tanto perché una donna sia stata ingaggiata per dirigere un’orchestra sinfonica inglese”. (p. 63).
Dvorák, Symphony No. 9, PSO, Marin Alsop.
Il film documentario Divertimento, è invece basato sulla vicenda della direttrice d’orchestra Zahia Ziouani (Parigi, 1978). Di origine algerina, nata e residente in Francia, nel 1998, insieme alla sorella violoncellista ha fondato un’orchestra indipendente cercando di coinvolgere, nella divulgazione e in un’ottica pedagogica, figure ai margini della società, come loro vittime di discriminazioni razziali, avvicinando i più fragili all’ascolto della musica classica ma non solo. A tutt’oggi dirige il progetto DEMOS (Dispositivo di educazione musicale a vocazione sociale), un programma di democratizzazione culturale per l’apprendimento della musica destinato a bambini e bambine dei quartieri più svantaggiati di Parigi.
C.Saint-Saëns| Bacchanale | Zahia Ziouani & Orchestre Divertimento.
Come lei, anche la direttrice cinese Xian Zhang (Dandong, 1973), laurea in direzione d’orchestra al Conservatorio Centrale di Musica di Pechino, a diciannove anni sul podio della China National Opera Orchestra, un dottorato negli Stati Uniti presso l’Università di Cincinnati, nella sua carriera è stata ambasciatrice delle donne nella musica classica, lavorando per promuovere le diversità e l’uguaglianza di genere nella musica classica.
Verdi, Overture – La forza del destino. BBC Proms 2013.
Oltre a queste, quasi un centinaio sono le storie raccontate dalla Blankenburg (Mindelheim, 1943 – Colonia, 2013) a cui si sono aggiunte le biografie raccolte nella nuova edizione. Piuttosto eclatante, la vicenda della musicista tedesca di fronte alla volontà di fare della direzione una professione. Avviata a studi di pianoforte, si diplomò nel 1969 in musica sacra, direzione di coro e direzione d’orchestra presso i conservatori di Heidelberg e Colonia. La scelta di perfezionarsi in direzione d’orchestra a Vienna con Hans Swarowsky, infatti, fu un’esperienza a dir poco scioccante. Unica donna tra quaranta uomini, a lezione dal grande Maestro, tra i cui studenti Zubin Metha, Claudio Abbado, Daniel Barenboim, per essere ammessi occorreva studiare otto grandi opere e dirigere un movimento. Le fu chiesto di preparare Mendelssohn, ma il giorno successivo, a differenza degli altri candidati, le fu ordinato di dirigere un diverso compositore, Mozart. Dopo poche pagine il Maestro la interruppe dicendole che il suo mondo era la cucina, non certo la musica, che non sapeva fare nulla e che stava occupando il posto di un uomo. Quando, ribellandosi a quella discriminazione e appellandosi al diritto a frequentare un corso regolarmente pagato, ottenne di dirigere un intero movimento e riuscì a essere ammessa, il penoso riscontro fu il sospetto che per ottenere il posto fosse andata a letto con il Maestro. “Già da tre anni tenevo concerti con il coro, avevo ventinove anni e in quel momento capii che la mia vita di direttrice d’orchestra sarebbe stata legata all’ingiustizia, al potere, alle derisioni, alla gelosia e che la mia vita non sarebbe stata solo una vita per la musica. Dovevo decidere se affrontare tutto e difendermi oppure lasciare. Ma ho scelto di difendermi”. (p. 20).
Barbara Strozzi – Il Primo Libro di Madrigali op.1, 1644 – dirige Elke Mascha Blankenburg.
Come lei tante altre che sono giunte alla direzione d’orchestra dopo studi e una formazione rigorosa dovettero fare i conti con una cultura maschilista che ancora le considerava l’eccezione o che si soffermava sull’aspetto estetico più che sul talento e la capacità di svolgere una professione. Una professione spesso associata all’idea di potenza, autorità, capacità di comando, tutte qualità che la società attribuisce agli uomini. “Ma dirigere non ha niente a che fare con il potere – ha dichiarato la principal conductor della Sidney Opera, Simone Young (Sydney, 21 marzo 1961) -. Ha a che fare solo con l’oblio di sé e la totale immersione nella musica”. (p. 51).
Simone Young dirige Ein Heldenleben di Richard Strauss (Estratto):
Di fronte ai tanti stereotipi, molte delle storie raccolte rappresentano un resoconto molto significativo del lavoro svolto dalle musiciste e direttrici d’orchestra in termini di innovazione, eccezionalità del talento, ma anche riscontro sul piano sociale. Perché diverse hanno lasciato un segno indelebile nella retrograda società patriarcale del loro tempo attraverso un impegno profuso in più direzioni per far evolvere il modo di considerare le donne.
Figura di straordinario impegno civile è di certo Ethel Mary Smyth (Londra, 1858-1944), compositrice e direttrice d’orchestra che si adoperò attivamente nella causa delle suffragette, partecipando al movimento per il suffragio femminile fondato da Emmeline Pankhurst nel 1903. Fu lei a comporre la famosa March of Women, la Marsigliese delle suffragette, suonata per anni per le strade d’Inghilterra in occasioni di proteste e cortei. Fu in primo piano, con i suoi scritti, con il suo lavoro di compositrice e direttrice per denunciare la condizione della donna, umiliata, privata di diritti sociali, soverchiata dagli stereotipi di allora. Per questo suo impegno, in seguito a una manifestazione a Londra, fu arrestata, ma non smise mai di battersi. Dai suoi racconti si viene a conoscere quanto l’atteggiamento degli inglesi verso le donne fosse incivile. Durante la guerra, per esempio, fu necessario inserire nelle orchestre le strumentiste in sostituzione degli uomini andati a combattere, fatto che aggiunse vitalità, libertà d’espressione alle formazioni orchestrali, imprimendovi un forte spirito di innovazione. Che si arrestò poco dopo quando l’Orchestra Hallé di Manchester decise di tenere fede alla propria origine maschile e licenziò tutte le musiciste. La Smith, che contestò tale decisione, si staglia tuttora come figura di compositrice e direttrice d’orchestra di talento e dalla indiscutibile caratura morale. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si specializzò come radiografa e operò all’ospedale di Vichy al seguito dell’esercito francese. Nel 1922 Re Giorgio V la nominò Dame Commander of the Order of the British Empire, onorificenza riconosciuta a poche.
Un suo ritratto nel documentario DONNE | Women in Music | ETHEL SMYTH (1858 – 1944).
In Europa, personalità di altissimo livello è Nadia Boulanger (Parigi, 1887 – Parigi, 1979). Tra le più rilevanti del mondo della musica del XX secolo, assistente organista di Gabriel Fauré, giunta a condurre orchestre come la Filarmonica di New York, è lei a dirigere la prima del Concerto in Mi Dumbarton Oaks di Igor Stravinskij a Washington nel 1938. Guida per tutte le colleghe che sono arrivate dopo di lei. Eccellenze giunte ad alti traguardi mai senza l’avversione del sistema circostante, spesso anche del mondo della stampa, attento all’aspetto esteriore, all’abito indossato sul podio, all’acconciatura, alla fisicità. Proprio la Boulanger, per esempio, nella recensione di un concerto con la Philadelphia Orchestra nel 1939, ottenne un commento piuttosto inutile: “È salita sul palco con tacchi bassi e passo deciso. Indossava un abito nero di taglio semplice decorato con perline (…). È sui cinquanta, hai i capelli scuri striati di bianco (…). È il ritratto di un’insegnante delle nostre migliori scuole femminili, probabilmente di una materia scientifica”. (p. 69). Invece è tuttora una figura mitologica, un genio musicale incomparabile che ha allevato schiere di musicisti. Come docente di composizione al Conservatorio americano di Fontainebleau, utilizzando anche metodi e tecniche moderne come il computer, formò più generazioni di allievi, tra i quali Leonard Bernstein, Aaron Copland, Philip Glass, Quincy Jones e Astor Piazzolla.
Fauré, Requiem, Op. 48: I. Introitus and Kyrie (Live).
Anche la first lady dell’Opera americana Sarah Caldwell (Maryville, Missouri, 1924) che diresse La Traviata di Verdi al Metropolitan Opera di New York nel 1976, divenuta pietra miliare nella storia della musica, trovò una stampa poco interessata al suo specifico professionale: “È alta un metro e sessanta e pesa 130 chili – scrissero – però si muove con agilità. Indossa abiti che le cadono male addosso, spesso non stirati, dirige l’orchestra con pantofole (…) va dal parrucchiere solo per le Prime.” (p.83).
Sarah Caldwell dirige Rossini, Overture Il barbiere di Siviglia (1976).
Altro esempio di clamoroso talento è l’eclettica canadese Barbara Hannigan (Waverley, 1971), eccezionale voce di soprano che non si è accontentata di cantare, ma ha raggiunto l’obiettivo di dirigere un’orchestra, alla quale ha proposto una modalità personale e innovativa di direzione scardinando il tradizionale rapporto tra direttore e strumentisti. Hannigan ha infatti rivoluzionato l’idea del comando, ricorrendo a una dinamica inedita, non basata sull’imposizione ma sulla condivisione. La sua figura di soprano e direttrice è un unicum nella storia della musica.
MITO 2016 – Torino – Barbara Hannigan soprano-direttore:
Le azioni, le scelte, ma anche le riflessioni delle musiciste qui raccontate aprono a nuove strade da battere per immaginare società, comunità più inclusive. Perché dirigere un’orchestra significa anche riuscire a gestire la convivenza tra persone che devono potersi esprimere liberamente (gli orchestrali) e nel contempo accettare un comando dall’alto (la direzione d’orchestra). Creare questo dialogo rappresenta la sfida.
Linda Horowitz (Los Angeles, 1953), per esempio, ha la visione della direzione d’orchestra come di una forma di organizzazione in cui è necessario imporsi, ma dove bisogna sapere comunicare con amore e capacità. “Penso che le donne siano particolarmente adatte a questo: fin da piccole abbiamo imparato a fare le mediatrici fra le persone (…) e inoltre credo che portiamo sul palco un diverso erotismo, il che è un vantaggio fantastico”. (p. 158).

“Il bello del mestiere di direttore è la creazione in comune”, ha dichiarato l’inglese Julia Jones (Worcester, 1961). (p.163). Così anche per la francese Annick Minck (Seine Maritime, 1943): “Non conosco problemi di autorità. So che ottengo sempre dall’orchestra quello che voglio, e ci riesco senza alzare la voce. Il nostro è un mestiere molto femminile, nel quale le qualità psicologiche hanno grande importanza”. (p. 193)
Sembrano mondi distanti quello della direzione di un’orchestra di musica classica e quello della direzione di ensemble di musica popolare contemporanea in cui si è distinta una grande musicista come Giovanna Marini (Roma, 1937 – Roma, 2024), che non rientra nella trattazione, ma che rilevava la stessa tipica attitudine femminile, quella dote di empatia che permette alle donne di entrare in ascolto dell’altro, senza filtri, cercando di trovare una relazione prima di tutto tra persone prima di esercitare un ruolo di comando.
Altre personalità della direzione d’orchestra hanno fatto emergere peculiarità femminili che rappresentano punti di forza. Le considerazioni della pianista, compositrice e direttrice d’orchestra inglese Ethel Leginska (Hull, 1886-Los Angeles, 1970), direttrice della Women’s Symphony Orchestra di Chicago (1925), adorata negli anni Venti come “la Paderewski al femminile”, erano già allora a sostegno di un elemento fondamentale: “Le donne non saranno mai creative, non faranno mai qualcosa di grande, se prima non prendono coraggio e vanno per la loro strada invece che per quei sentieri già battuti, che viene loro sempre chiesto di calpestare”. (p. 181).
Diverse le italiane di successo. Tra queste, la triestina Gabriella Carli, classe 1953, oggi residente in Svizzera, assistente di Giancarlo Menotti che le suggerì di diplomarsi in direzione d’orchestra. A Berlino è stata per lungo tempo assistente di Herbert von Karajan e ha fondato il Kammerensemble con cui ha tenuto importanti concerti, dirigendo poi le maggiori orchestre sinfoniche nel mondo. “Una direttrice deve avere grande capacità di concentrazione, conoscenza approfondita della partitura e la preparazione deve avvenire nella testa”, ha dichiarato. (p.86).
Antonio Vivaldi, (1678-1741) – L’Estro armonico, Concerto Op. 3 Nr.8.
Nicoletta Conti, bolognese, classe 1957, docente di lettura e partitura al conservatorio G.B. Martini di Bologna, direttrice ospite di numerose orchestre, ha detto: “Una donna che dirige è ancora sempre un’eccezione. Però mi vedo come una persona normale, che ha questa passione per la musica e sfortunatamente è nata in un’epoca in cui per le donne è ancora difficile fare questo mestiere”. (p. 98).
Un approfondimento di Tv2000 in cui la Conti racconta il suo percorso musicale: Donne che sfidano il mondo – Nicoletta Conti, direttrice d’orchestra.
E poi Gianna Fratta, nata a Erba nel 1973 ma cresciuta a Foggia dove è docente di Elementi di composizione al Conservatorio Umberto Giordano, pianista, divulgatrice, impegnata nelle politiche di genere, insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica italiana per i risultati ottenuti in campo internazionale come direttrice d’orchestra. Anche lei arrivata alla direzione d’orchestra tramite una solida esperienza di studio e formazione che l’ha portata a condurre le più importanti orchestre del mondo, particolarmente sensibile al tema dell’educazione: “La musica non ha mai avuto spazio nel processo di formazione ed educazione – ha affermato – e questo ha come conseguenza la perdita di una grande fetta della nostra cultura”. (p.117).
Orchestra OLES – direttrice M° Gianna Fratta – 29 dicembre 2020, Teatro Apollo – Lecce.
Educazione, in Italia soprattutto, che verso le donne non ha certo mirato a creare vertici professionali o posizioni di leadership. Come racconta la direttrice d’orchestra di Ravenna Elena Sartori, classe 1967: “Parlare a bassa voce e il meno possibile, non chiedere, non essere arrogante, non sgomitare per ottenere le cose…questi i fondamenti educativi delle bambine e delle ragazze della mia generazione, a meno che non si fosse nate in classi sociali particolari e quindi predestinate comunque al successo (…). Oggi a volte sorrido pensando che sono arrivata a ottenere la nomination all’international Classical Music Awards partendo dal comando ‘stai al tuo posto e non disturbare’”. (p. 225).
Altra eccellenza italiana, tra le più giovani, è Valentina Peleggi (Firenze, 1983), direttrice musicale della Richmond Symphony (Virginia, USA), dalla stagione 20/21.
Orchestra del Teatro Petruzzelli, dirige Valentina Peleggi.
I contesti familiari di provenienza segnano in vario modo il destino delle musiciste diventate direttrici. La lituana Mirga Gražinytė-Tyla (Vilnius, 1986), figlia di musicisti, è immersa nella musica da bambina, e i concorsi vinti la portano alla direzione di importanti orchestre, tra cui la City of Birmingham Symphony Orchestra di cui viene nominata direttrice musicale. È la prima donna ad avere quell’incarico. Nei Paesi baltici dove ha diretto, racconta di quanto quel ruolo sia stato significativo, tanto che le madri la ringraziavano per essere un esempio per le loro figlie.
Mirga Gražinytė-Tyla – Beethoven: Leonore Overture No. 3 in C Major (BBC Proms).
Se numerose sono provenienti da famiglie di musicisti, figlie di genitori strumentisti che le hanno avviate allo studio della musica, la venezuelana Glass Marcano (San Felipe, 1996) si distingue per il fatto di provenire da un contesto di estrema povertà. Iscritta dalla madre, troppo impegnata con il lavoro per occuparsene, a un corso di musica, ha avuto così l’opportunità di esprimere il suo talento. Grazie a lei oggi tante giovani possono usufruire del supporto del servizio di formazione musicale per l’integrazione sociale di giovani svantaggiati finanziato con fondi pubblici. La sua è la parabola della bambina venezuelana che suona il violino mentre lavora nel negozio di frutta di famiglia e che arriva alla direzione d’orchestra portando nel gesto il suo temperamento tropicale, il potente fascino della sua terra, le sue radici, il riscatto dalla privazione e dalla miseria.
Glass Marcano dirige Tchaikovsky, Symphony No. 4 con la Chineke! Junior Orchestra.
Diverse sono accomunate anche dall’assunzione di un ruolo politico nel momento in cui operano al fine di sensibilizzare il pubblico su determinate tematiche, nell’idea di dare un contributo al cambiamento. La direttrice inglese Antonia Joy Wilson (Oxford, 1957), per esempio, durante un concerto da lei diretto in Tennessee, nel profondo Sud conservatore, invitò la poetessa nera Nikky Giovanni a leggere stralci delle sue opere. Molti afroamericani parteciparono, varcando la soglia di un luogo a loro interdetto.
Verdi, Requiem, Bulgarian National Radio, Tchaikovsky, Romeo & Juliet, e Rimsky-Korsakov, Sheherazade (estratti)/Buenos Aires Philharmonic, Teatro Colon.
L’avvincente carrellata offerta dal volume mostra, dunque, quanto ampia sia la presenza di donne alla direzione d’orchestra in tutte le parti del mondo e quanto sia prezioso il loro contributo, come musiciste e come intellettuali, dalle cui vicende possono sorgere riflessioni importanti. Sul ruolo della donna nella società del passato e in quella di oggi, sul ruolo dell’educazione musicale nel formare non solo figure di musicisti, ma anche persone attente all’ascolto, rispettose del prossimo. Sul ruolo della formazione personale, fondamentale, insieme al talento e alla tenacia, per raggiungere obiettivi importanti, sia per gli uomini che per le donne. Non si arriva a certi livelli di professionalità per caso o per fortuna – insegnano queste musiciste – serve uno studio rigoroso e la stima nelle proprie capacità.

Provenienti da famiglie benestanti oppure no, da quartieri rispettabili oppure da zone più degradate, hanno seguito corsi di perfezionamento di eccellenza, si sono diplomate e laureate studiando assiduamente, hanno vinto premi e ottenuto alti riconoscimenti di carattere internazionale, non hanno mai smesso di approfondire ogni aspetto del loro mestiere, spesso misurandosi anche nel ruolo di didatte, compositrici, studiose, saggiste. Diverse hanno diretto orchestre nei maggiori teatri del mondo e inciso con etichette discografiche prestigiose. E tutte quante si sono ritrovate unite nella stessa battaglia volta a innovare un sistema che non offriva loro il dovuto spazio. Così hanno fondato orchestre, creato formazioni corali da dirigere, hanno perfezionato la loro formazione misurandosi in più ambiti della musica e dell’arte in generale. Si sono distinte per l’innovazione dei repertori, rivolgendo l’attenzione alla produzione musicale delle compositrici e anche alla musica contemporanea. “Portare in scena opere contemporanee per me è importante quanto il repertorio, in fondo viviamo nell’oggi – ha dichiarato la direttrice d’orchestra della Repubblica Ceca, Olga Machonova Pavlu (Praga, 1971) -. Mi piace preparare programmi in cui il contemporaneo costituisce una parte importante o addirittura prevale”. (p. 186). Ne sono esperte anche la peruviana Carmen Moral (Lima, 1942), la francese Annick Minck (Seine Maritime, 1943), la polacca Alicja Mounk (Łódź, 1947) che dovette interrompere gli studi quando nel 1968 in Polonia si sviluppò un massiccio movimento antisemita. Li proseguì a Vienna e a Berlino, scelta come direttrice musicale al Teatro di Ulm, inaugurato nel 1991 con un’opera di György Ligeti, lanciando un forte segnale di apertura alla musica del nostro tempo.
Spesso ospiti delle più importanti orchestre mondiali, tutte hanno però incontrato lo stesso problema, quello della stabilità. Diventare direttrici stabili di un’orchestra, per ora è un traguardo raggiunto da poche.
Tra queste, l’ucraina Oksana Lyniv (Brody, 1978), ambasciatrice culturale del suo Paese nel mondo, dall’inizio dell’aggressione russa è diventata simbolo di pace internazionale. La sua è una sfolgorante carriera decollata con il terzo premio alla Gustav Mahler International Conducing Competition per raggiungere poi nel 2020 il premio Opera Awards come miglior direttrice d’orchestra. Una carriera costellata di riconoscimenti e di attività finalizzate al sostegno dei giovani musicisti, come la fondazione di una orchestra giovanile ucraina, la Youth Symphony Orchestra of Ukraine, di esibizioni alla guida delle maggiori orchestre nel mondo e che ha raggiunto il suo apice nel titolo di prima direttrice d’orchestra donna nella storia del Festival di Bayreuth e poi nella nomina a direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna, prima donna direttrice principale di un’orchestra lirica italiana. Descrive la direzione d’orchestra come “un contatto senza parole”, “un canale diretto, un feeling particolare fra direttore e musicisti. È un momento eccitante e intenso al contempo, avverti elettricità nell’aria e quando accade questo senti che stai eseguendo non una composizione antica di duecento anni, ma una musica che si va componendo in quell’istante”. (p. 182).
Samuel Barber – Adagio per archi, Teatro Comunale di Bologna.
Si chiude questa panoramica con una riflessione di Speranza Scappucci (Roma, 1973), eccezionalmente dotata, dal 2017 direttrice musicale dell’Opera Royal di Wallonie a Liegi, perché sia la musica ciò che davvero conta: “Sono cosciente di essere donna in un mestiere per tanti anni appannaggio di soli uomini, ma appartengo a un periodo storico in cui le cose sono cambiate: valorizziamo la preparazione e il talento delle persone e non concentriamoci più solo sul genere. Quando dirigo penso semplicemente che sono una musicista che offre la propria sensibilità, la propria preparazione, le proprie idee musicali ad altri musicisti. La musica, in fondo, è un linguaggio universale”. (p. 229).
Georges Bizet – Overture from Carmen (Vienna Philharmonic, Speranza Scappucci) | Opernball 2017.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 2 Marzo 2025
Stampato il 09/03/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/quando-sono-le-donne-a-salire-sul-palco-con-la-bacchetta-in-mano/