Letizia Fuochi (dal suo profilo Fb)

Scegliere è la più alta forma di libertà. Dittature, fascismi, nazionalismi, fanatismi distruggono il pensiero critico. Questo disco (…) vuole essere un promemoria. Saremo liberi fino a quando i diritti saranno protetti e ampliati; saremo liberi fino a quando capiremo che nulla è scontato, che la nostra Costituzione deve essere tutelata e che studiare la Storia diventa ogni giorno una nostra responsabilità.
Letizia Fuochi

Una poetica ben delineata, quella di Letizia Fuochi, cantautrice e storica fiorentina, sulla scena dal 1999, per la quale lo studio della storia contemporanea rappresenta un caposaldo, e fa di lei voce autorevole nel raccontare vicende di uomini e di donne dalle vite singolari raccolte, prima di diventare canzoni, tra le pagine dei libri, nelle schede degli archivi, dalle parole dei testimoni.

La sua ricerca l’ha condotta a realizzare l’album La scelta, uscito recentemente per l’etichetta discografica Materiali Sonori. Un album che celebra gli ottant’anni della Resistenza italiana, ma anche le Resistenze di altri Paesi che hanno combattuto dittature e fascismi: Spagna, Cile, Argentina. Un album che è una svolta rispetto ai precedenti (in particolare Finito e infinito del 2002, Come l’acqua alla terra del 2009, Inchiostro del 2017, Zing del 2022) che avevano un tono più introspettivo, mentre qui l’autrice carica sulle proprie spalle il peso della memoria collettiva di uno degli eventi più tragici e allo stesso tempo eroici della storia del nostro Paese per dichiarare il proprio punto di vista. Condurre così alla conoscenza, alla consapevolezza, e a una convinta presa di posizione nei confronti di quella stessa memoria, non sempre condivisa, più volte mistificata, ancora oggi da difendere. E lo fa con la sensibilità, la passione, lo sguardo attento al presente che sono propri del suo fare musica.

Di come è nato l’album e di cosa rappresenta ne abbiamo parlato con lei, che ci ha rilasciato questa intervista generosa e ricca di spunti.

L’uscita dell’album è stata anticipata da un singolo, per quale ragione?

“Il 31 maggio 2024 – spiega Fuochi – è uscito in anteprima Tutti quanti mi chiamano passione. Questo perché ho voluto creare un ponte che collegasse il 2024-2025 e il 1944-1945 e ricordare così Firenze liberata nel ’44 come Roma, insieme agli 80 anni della Resistenza che cadono in questo 2025. La canzone, infatti, è stata presentata contemporaneamente proprio a Firenze e a Roma. La protagonista di Tutti quanti mi chiamano Passione è Maria Teresa Regard, una delle gappiste della Resistenza romana”.

Nella famosa foto dei gappisti romani Maria Teresa Regard è la quinta da sinistra in alto

Combattente, Medaglia d’Argento al Valor Militare, a lei, che durante la guerra partigiana conobbe e poi sposò Franco Calamandrei, figlio di Piero Calamandrei, e a Lydia Buticchi Franceschi, altra combattente, è dedicata la canzone. Alla Regard, ma a tutte le donne che presero parte alla Resistenza, Fuochi restituisce la voce, una voce intransigente che fa dire loro, nonostante il rischio di perdere il bene più prezioso, per amore di giustizia: ho seguito l’istinto e ho deciso di dare la vita/se dare la vita è dirsi pronta a morir. Una riuscita ballata folk introdotta dagli arpeggi della chitarra di Francesco Frank Cusuman, arrangiatore e compositore, insieme a Ettore Bonafé, colonna portante di tutta l’architettura musicale del disco.

Così comincia l’album, con questa celebrazione delle donne partigiane, un album che si compone di undici tracce, di cui otto composizioni originali, in cui la cantautrice toscana manifesta la necessità di fare chiarezza sulle storture e le ambiguità di oggi.

C’è una motivazione particolare che ha ispirato l’album?

“Lo spunto è nato dal rifiuto di stare in silenzio di fronte a questi tempi che mi inorridiscono e fanno presagire delle sensazioni molto cupe, di qui la volontà di ribattere molto sull’antifascismo, sulla storia di giovani e far conoscere a tutti delle vicende esemplari. Ho pensato di voler dire la mia, infatti ho intitolato l’album La scelta”.

La scelta di chi allora decise di prendere la strada dei monti e abbracciare anche l’idea dell’estremo sacrificio, piuttosto che chinare la testa di fronte all’oppressione nazifascista. La scelta di chi ogni giorno ancora oggi è chiamato a difendere quei principi di libertà, tolleranza, giustizia sociale che scaturirono dalla lotta partigiana. E così nella canzone “Silenzio e cammino” (musica di Fuochi e Francesco Frank Cusumano) scopriamo le parole crude ma ardimentose di Carlo Coccioli, scrittore livornese, comandante della 3ª Brigata Rosselli, catturato dai tedeschi, incarcerato e liberato dai gappisti che infine collaborò con gli Alleati. Il testo con titolo “Cantilena del comandante” – un incoraggiamento a proseguire il cammino e la lotta necessaria, perché Ci hanno spezzato la patria, capite compagni, la patria, appuntava – proviene dalla raccolta “11 agosto. Scritti partigiani” pubblicata dal Comitato Regionale Toscano dell’Anpi nell’agosto ’45. E proprio per la sua intensità richiede in più parti di essere declamato da una voce che possa incidere le parole, come quella di Chiara Riondino, il cui recitato si alterna al cantato più lirico della Fuochi, in un avvicendarsi tra luce e buio, desolazione e speranza.

Dalla stessa raccolta è tratto il testo “Cantata per la morte di Berto” scritto da Raffaello Ramat, partigiano docente di letteratura all’Università di Firenze che durante la Liberazione della città assistette alla morte di Alberto Casini dell’Antella per mano di un cecchino, franco tiratore al soldo di Alessandro Pavolini, fondatore delle Brigate Nere. Il testo, messo in musica da Fuochi ed Ettore Bonafé è diventato La strada di Berto. Alberto, il cui passo sicuro di capopattuglia si appoggia al ritmo delle percussioni, del cajon bongò, del cowbell, dei piatti, trascinato dall’organetto del Maestro Riccardo Tesi, sulla strada da percorrere ha lasciato le sue orme.

Il cofanetto si arricchisce di un libretto di ventitre pagine che riporta il notevole lavoro di ricostruzione che l’autrice ha svolto consultando vari materiali. Un lavoro di sentita ricerca artistica, storica e storiografica, frutto di una solida preparazione.

Qual è il percorso personale che l’ha portata a realizzare questo album?

“Di formazione sono storica, laureata in storia russa ed ebraica e poi in questi anni ho lavorato molto con l’Istituto storico della Resistenza di Firenze, perché l’altra mia grande fissazione, non solo passione, ma fissazione, è la storia della Resistenza. Per me esiste da sempre questo interesse, crescendo mi sono nutrita della venerazione per due miti, che sono Piero Calamandrei e Sandro Pertini. Sono molto in contatto con la famiglia di Calamandrei, con la nipote, che tra l’altro è la figlia di Maria Teresa Regard, a sancire un collegamento molto stretto tra le tracce, l’ideazione generale dell’album e la mia biografia personale”.

La narrazione lunga del romanzo (tra gli autori più noti vi sono Italo Calvino, Cesare Pavese, Beppe Fenoglio) fu la prima forma letteraria attraverso cui la Resistenza venne raccontata, poi arrivarono i torinesi Cantacronache che vollero far conoscere cosa fu la lotta partigiana, e per raggiungere un pubblico più vasto, fecero ricorso all’azzardo della canzone. Cantarono vicende significative, da cui far emergere valori e ideali da divulgare e tenere vivi. Da allora in tanti si sono messi alla prova nella creazione di canzoni nuove, che nello spazio di pochi minuti riuscissero a condensare un momento di quella grandiosa impresa che impattò nelle vite di uomini e di donne, pronti a sacrificarsi per il bene comune di un’Italia da liberare. Tra i vari progetti discografici recenti (Nella notte ci guidano le stelle, Partigiani Sempre!), questo di Letizia Fuochi ha il pregio di portare la firma di una storica, esperta nel maneggiare un materiale complesso da destinare a finalità non semplicemente divulgative. “Educare alla conoscenza – scrive infatti nella copertina del CD – è un atto doveroso nei confronti di chi ha sacrificato la propria vita per un ideale e un futuro di giustizia, democrazia, libertà”.

Uno scatto della Liberazione di Firenze

Aggiunge poi nel nostro colloquio: “Ho fatto la libraia per undici anni e mi sono trovata continuamente a curare collane storiche e ho capito che anche in quel frangente – io già suonavo e cantavo da quando avevo nove anni – raccontando e spiegando i libri alle clienti, creavo sempre una sorta di curiosità, un valore aggiunto. Ho così compreso che potevo unire le mie due passioni, la storia e il canto. Volevo fare in modo che la storia, che spesso trova poco interesse, diventasse attrattiva e ho pensato di raccontarla in una forma di rappresentazione che è il teatro canzone. Questo era un modo di creare una conoscenza attraverso le canzoni e le emozioni. Presto ho capito che le canzoni potevano arrivare laddove una lezione di storia non arrivava. E sono ormai diversi anni che collaboro con l’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea scrivendo e interpretando spettacoli di public history, che porto negli istituti comprensivi del territorio dove racconto la storia attraverso la canzone d’autore. Ho pensato, quindi che potesse essere una valida formula anche per questo Ottantesimo”.

Nell’album sono presenti tre cover di brani, alcuni dei quali salvati dall’oblio. Come Dante di Nanni di Stormy Six, incisa nel concept album, Un biglietto del tram (1975).

Perché la scelta di un brano così poco conosciuto?

“Dante Di Nanni racconta di un giovane pugliese che viveva a Torino, secondo il quale l’ignoranza che il fascismo aveva generato doveva essere sconfitta, e dunque combattuta con l’istruzione, infatti lui amava lo studio. Io ho realizzato uno spettacolo che si intitola La cura e la cultura, e questa figura mi ha sempre colpito per la forza delle sue scelte. Inoltre c’è un’analogia con il fiorentino Bruno Fanciullacci che è stato un partigiano, discutibile per un’azione che fece, fu uno degli assassini di Giovanni Gentile, ma è stato un grande patriota e a Firenze è morto come il giovane Dante Di Nanni, lanciandosi dalla finestra dopo un interrogatorio. Era già ferito e non voleva essere ammazzato dai fascisti. Entrambi morirono con il pugno chiuso”.

Dante Di Nanni divenne poi Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria e proclamato Eroe nazionale dal comitato militare del CLN regionale piemontese. La versione incisa nell’album inchioda all’ascolto per l’atmosfera straniante, creata del violino di Paolo Lombardi, un violino che suona più nervoso, distorto e inquieto rispetto all’originale, un violino storico, costruito da Giovanni Mantegazza, a Milano, nel 1774. L’album riporta alla luce anche l’originaria versione di Ciao amore ciao di Luigi Tenco, che si scopre essere una canzone sulla Resistenza. Ai più sconosciuta e davvero poco eseguita, qui è riproposta rispettando l’originale, ma riarrangiata in una scrittura musicale più personale, in cui si ascolta l’inaspettata melodia della viola di Silvia Poli e il compatto coro di voci femminili a sostenere il noto ritornello (Cinzia Blanc, Oretta Giunti, Francesca Torselli).

Qual è la singolare vicenda di questa canzone?

Li vidi tornare era il testo che Tenco presentò a Sanremo ma che fu bocciato – racconta Fuochi – nel contesto di un evento popolare come quello non era ammessa una canzone che avesse uno sfondo politico. Così la commissione artistica chiese all’autore di ricostruire il testo intorno al ritornello, che aveva un richiamo a Bella Ciao, ma decontestualizzato perdeva ogni riferimento alla Resistenza. Pur di partecipare Tenco scrisse la famosa canzone Ciao amore ciao, molto diversa rispetto all’originale che raccontava tutt’altro. Iniziava con un riferimento alla poesia di Luigi Mercantini, La spigolatrice di Sapri: erano 300 erano giovani e forti, ricordando dunque il Risorgimento, e poi c’era la sua storia personale, di quando da bambino in Piemonte dove viveva, dopo l’8 settembre vide giovani arruolarsi e diventare partigiani. La canzone quindi richiamava il Risorgimento e il nuovo Risorgimento”.

La terza canzone non originale è Se equivocò la paloma, una poesia di Rafael Alberti, poeta e figura di spicco della guerra civile spagnola e della Resistenza degli intellettuali antifascisti a Madrid. Con l’insediamento della dittatura franchista sarà esule in vari paesi. Nella poesia, musicata dal compositore argentino Carlos Vicente Guastavino, una colomba, simbolo di pace, vaga a vuoto, sembra aver perso la strada della speranza per un mondo migliore. Nata da un poeta spagnolo, in realtà la canzone è diventata rappresentativa della sofferenza del popolo argentino, una delle interpretazioni più struggenti, infatti, è quella della cantora del pueblo Mercedes Sosa. A restituire la connaturata malinconia del pezzo qui è il dialogo tra la voce e il commovente canto del violino.

Blanca Mariposa, brano originale, ricorda anch’esso quanto dura fu la repressione franchista contro gli uomini e le donne della resistenza spagnola. Ma anche quanto le forze dei combattenti seppero reagire ai soprusi e alle violenze. Una sposa che danza come una farfalla sulle macerie della città, simbolo di rinascita e del potere della cultura come arma contro le barbarie umane, è ispirata alla vita della fotografa di guerra, la tedesca Gerda Taro, travolta a ventisei anni da un carro armato durante la Guerra civile spagnola. A raccontare questa resistenza di nuovo al femminile l’incanto di un duetto con Francesca Breschi, storica voce del quartetto vocale di Giovanna Marini.

Altre donne, altri lutti. Alle Madres de Plaza de Mayo che perdettero i loro cari, vittime della violenza della dittatura militare argentina è dedicata La protesta. In particolare a Vera Vigevani Jarach, portavoce dell’associazione delle madri dei desaparecidos che ebbe una vita stravolta dalla violenza criminale fascista: con la sua famiglia a dieci anni dovette trasferirsi in Sudamerica per sfuggire alle leggi razziali e in Argentina, tempo dopo perse la figlia a causa della dittatura militare che oppresse il paese per lunghi anni. La protesta è lo strazio di una generazione il cui sacrificio non va dimenticato e la cui memoria pesa sul presente: trentamila fantasmi sono potenti e rumorosi. Destini senza ritorni, matite spezzate senza traccia né gloria, ragazzi torturati, fosse senza nome, ma anche dignità sono parole che pesano e si fanno eco nella voce della cantautrice fiorentina di sangue partenopeo-croato Sara Rados.

Dunque Spagna e Argentina. Non manca il Cile, la cui vicenda politica è richiamata dalla canzone Quel giorno di settembre, uno dei pezzi più suggestivi dell’album.

Quel giorno di settembre è veramente una follia perché è una canzone solo vocale, per i giovani di oggi potrebbe essere quasi rappata, ma non lo è, è una canzone a cappella a tre voci con due grandi voci, Anna Maria Castelli e Anna Granata, ed è dedicata a Victor Jara, uno dei più grandi artisti della rivoluzione culturale cilena, brutalmente torturato e ucciso dei militari di Augusto Pinochet”.

Una canzone dal forte impatto, che sceglie il silenzio di ogni strumento in favore della voce. Come nel silenzio si spense la voce di Victor Jara che si era levata a cantare la protesta e fu messa a tacere, mentre le sue mani furono spezzate perché anche la chitarra restasse muta.

Diversi e di notevole apporto sono dunque i contributi che si avvicendano nel disco, numerosi sono gli interpreti, voci maschili e femminili, i musicisti con i loro strumenti (folk, acustici, più elettronici) che vi hanno collaborato in una varietà e ricchezza di spunti che raramente si ascolta. Perché questa scelta?

“Per me la musica è condivisione e infatti sono molto inorridita da tutto quello che ci propinano come sfide continuamente. Io volevo invece che questo album fosse la dimostrazione di una progettualità collettiva. È chiaro che l’ideazione è mia, il desiderio anche, sono io che ho deciso di mettere in piedi il progetto, però c’è il contributo di artisti che hanno accettato di essere coinvolti. La gioia è stata di contattare colleghi, come nel caso di Alberto Morselli e di Filippo Chieli, che per me erano un mito ma che non conoscevo di persona, di spiegare le mie intenzioni e vedere dall’altra parte l’interesse. Morselli è stato il primo cantante dei Modena City Ramblers, era la voce del primo disco Riportando tutto a casa. Ero affascinatissima dalla sua timbrica. L’ho chiamato ed era colpito da quello che gli stavo raccontando. Anche lui ha avuto partigiani in famiglia, quindi c’è stata subito una forte sintonia. Lui e Filippo Chieli, violista e violinista eccezionale tra i musicisti anche lui del primo disco dei Mcr, sono venuti da Sassuolo e da Reggio Emilia, e abbiamo registrato Il mio testamento. Così è nata una vicinanza. Come pure con tutti gli altri a cui ho chiesto se volessero fare parte dell’album”.

Il mio testamento, interpretata in duetto con la Fuochi da un solido Alberto Morselli fa rivivere Piero Calamandrei a cui la canzone è dedicata. Grande scrittore fiorentino, politico antifascista tra i fondatori del Partito d’Azione e tra i fautori della Costituzione repubblicana, fu anche tra le firme più prestigiose agli esordi di Patria Indipendente, qui è immaginato come autore di un testamento scritto nel vento, un canto sulla memoria che possa farsi futuro e sul sangue dei partigiani, concime per seminare speranza e giustizia.

L’album è pubblicato da Materiali Sonori, storica etichetta tra quelle discografiche italiane che lavora anche a livello internazionale. Cosa vuol dire lavorare per un’etichetta indie?

“Significa avere un rapporto umano basato sulla relazione, sulla reciprocità, sul confronto continuo, mai sull’ imposizione, per me è fondamentale parlarsi e sapere di essere compresa. E si fa cultura, questo fa la differenza. C’è uno spettacolo che ha da poco debuttato a Roma che si intitola Io non canto per cantare, dalla canzone manifesto di Victor Jara. Non è il cantare di per sé che mi interessa, come diceva Chavela Vargas, che è un altro mio mito – non si è immolata per i diritti, ha seguito se stessa, lei è stata autentica e per me essere autentici, autoironici, complessi è basilare, è un modo di vivere – ecco lei disse che bisogna rompere il silenzio e questo è compito dell’artista. Questo imperativo l’ho sempre sentito mio. Io sono una storica e cantautrice, forse un’artista o meglio un’artigiana, e rivendico questa visione”.

Chavela Vargas (1919-2012)

Non solo la Storia, ma anche la canzone d’autore costituisce il tessuto di cui si compongono la sua musica e la sua scrittura, ce ne vuole parlare?

“I miei modelli sono da sempre Fabrizio De André, Giorgio Gaber e Ivan Graziani. Dell’opera di De André sono una studiosa da sempre. Lui è stato la mia guida in tutto. Ricordo che a tre anni e mezzo giravo per casa al mare cantando Quando la morte mi chiamerà (Il testamento di De André) perché ascoltavo questo immenso cantautore. Certo, nella mia famiglia si ascoltava musica. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di artisti – mia nonna era Tina Allori, grande cantante, storica voce della Rai degli anni Cinquanta, il cognato di mia nonna era Oscar Brazzi, regista, fratello di Rossano Brazzi, grande divo di Hollywood – dunque ho sentito molto questo richiamo dell’arte, però poi ho percorso la mia strada autonomamente. Dalle canzoni che ascoltavano i miei genitori e che mi facevano ascoltare in totale libertà mi è nata la curiosità di capire le persone, il mondo, quindi la storia, questo grande spettacolo delle attività umane, come diceva lo storico Marc Bloch. E così De André che metteva al centro l’umanità, raccontava la possibilità di un accrescimento nel confronto con l’altro. Nella vicinanza ai perdenti, ai diversi, parlava anche a me”.

Tina Allori

Poi c’è Gaber per il suo teatro canzone e infine il terzo della schiera dei cantautori anticonformisti, Ivan Graziani…

“Ivan Graziani, cantautore molto dimenticato, ho avuto la possibilità di lavorare con la moglie e con i figli e di realizzare un tour di spettacoli. Siamo tre ragazze, “Le pazze sul fiume” e abbiamo scritto lo spettacolo Arcipelago Ivan ispirato al romanzo che Graziani scrisse negli anni 90, Arcipelago Chieti. Per me lui è un grande disegnatore di un’umanità un po’ perduta, soprattutto della provincia abruzzese degli anni Ottanta governata purtroppo da eroina. Lui è stato il primo cantautore ad andare nelle scuole, nelle università a spiegare come la cultura e la musica potessero essere risolutive”.

Musicalmente il disco è sorprendente per la diversità di generi che richiamano ritmi e sonorità di altre culture e paesi, senza che si perda mai di vista l’insieme, coerente con un progetto autoriale in cui la voce naturale, seducente e la scrittura personale, oltre al tema, rappresentano un elemento di continuità. Questa complessa molteplicità è una sua caratteristica distintiva?

“Sono cantautrice, cantastorie ma non ho un genere musicale unico e le etichette non me le sono mai appiccicate. Il disco non è unitario, le canzoni hanno una grande varietà, spazio un po’ in tutti i generi, ovviamente rimanendo sul canone della canzone d’autore, d’autrice e quindi con un certo tipo di struttura dove il testo è molto importante, però musicalmente ho cercato una molteplicità di spunti. Il disco è tutto frutto delle mie idee, ma porta anche la firma dei tanti musicisti che hanno suonato vari strumenti e dato il loro contributo, quindi c’è una canzone un po’ più rock, una un po’ più di musica ranchera, una più nello stile della ballata folk”.

Chiude l’album la canzone forse più personale Discendenza – Il tempo della scelta in cui è l’autrice a dichiarare il senso dell’intero percorso e dunque il proprio impegno nell’adesione a quei valori nati ottant’anni fa dei quali si è eredi, e verso i quali si ha una responsabilità: farne comprendere il valore per un futuro in cui ognuno possa scegliere ogni giorno da che parte stare. Sull’esempio di Sandro Pertini, il cui pensiero lampante sul fascismo, di censura delle libertà, viene riportato a corredo del testo.

Cosa significa impegno per lei?

Sono convinta che l’impegno non sia necessariamente una cosa noiosa come molto spesso viene visto, invece per me l’impegno è ciò che di più stimolante ci possa essere perché porta con sé il concetto di responsabilità. È una sensazione meravigliosa perché significa farsi carico di un grande patrimonio e traghettarlo, condurlo lontano. Nella quarta di copertina del mio libro Nuda è la voce – Raccolta di monologhi e canzoni (Betti editrice, 2022) scrivo di quanta responsabilità possono avere coloro che fanno dell’arte il proprio mestiere: i cantautori e le cantautrici prima ci spiegano il mondo e poi ci consolano attraverso le canzoni. Questo disco vuole essere un contributo per rompere il silenzio di cui diceva la Vargas, per far capire che della storia facciamo parte volente o nolente e siamo noi a scegliere in quale direzione andare”.

La scelta appare dunque una straordinaria opportunità di dialogo per un confronto su temi fondamentali, su figure esemplari e vicende fondanti la storia del nostro paese e non solo, da far conoscere e divulgare ampiamente. Il disco avrà, infatti, più livelli di presentazione, spiega Fuochi: “Lo scorso dicembre c’è stato il firmacopie al Museo Novecento di Firenze, poi ci saranno altri incontri, dove io sarò un po’ più storica e racconterò le canzoni facendole ascoltare. È previsto anche un concerto dove presenteremo molti degli artisti che hanno partecipato al disco, ma soprattutto c’è l’intenzione di realizzare un progetto culturale più ampio, non semplici presentazioni, ma piccoli recital da portare in giro per tutta Italia coinvolgendo più luoghi e persone attraverso il racconto e le canzoni. Espandersi, unire le forze in questo momento, pensando che la cultura sia la cura, è fondamentale”.

Una Resistenza nazionale con il supporto di Anpi Provinciale Firenze, un progetto tutto in divenire, al quale si può aderire scrivendo a fuochiteatro@gmail.com.

“Mi auguro di intercettare l’interesse delle giovani generazioni – aggiunge Fuochi – Sto già andando nelle scuole e vedo che i ragazzi restano colpiti dalla canzone di Tenco, rimangono incuriositi e affascinati anche da altre che non sono nel disco ma che sono nel mio repertorio, come Sette fratelli Cervi di The gang, oltre alle mie. Bisogna imparare ad ascoltare, gli ascolti consapevoli possono generare delle sane curiosità”.

La scelta è una raccolta di canzoni che aprono squarci sulle vite di grandi uomini e di donne coraggiose e caparbie, figure note o sconosciute dalle cui azioni e scelte di vita si può trarre ispirazione. La forza dei testi, poesie scritte per ricordare un passato lontano ottant’anni ma che risuonano delle parole, delle espressioni di oggi, e che rendono queste figure così vive e così vicine, fanno di questo album un lavoro prezioso anche sul piano artistico. Una prova d’autrice quella di Letizia Fuochi che, adiuvata da musicisti eccelsi, si destreggia nella composizione di temi melodici riusciti, nell’interpretazione vocale sempre incisiva, nella scrittura originale che in pochi tratti fissa uno stato d’animo, un fatto, un profilo. Ogni canzone è portatrice di messaggi alti: la forza del sacrificio, la determinazione e il riscatto, la giustizia e la tolleranza che si veicolano e si possono apprendere attraverso l’emozione. Quella che scaturisce da un ritmo che si accende imprevedibilmente, da una melodia da intonare subito dopo il primo ascolto, da una voce che sopraggiunge, da uno strumento solista che canta il dolore, la pena o la redenzione, da una figura di uomo o di donna che prende forma nel pensiero e nell’immaginazione.

Per queste ragioni, e per l’appassionato lavoro di ricerca storica che lo sostiene, La scelta è meritevole di riconoscimento per l’ingegno creativo, di spessore, che lo ha prodotto e ha tutti i crismi per andare lontano. L’album ha ricevuto il supporto, tra gli altri sponsor, della sezione Roberto Nistri di Anpi Signa e il patrocinio da parte dell’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, della Biblioteca e dell’Archivio storico Piero Calamandrei Montepulciano; di Anpi Comitato Provinciale Firenze, della Fondazione Circolo Rosselli, dell’Associazione Nazionale Ex Deportati sezione Firenze, della Fondazione Roberto Franceschi Onlus di Milano.

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli