L’orchestra fa ballare gli ufficiali nei caffè
l’inverno mette il gelo nelle ossa
ma dentro le prigioni l’aria brucia come se
cantasse il coro dell’Armata rossa
Stormy Six
“Quella sovietica – scrive Andrea Graziosi – è una storia tragica, inscritta tuttavia in una parabola straordinaria che inizia con una guerra civile quasi genocida, tocca il genocidio con le carestie del 1931-1933, passa attraverso la guerra – quando l’Urss sopportò quasi da sola il peso della lotta contro il nazismo”. [L’Unione Sovietica 1914-1991, il Mulino]
Lotta vinta anche grazie a un grandioso esercito, quell’Armata Rossa di cui tanti canti, anche italiani, celebrano le imprese eroiche. Come Armata Rossa torrente d’acciaio, brano di origine russa, cantato dalle Brigate garibaldine, che racconta la forza e l’onore della formazione militare che ha fatto la storia dell’Unione Sovietica:
Armata Rossa torrente d’acciaio/Nelle tue file si vince o si muor;
Armata Rossa torrente d’ardore/L’imperialismo saprai schiacciar.
Avanti avanti, rosse falangi,/spezziam le reni dell’oppressor;
al sole brillano le baionette/ dei battaglioni del lavor.
[Cfr. Romano-Solza, Canti della Resistenza italiana, Milano, Ed. Avanti, 1960. E Savona A. Virgilio, Straniero Michele L., Canti della Resistenza italiana, Milano, Rizzoli, 1985]
O come il Canto dei partigiani canzone che in realtà si riferisce al periodo della Guerra civile russa; ripresa negli anni ’40, la versione italiana è stata raccolta a Monterotondo Marittimo il 23 ottobre 2009 da Pardo Fornaciari, informatore il piombinese Giorgio Cortigiani.
È un’ondata di riscossa/che s’avanza con fragor
è l’eroica Armata Rossa/che s’avanza con fragor
è l’eroica Armata Rossa/che s’avanza con fragor [Cfr. http://www.ildeposito.org/archivio/canti/canto-dei-partigiani]
Non sono certo da meno le imprese del Coro dell’Armata Rossa, formazione nata nell’alveo della formazione militare, che la canzone Stalingrado degli Stormy Six ricorda. Nel raccontare la famosa battaglia del 2 febbraio 1943 che pone fine dell’avanzata dei nazisti in Unione Sovietica, la canzone accenna alla potenza del celebre coro, una voce che accende fiamme e rivoluzioni:
Fame e macerie sotto i mortai/Come l’acciaio resiste la città
Strade di Stalingrado di sangue siete lastricate/Ride una donna di granito su mille barricate
Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa/D’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città
L’orchestra fa ballare gli ufficiali nei caffè/l’inverno mette il gelo nelle ossa
ma dentro le prigioni l’aria brucia come se/cantasse il coro dell’Armata rossa
[Stormy Six, Un biglietto del tram, L’orchestra, 1975]
È recente la tragica la notizia della morte di 64 membri della famosa istituzione, deceduti a bordo dell’aereo militare Tu-154 precipitato nel Mar Nero nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, mentre si recavano alla base militare di Khmeimim, in Siria, per esibirsi davanti ai soldati russi per Natale. Ma la storica formazione non sparirà. Resterà a testimoniare lo spirito di resistenza alle avversità oltre che l’amore per la cultura del proprio Paese, esportando all’estero musiche, danze e canti che appartengono al ricchissimo patrimonio folkloristico russo.
Con il coro, infatti, si celebra una storia straordinaria e antica, che affonda nelle vicende imprevedibili ed eccezionali della grande Unione Sovietica, delle sue battaglie, delle sue rivoluzioni, dei suoi miti, delle sue tradizioni.
Il Coro dell’Armata Rossa, conosciuto anche come Complesso Accademico di Canto e Ballo dell’Esercito Sovietico A.V. Aleksandrov o Complesso Aleksandrov rappresenta il coro ufficiale delle Forze Armate dell’Unione Sovietica dall’inizio della guerra civile russa, nel 1918, fino alla scioglimento dell’URSS nel 1991-1992. Quello attuale porta avanti la tradizione dell’originario complesso sovietico.
Creato dal Club Centrale dell’Esercito a Mosca nel 1928, il suo primo nome è I canti dell’Armata Rossa ed è inizialmente costituito da dodici soldati-cantanti, un suonatore di bayan, strumento a fisarmonica, due ballerini e un attore. Il complesso si esibisce per la prima volta il 12 ottobre 1928 al Frunze Club sotto la direzione di Aleksander Vasilyevič Aleksandrov, un giovane professore di musica del conservatorio di Mosca, autore di Gimn Sovetskogo Sojuza, inno nazionale sovietico, attuale inno nazionale russo. Il programma, intitolato La 22ª Divisione Krasnoda consiste in alcune scenette musicali di vita militare. Nel 1929 il coro visita le terre del lontano est dell’URSS intrattenendo le truppe che stanno lavorando alla ferrovia dell’estremo Oriente. Spettacoli che servono a incoraggiare i soldati e a lavorare meglio.
Intanto cresce e nel 1933 i cantanti arrivano a trecento.
Nel 1936 viene insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa, onorificenza militare sovietica creata durante la guerra civile russa. Negli Anni ’30 viaggia per l’Unione Sovietica facendo spettacoli dall’Artico al deserto del Tagikistan. Nel 1937 sarà perfino a Parigi, all’esposizione dedicata all’arte e alle tecnologie nella vita moderna, ottenendo il premio come migliore coro. Durante la II Guerra Mondiale effettuerà oltre 1.500 spettacoli per intrattenere i soldati in battaglia, negli ospedali, negli aeroporti militari.
Dopo la morte di Aleksandrov, nel 1946, suo figlio Boris Aleksandrovič Aleksandrov prenderà il posto come direttore musicale del Coro, inaugurando la stagione dei tour mondiali.
La storia del complesso naturalmente si intreccia a quella dell’Armata Rossa, ufficialmente l’Armata rossa dei lavoratori e dei contadini, esercito creato dalla trasformazione della Guardia rossa su decreto del Consiglio dei Commissari del Popolo il 15 gennaio 1918. Il 23 gennaio 1918, il giorno in cui iniziano nelle grandi città i reclutamenti di persone nell’Armata per difendere le frontiere dello Stato sovietico e salvaguardare la rivoluzione dai suoi nemici interni, diventerà festa nazionale: Giorno dell’Armata Rossa, o Giorno dei Difensori della Madrepatria.
Lev Trotsky ne assume il comando supremo dal 1918 al 1924. Già commissario del popolo per la guerra, Trotsky realizza e coordina il corpo militare basandosi sulle teorie del generale prussiano Carl von Clausewitz, progettando un esercito popolare di tipo nuovo pur dovendo mantenere alcuni dei sistemi militari tradizionali. Per entrare a far parte della formazione militare il reclutamento è volontario dal principio, ma nel 1918 diviene obbligatorio per gli uomini dai 18 ai 40 anni. Al fine di sostenere gli arrivi di massa verranno addirittura istituiti Commissariati Militari Regionali. Le regole dell’Armata Rossa, poi, sono insolite: non esiste né il saluto militare né il sistema dei gradi (viene instituito un ruolo di comando di basso livello chiamato «comandante», ma con il ruolo simile a quello di un tenente) e gli ufficiali vengono scelti tramite elezioni. In seguito la nomina verrà operata dall’alto, tenendo conto delle competenze specifiche. Trotzky introduce, fino alla fine della guerra civile, anche l’assegnazione ad ogni unità dell’Armata Rossa di un commissario politico (Politruk), con il ruolo di avallare le decisioni dei comandanti militari.
Il successo ottenuto contro gli eserciti bianchi nella guerra civile (1917-1921) renderà mitico il corpo militare e permetterà allo Stato sovietico di sopravvivere. Modernizzata negli anni Trenta, l’Armata Rossa raggiunge la sua massima grandezza durante la seconda guerra mondiale, arrivando a contare undici milioni tra ufficiali e soldati costituiti in quattro divisioni. Tre divisioni di fanteria motorizzata e una divisione corazzata. E poi le Truppe d’Armata.
Nel corso dello scontro che oppone Stalin a Hitler, i soldati dell’Armata saranno protagonisti sul fronte nordoccidentale, occidentale e sudoccidentale. Nel 1942 subiranno gravi perdite durante le battaglie di Mosca, Leningrado e Kiev, ma alla fine l’esercito contribuirà a capovolgere la situazione nella battaglia di Stalingrado.
“L’Esercito rosso, nei duri combattimenti dell’estate e dell’autunno del 1942, ha sbarrato la via alla belva fascista – scrive Stalin nell’Ordine del giorno dell’Armata Rossa, il 23 febbraio 1943 –. Il nostro popolo serberà memoria perenne della eroica difesa di Sebastopoli e di Odessa, dei tenaci combattimenti davanti a Mosca e sui contrafforti del Caucaso, nella zona di Rjev e davanti a Leningrado, e della più grande battaglia che conosca la storia delle guerre: la battaglia sotto le mura di Stalingrado” [La storia contemporanea attraverso i documenti, a cura di Enzo Collotti e Enrica Collotti Pischel, Bologna, Zanichelli, 1974, pp. 225‐227].
Dopo la vittoria sulla Germania nazista il numero dei militari dell’Armata verrà ridotto a circa tre milioni.
“Dalla fine della seconda guerra mondiale – scrive Benedetto Pafi – l’esercito ha subìto una radicale trasformazione che può essere individuata in tre fasi successive. Tra il 1945 e l’inizio degli anni ’50 si è avuta la smobilitazione della grande massa costituita dalle divisioni di fanteria del periodo bellico. Nel decennio successivo l’attenzione è stata rivolta […] alla motorizzazione su vasta scala dell’esercito, trasformandosi poi nella terza fase, la meccanizzazione integrale”.
Nel secondo dopoguerra l’Armata diventa una forza d’occupazione nei Paesi satelliti del Patto di Varsavia ed è utilizzata soprattutto per reprimere le rivolte in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Tra il 1979 e il 1989 è impiegata nella guerra dell’Afghanistan.
Con il crollo dell’URSS, nel 1991, anche l’Armata Rossa viene sciolta.
Ma il coro resiste e, tuttora composto di sole voci maschili, è riconosciuto come uno dei migliori al mondo. Coniuga l’armonia e la pulizia del suono con la spontaneità del canto popolare dimostrando grande abilità vocale. Il successo del coro, dei solisti e del gruppo coreografico si deve anche all’espressività del suono dell’orchestra che è unica come organico. In essa, infatti, gli strumenti popolari russi – domre, balalajke, organetti russi – suonano insieme agli strumenti a fiato delle orchestre.
Il repertorio del complesso include una grande varietà di brani. Canzoni di compositori russi, canti e danze popolari, danze dei soldati, musica religiosa, composizioni classiche di autori russi ed esteri e brani pop internazionali.
Tra i tradizionali ci sono quelli celebrativi come l’Inno dell’Unione Sovietica, il Gimn Sovetskogo Sojuza di Aleksander Vasilyevič Aleksandrov, in uso dal 1977 al 1991. L’Inno dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, viene adottato come inno nazionale dall’Unione Sovietica in sostituzione de L’Internazionale, il 15 marzo 1943, nella convinzione che i soldati dell’Armata Rossa sarebbero stati più motivati da un inno dedicato alla loro nazione piuttosto che a un movimento di respiro globale.
Nella versione originale, il nome di Stalin veniva menzionato nella seconda strofa, ma dopo la morte del leader sovietico, nel 1953, e il conseguente processo di destalinizzazione, questo riferimento verrà eliminato.
Attraverso la tempesta ci illuminò il sole della libertà/E il grande Lenin ci rischiarò la via:
Stalin ci educò alla dedizione verso il popolo,/Ci ispirò al lavoro e ad eroiche imprese! [versione del 1944]
Nel 1977 il testo viene riscritto e viene mantenuto il riferimento a Lenin, considerato il padre spirituale del comunismo russo:
Sia celebre la nostra Patria libera,/Sicuro baluardo dell’amicizia fra i popoli!
Il partito di Lenin, che è la forza del popolo/Ci porta verso il trionfo del Comunismo!
Attraverso la tempesta ci illuminò il sole della libertà/E il grande Lenin ci rischiarò la via:
Alla giusta causa mosse i popoli,/Ci ispirò al lavoro e ad eroiche imprese!
Il precedente inno, L’Internazionale, è un canto le cui parole originali sono state scritte in francese da Eugène Pottier nel 1871 per celebrare la Comune di Parigi. Pierre de Geyter scrive la musica nel 1888. Fino a quella data il testo viene generalmente cantato sull’aria della Marsigliese. Poi L’Internazionale diventa l’inno del socialismo di ispirazione rivoluzionaria internazionale, come specifica il suo ritornello: C’est la lutte finale / Groupons-nous et demain / L’Internationale / Sera le genre humain. (È la lotta finale / Raggruppiamoci e domani / l’Internazionale / Sarà il genere umano).
I re ci hanno ubriacato di fumo!/Pace tra noi, guerra ai tiranni!
Applichiamo lo sciopero alle armate,/Cannone puntato in aria e rompiamo i ranghi!
Se si ostinano, questi cannibali/A far di noi degli eroi
Sapranno presto che le nostre pallottole/Son per i nostri generali!
Inno tra i più cantati, tra le varie versioni c’è quella psichedelica realizzata nel 1974 dal gruppo di rock progressivo Area
e quella di Robert Wyatt pubblicata nel 1982 nella raccolta di autori vari Recommended Records Sampler.
La versione italiana nasce grazie a un concorso indetto nel 1901 dal giornale socialista satirico L’Asino, in cui risulta vincitrice una versione firmata dallo sconosciuto E. Bergeret, ed è la versione cantata ancor oggi, seppur con piccole variazioni a seconda delle fonti. Così canta il ritornello:
Su, lottiamo! L’ideale/nostro alfine sarà/l’Internazionale/futura umanità!
Su, lottiamo! L’ideale/nostro al fine sarà/l’Internazionale/futura umanità!
Negli anni ’70, il poeta Franco Fortini ne scrive una versione più simile all’originale, ma poco conosciuta, cosicché è rimasto il testo di Bergeret il più famoso e diffuso in italiano. Emozionante la versione di Ivan della Mea:
Noi siamo gli ultimi del mondo./Ma questo mondo non ci avrà.
Noi lo distruggeremo a fondo./Spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale/come macchine ci usò.
Nelle scuole la morale/di chi comanda ci insegnò.
Questo pugno che sale/questo canto che va/è l’Internazionale/un’altra umanità.
Questa lotta che uguale/L’uomo all’uomo farà,/ è l’Internazionale./Fu vinta e vincerà.
[Avanti Popolo, Anni settanta nati dal fracasso, Alabianca/Hobby & work/Istituto De Martino]
Non mancano i canti popolari come Kalinka, considerata la canzone russa più famosa di tutti i tempi. Scritta nel 1860 dal compositore Ivan Petrovič Larënov e suonata per la prima volta nella città di Saratov come parte di uno spettacolo teatrale, il termine Kalinka si riferisce ai frutti di un arbusto, il viburno, che produce decorative bacche. Malinka, invece, indica il lampone.
O viburno rosso di casa mia,/dove in giardino fioriscono i lamponi.
Bacche di bosco,/lasciatemi dormire,/sotto il pino verde odoroso.
E voi fate piano/non turbate i miei sogni leggeri.
Ma tu dolce fanciulla,/quando accetterai l’amore mio?/Dimmi che mi ami
Qui suonata dal vivo nel 1965:
Oci ciornie, Occhi neri, è un’altra celebre canzone popolare russa. Testo scritto dal poeta e scrittore ucraino Èvgen Pavlovič Hrebinka (1812-1848) viene pubblicato la prima volta sulla rivista “Literaturnaja gazeta” nel 1843. Il basso Feodor Chaliapin ha reso popolare la canzone all’estero con una propria versione. Questa la traduzione italiana:
Occhi neri, occhi appassionati/occhi infuocati e bellissimi,
quanto vi amo, quanto vi temo,/di sicuro, vi ho scorto in un momento sfortunato.
Oh, non per nulla siete più scuri degli abissi!/Vedo in lutto il mio cuore in voi,
vedo una fiamma trionfante in voi/ un povero cuore immolato in esso.
Ma io non sono triste, non sono addolorato,/la mia sorte mi è di conforto:
Tutto ciò che è meglio in vita, Dio ci ha dato,/in sacrificio ritornerò ai focosi occhi!
Tra i canti popolari c’è, poi, quello dei battellieri del Volga. The Song of the Volga Boatmen è un canto tradizionale russo raccolto da Mily Balakirev e pubblicato nel suo libro di canzoni folk nel 1866. Cantata dai trasportatori di barche sul Volga, la canzone è anch’essa diventata popolare grazie al basso Feodor Chaliapin che l’ha inserita tra i suoi brani da concerto. L’arrangiamento jazz di Glenn Miller ha poi portato la canzone al primo posto delle classifiche americane nel 1941.
Al canto si ispira “Canto dei trasportatori di barche del Volga o Burlaki”, olio su tela del 1870-1873 del pittore e scultore realista russo Il’ja Efimovič Repin. L’opera rappresenta undici uomini che trascinano faticosamente una chiatta sul fiume Volga. Sembrano quasi crollare per lo sforzo, soffocati dal caldo, ma resistono. Il dipinto mette in luce la loro dignità e la forza d’animo, ma nello stesso tempo è una condanna verso quanti permettono un lavoro così disumano. Sebbene vengano raffigurati come uomini volitivi e stoici, infatti, i battellieri appaiono abbattuti e sfiancati dall’immane fatica. Il dipinto nasce durante un viaggio, compiuto dal pittore, attraverso la Russia, con il fine di rappresentare personaggi reali.
Il dipinto e il canto, dunque, sono la cronaca e la fedele fotografia di un momento di storia sociale russa.
Il canto sembra riprodurre i tempi del faticoso lavoro scanditi ritmicamente dagli accenti. L’assolo della voce di basso diventa poi l’insieme compatto del coro che canta la medesima sofferenza.
La traduzione inglese:
To the sun we sing our song.
Hey, hey, let’s heave a-long the way
to the sun we sing our song
Yo, heave ho!
Yo, heave ho!
Once more, once again, still once more
Oh, you, Volga, mother river,
Mighty stream so deep and wide.
Ay-da, da, ay-da!
La versione di Glenn Miller
Altri canti tradizionali sono Along Peterskaia Street
e Little Birch Tree o Birch tree, o Bereza che descrive un simbolo importante nella cultura russa: la betulla. Significa primavera, luce e bellezza. Gli antichi russi credevano, infatti, che l’albero di betulla richiamasse speciali spiriti con il potere di proteggerli. Per questo ne piantarono molti attorno ai loro villaggi.
Numerosi poi sono i canti che trattano vicende legate alle guerre che l’Unione Sovietica ha combattuto insieme all’Armata Rossa.
Katjuša (1938) diminutivo confidenziale di Ekaterina o Katerina è una canzone diffusa durante l’ultimo conflitto mondiale e parla di una ragazza che soffre per la lontananza del suo amato, via per il servizio militare a prepararsi per la guerra. La musica del brano è famosa in tutto il mondo, ma, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non fa parte del repertorio folk russo come, ad esempio, Kalinka, bensì è una canzone d’autore, scritta nel 1938 da Matvei Blanter con il testo di Michail Isakovskij. Quest’ultimo (1900-1973) è stato un poeta vincitore di due premi di Stato dell’URSS. L’autore della musica, Matvej Isaakovič Blanter (1903-1990), ebreo di nascita e di lingua madre yiddish, è stato invece uno dei maggiori compositori di canzonette e colonne sonore per film dell’Unione Sovietica e inventore della cosiddetta “Massovaja pesenka”, ovvero la “canzonetta di massa” scrivendo marce molto popolari. Anche questa canzone, con la guerra, avrà una eco straordinaria diventando uno dei brani russi più celebri. [Cfr. https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=45540&lang=it]
La melodia di Katjuša è stata utilizzata nella canzone partigiana Fischia il vento, composta nel settembre 1943 dal partigiano e medico imperiese Felice Cascione, come ricordato anche da Mario Rigoni Stern in una lettera nel libro Aspettando l’alba e altri racconti [Torino, Einaudi, 2004].
Nel repertorio dell’Armata Rossa compare anche la versione italiana, appunto Fischia il vento
Questa melodia sarà ripresa nella canzone Casatchok (Il ballo della steppa), presentata per la prima volta al Cantagiro 1969 e cantata da Dori Ghezzi, con testi di Di Dourakine, Ciotti e Guadabassi.
https://youtu.be/SNhZcg0YkGs?t=19s
Anche The Sacred War è uno dei più famosi canti sovietici associati alla Seconda Guerra mondiale. La musica è di Aleksandr Aleksandrov, fondatore dell’Alexandrov Ensemble, il testo di Vasily Lebedev-Kumach.
https://youtu.be/HK2lNuiD7gM?list=PLp_x89qcuOw_5Ld6LPjZ_FTIQwiwih27d
Esiste poi un lungo elenco di canti che ricordano la guerra civile russa. Uno è il Canto dei Partigiani o Les Partisans conosciuto anche come A l’appel du grand Lenine, canto tradizionale russo che, con parole diverse, è stato usato durante la guerra civile seguita alla Rivoluzione del 1917, da entrambe le parti in lotta: l’Armata Rossa che combatte per i bolscevichi e che con la presa di Vladivostok mette fine al conflitto, e le Armées Blanches, esercito dalla parte del vecchio ordinamento dell’Impero russo. Anche se scritto prima della Seconda guerra mondiale sarà molto utilizzato dall’Armata Rossa anche durante questo conflitto.
Nella loro versione il brano raggiunge una potenza deflagrante: voci e orchestra sono un muro sonoro che ricorda i grandi cori operistici ottocenteschi.
In questa versione dal vivo è strabiliante notare la perfezione dei movimenti coreografici che scandiscono ritmicamente il tempo dell’inno.
Il canto proviene da Chant des partisans de l’Amour (de 1828) a cui Maurice Druon si è ispirato per il testo francese: durante i giorni della battaglia di Smolensk, il suo animo russo si risveglia e una parola gli sovviene: “partisans”. Gli adattamenti francesi sono due ed evocano la guerra civile dal punto di vista dei diversi schieramenti.
Nel testo francese del Chant des partisans rouges naturalmente si fa cenno alla grandezza dell’Armata Rossa sostenuta dal richiamo a Lenin, coraggiosa nella sfida contro i bianchi:
Par le froid et la famine/Dans les villes et dans les champs
À l’appel du grand Lénine/Se levaient les partisans.(bis)
Pour reprendre le rivage/Le dernier rempart des blancs
Par les monts et par les plaines/S’avançaient les partisans. (bis)
Notre paix, c’est leur conquête/Car en mil neuf cent dix-sept
Sous les neiges et les tempêtes/Ils sauvèrent les Soviets. (bis)
Écrasant les armées blanches/Et chassant les Atamans
Ils finirent leur campagne/Sur les bords de l’Océan. (bis)
Il testo del Chant des partisans blancs invece di Lenin menziona il capitano Dénikine ed esalta la missione dei bianchi a sconfiggere l’armata di Trotsky:
Dans le froid et la famine,/Par les villes et par les champs,
A l’appel de Dénikine,/Marchaient les partisans blancs. (bis)
Sabrant les troupes bolcheviques,/Et ralliant les Atamans,
Dans leurs campagnes épiques,/Ils traquaient Trotsky tremblant. (bis)
C’est pour la Sainte Russie,/Pour la vieille tradition,
Pour la gloire et la patrie,/Que luttaient ces bataillons. (bis)
Votre gloire est immortelle,/Volontaires et officiers blancs,
Et votre agonie cruelle,/La honte de l’occident. (bis)
Sempre sulla guerra civile è The red army is the strongest, un canto patriottico russo-sovietico del 1920, noto anche come Armata bianca, barone nero scritto durante la Guerra civile russa da P. Grigorev e composto da Samuil Pokrass. Il testo ritorna sul conflitto tra le due armate, quella rossa e quella bianca. Quest’ultima, composta da vari gruppi di miliziani fedeli allo Zar Nicola II Romanov di Russia, combatte per mantenere l’ordinamento autoritario zarista. Si menziona anche il barone nero era Pyotr Wrangel, così chiamato per il fatto che i suoi soldati vestivano un’uniforme nera.
L’Armata Bianca, il Barone Nero/cercano d’imporci di nuovo il trono dello Zar
ma dalla taiga ai mari britannici/l’Armata Rossa è il più forte.
Che l’Armata Rossa/sapientemente impugni
le baionette con le loro mani callose,/e lanciamoci tutti
irrefrenabilmente/ nell’ultima fatale battaglia
Armata Rossa, marcia, marcia avanti!/Il Consiglio Rivoluzionario ci chiama a combattere.
Perché dalla taiga ai mari britannici/l’Armata Rossa è il più forte!
Abbiamo fomentato le fiamme di un incendio in tutto il mondo,
abbiamo raso al suolo le chiese e le prigioni.
Perché dalla taiga ai mari britannici/l’Armata Rossa è il più forte!
Echelon Song conosciuta anche come Song for Voroshilov o Battle of the Red Guards è una canzone scritta nel 1933 da A. V. Alexandrov (musica) e Osip Kolychev (testi), dedicata a Kliment Voroshilov. Un’altra delle numerose canzoni popolari sovietiche che ricordano la Guerra civile. In particolare questa parla della Battaglia di Tsaritsyn of 1918, oggi Volgograd, scontro militare tra le forze dell’Armata Rossa bolscevica e l’Armata Bianca per ottenere il controllo dell’importante città e porto sul fiume Volga nel sud-ovest della Russia.
Smuglyanka, nota anche come The dark girl o, The dark Moldovan girl è un canto scritto nel 1940, testo di Yakov Shvedov e musica di Anatoliy Grigorevich Novikov. Lo stile è quello delle canzoni moldave. Commissionata dall’ufficio politico del Distretto Militare di Kiev in onore di Grigory Kotovsky, leader dei ribelli moldavi in Bessarabia contro l’Impero Russo nel 1905 e nel 1915, la canzone intende celebrare le donne partigiane nella Guerra civile russa. Racconta, infatti, di come il solista incontri una bella ragazza mentre sta raccogliendo l’uva e provi a sedurla. Ma la ragazza, partigiana, a un certo punto lo convincerà a entrare tra i partigiani in lotta.
https://youtu.be/cW8jXxnBsDc?list=PLHo2aj8JazxtYi01gU3rvji9uz89MF9Yx
Poi c’è la Rivoluzione di Dicembre. Con il termine Decabristi, che significa “dicembre”, si indicano tutti i membri delle società segrete che misero in atto il moto di rivolta nel dicembre del 1825, detto appunto “moto decabrista”, e che ebbe il suo fulcro nell’allora capitale San Pietroburgo. Primo movimento rivoluzionario pienamente cosciente della storia, il programma sociale arrivò fino a richiedere l’abolizione della servitù della gleba e la fondazione di uno stato repubblicano o almeno di una Costituzione. L’insurrezione decabrista si svolge il 14 dicembre 1825 nella Russia imperiale. Alcuni ufficiali dell’esercito imperiale appartenenti a società segrete, guidano circa tremila soldati in un tentativo di rivoluzione per attuare in Russia una economia liberale, e disfarsi dell’assolutismo nel quale l’Impero è costretto fino a quel momento, lottando anche contro lo stato di polizia e la censura. Questa rivolta ha luogo nella piazza del Senato di San Pietroburgo: piazza che, nel 1925, per ricordare il centenario dall’evento, verrà rinominata con il nome di piazza dei Decabristi.
Ma la rivolta viene sedata dallo zar Nicola I di Russia in persona, già a conoscenza del fatto che le truppe ammassate nella piazza. I principali organizzatori vengono impiccati, molti degradati dal loro ruolo nell’esercito, circa 600 persone esiliate e condannate ai lavori forzati in Siberia e zone limitrofe.
La loro condizione di deportati, così come quella degli appartenenti ai gruppi rivoluzionari russi nichilisti e socialisti, è descritta nel romanzo Resurrezione scritto da Lev Tolstoj. Maggiore rappresentante intellettuale del movimento è il poeta Aleksandr Puškin. La canzone racconta la rivolta e la sua tragica fine.
Nel repertorio dell’Armata Rossa ci sono anche canti che appartengono a rivoluzioni e battaglie per la liberà condotte da altri Paesi, come Le chant du départ canto militare francese composto nel 1794 da Marie-Joseph Chénier e musicato da Étienne Nicolas Méhul. Inno del Primo Impero francese, è tuttora nel repertorio dell’Esercito francese. Soprannominato “Fratello della Marseillaise” presenta, per ogni strofa, il punto di vista di diversi personaggi sulla Francia repubblicana: nella prima, un militare incoraggia i soldati a combattere per la Repubblica; nella seconda, una madre offre la vita dei suoi figli alla patria; poi ci sono due bambini di dodici e tredici anni morti per la Francia, uno mentre sta gridando “lunga vita alla Repubblica” l’altro mentre sta sabotando un ponte nemico.
Le chant du départ /La victoire en chantant nous ouvre la barrière.
La Liberté guide nos pas./Et du nord au midi, la trompette guerrière
A sonné l’heure des combats.
https://youtu.be/_lsji14MUc0?t=36s
Non manca l’italiano Bella ciao
e brani di opere liriche come Va pensiero, il coro degli ebrei prigionieri in Babilonia, da Nabucco di Giuseppe Verdi. Qui nella versione live a Israele
Plaine ma plaine è l’adattamento francese di un celebre canto sovietico, chiamato Poljuško-Pole, in italiano Pianura, mia pianura. Si ritiene erroneamente che sia stato composto durante la Rivoluzione russa e cantato dall’Armata Rossa. In realtà, questo canto è stato scritto nel 1934 da Lev Knipper per la parte corale della sua quarta sinfonia, su testo di Viktor Goussev. Ma di fronte alla forza espressiva della parte corale, quella parte è stata poi estrapolata dalla sinfonia per diventare Poljuško Pole o Plaine, ma plaine. Canzone che racconta dell’Armata Rossa, esercito di eroi.
Testo francese:
Plaine, ma chère plaine, large plaine, ma chère plaine!
Des héros marchent à travers la plaine,
Ah ! Ce sont les héros de l’Armée rouge.
Les jeunes filles pleurent,
Aujourd’hui, les jeunes filles sont tristes,
Leurs amants sont partis pour longtemps.
Ah! Leurs amants sont partis à l’armée.
Jeunes filles, regardez,
Regardez notre route!
La route serpente au loin.
Ah ! La joyeuse route!
Canto diventato celebre anche in Italia, nel 1965 Milva registra la canzone Lungo la strada sulle note di Poljuško Pole nell’album Canti della libertà.
https://www.youtube.com/watch?v=dEYoKPCT0XA
Mentre il gruppo ska-punk italiano Banda Bassotti ne ha registrato una versione nell’album A sì es mi vida del 2003.
Moscow Nights, è una canzone tra quelle più conosciute anche al di fuori del territorio russo. Scritta dal compositore Vasily Solovyov-Sedoi e dal poeta Mikhail Matusovsky nel 1955, in origine è intitolata Leningrad Nights, ma di fronte alla richiesta del Ministro sovietico della Cultura il titolo e il testo verranno cambiati.
My army, canzone sovietica di marcia, è un inno alla forza dell’esercito e alla potenza del suo coro: “Il nostro ottobre con noi in formazione di marcia, con le nostre canzoni sui soldati rossi. Il primo giorno della guerra e i fuochi d’artificio della vittoria e il destino dei nostri padri morti”.
If trouble suddenly breaks out in the Motherland,/A soldier will sound the trumpet
My army — you’re always on guard!/You’re my love and destiny!
Ordinary army fate isn’t easy/Love is harsh but true
We’re all ready for military service
We’re all tested by not just one or two battles and marches
We, from the soldier to the marshal, are all one family
Our October with us in marching formation!/With our songs about Red soldiers
The first day of the war and the victory fireworks/And the fate of our dead fathers…
Rushing through our years,/But life is still young!
And the trumpet keeps playing/My army — you’re always on guard!
You’re my love and destiny!
Suliko è un nome georgiano che significa “anima”. È anche il titolo di un poema amoroso scritto nel 1895 da Akaki Tsereteli diventato molto famoso durante gli anni dell’Unione Sovietica. La canzone è stata suonata in radio negli anni di Stalin, considerata la sua favorita.
The Cossack’s Song racconta delle vicissitudini dei Don Cossacks, ovvero i Cosacchi stabiliti presso il basso corso del fiume Don. Si tratta di un’antica comunità militare che vive in maggioranza nella steppa ubicata tra Ucraina e Russia.
La loro è una tradizione militare molto importante e i Cosacchi giocano un ruolo fondamentale nella storia del Paese. Durante la guerra civile russa, per esempio, pur avendo inizialmente appoggiato la rivoluzione contro lo Zar, si schierano in gran parte con le Armate Bianche in opposizione ai bolscevichi. Nella seconda guerra mondiale, invece, combattono invece sia per gli Alleati sia per l’Asse.
Sul versante più pop, nel 1991 il coro partecipa al concerto di Roger Waters The Wall che celebra la caduta del muro di Berlino. In quell’occasione esegue una canzone contro la guerra: Bring the boys back home. Nel 1993, invece, canta assieme alla banda finnica Leningrad Cowboys a Helsinki dando spettacolo davanti a una marea di spettatori estasiati. Strepitosa la versione di Sweet Home Alabama.
Il 12 febbraio 2013, ospite del Festival di Sanremo, duetta con Toto Cutugno
e in Vaticano si esibisce nella danza dei cosacchi.
https://www.youtube.com/watch?v=Ehdamh4WnVU
Ma davvero incredibile è la versione Red Army della hit statunitense Happy di Pharrel Williams in cui il coro si propone con un’immagine inedita e certamente meno istituzionale. È un coro gioioso, eterogeneo e multiforme: il coro di tutti, di ogni cultura, etnia e Paese. Portavoce di un messaggio straordinario, di gioia, di apertura, di fratellanza.
E a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, non può che lasciare stupiti la varietà e la ricchezza del repertorio di un coro militare che spazia tra canti tradizionali, canti di lotta, canti di guerra, canti patriottici, canti di altre nazioni. E quanto, attraverso le canzoni, riesca a emergere non solo la storia politica e sociale di un Paese così impenetrabile come l’Unione Sovietica, ma anche quella di quanti alle sue canzoni si sono ispirati. In quel repertorio, inoltre, si leggono le trasformazioni del Paese, la sua apertura, il dialogo con il resto del mondo. La musica, la danza, l’espressione del canto, ancora una volta, si rivelano osservatori preziosi e suggestivi, capaci di interpretare nel profondo la vita e la cultura di un popolo.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
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