La Resistenza è l’etica; compiere una scelta, e rimanervi fedeli. Una scelta etica è una scelta di passione, e ha un suo suono. In chi, nel fuoco degli eventi, ha sentito la necessità di scrivere una canzone, si nasconde un segreto. Il segreto degli uomini, che hanno bisogno di musica per far danzare la vita.
Marco Rovelli
“Quante canzoni, già scritte, potrebbero rientrare in questa raccolta e comporre un più vasto atlante sonoro sulla Resistenza. E quante, nuove, potrebbero aggiungersi in futuro (…). Storie vere, che ci appartengono e ci richiamano a una partecipazione attiva. Ascoltando, cantando, tenendo a mente. Ricordando. Oggi e sempre”. Qui si chiudeva un articolo scritto in occasione del 25 aprile 2023, Quella Resistenza che rivive nelle canzoni dell’Italia libera, che passava in rassegna i tanti e diversi progetti musicali, individuali e collettivi, dedicati alla memoria della Resistenza.
E non si è atteso molto, perché poco dopo usciva l’album Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza, edito da Squilibri, a ricordarci quanto ancora si possa dire a proposito di un episodio così decisivo e spartiacque nella storia del nostro Paese. “Un evento fondativo – ricorda l’editore Domenico Ferraro nel booklet – per la nostra comunità che dovrebbe porsi come un’idea regolativa per le scelte e azioni di tutti, senza mai ridursi a un monumento inerte, sul quale prima o poi si posano i piccioni, e neanche diventare un’occasione per la ricerca di un ‘nemico’ a tutti i costi”, come espresso da alcune canzoni e nei dipinti che impreziosiscono il libretto.
Un album meritatamente premiato a ottobre 2023 con la Targa Tenco Miglior Album Collettivo a Progetto.
Su questo riconoscimento risponde il curatore Marco Rovelli: “È stato importante, si è riconosciuta la qualità dell’operazione, la cura nel progetto, ma anche un aspetto ideale: il fatto che riprendere i canti della Resistenza sia qualcosa di necessario, specialmente in un periodo storico come quello che stiamo vivendo. Materiale Resistente era stato inciso quando c’era il primo governo Berlusconi che aveva sdoganato gli eredi del fascismo, che in quel momento erano al governo come ministri. Adesso viviamo in una fase storica successiva. Ora gli eredi del fascismo governano direttamente e stanno dando l’imprinting a una fase particolarmente nera della nostra storia. E allora di questo disco, che prende corpo all’interno di questo periodo storico, credo sia stato riconosciuto anche il valore culturale.”
Erano gli anni Novanta, quelli in cui la Resistenza trovava una potente celebrazione attraverso una serie di album realizzati dai gruppi più significativi del panorama folk rock in Italia. Tra i più riusciti, il citato Materiale Resistente 1945-1995, (Aa.Vv., 1995), usciva in occasione del 50º della Liberazione, seguito da un concerto tenutosi a Correggio il 25 aprile 1995. Vi parteciparono diversi gruppi (Modena City Ramblers, Gang, Csi, Üstmamò, Lou Dalfin, Mau Mau, Africa Unite, solo per citarne alcuni) reinterpretando brani scritti e cantati dai partigiani, ma soprattutto brani originali. Un progetto collettivo che si pone come il più prossimo antecedente dell’album edito da Squilibri.
Nella notte ci guidano le stelle, prodotto e curato da Domenico Ferraro e Marco Rovelli, combina voci di artisti giovani ed emergenti con voci di alta caratura autorale che costruiscono un complesso atlante sonoro, restituendo l’eterogeneità di chi prese la strada dei monti o combatté nelle città per opporsi al nazifascismo. Un impegno raccolto da uomini e donne di varia adesione politica, dal nord e al sud del Paese.
“L’idea è nata come un nodo di passioni che mi hanno attraversato da sempre – racconta Rovelli – da una parte, musicalmente, sono cresciuto ascoltando il rock, dall’altra ho sempre avuto una passione per le storie della Resistenza, ne ho scritto (il libro Eravamo come voi, per Laterza, ne è un esempio) e ne ho interpretato i canti, fin dai tempi con Les Anarchistes”.
Continua il musicista e scrittore: “Queste passioni hanno trovato una convergenza in questo progetto che pure si richiama a un disco degli anni 90, un disco importante, Materiale Resistente, in cui già era stata attuata questa operazione, di attualizzare canti della Resistenza o di scriverne di nuovi. In quel disco c’era più varietà di stili, qui ho cercato di individuare artisti che avessero un’inclinazione elettrica e sperimentale più marcata. Non c’è reggae né folk e nemmeno cantautorato classico, c’è un sound eminentemente elettrico o sperimentale. Quindi l’idea era quella di riattualizzare e di ridare vita alle storie della Resistenza e alla sua memoria con un linguaggio nuovo, per quanto il rock non sia nuovo, ma è un rock che ha ancora qualcosa da dire e credo che questo album collettivo lo dimostri”.
Nella notte ci guidano le stelle, dunque, fa della Resistenza uno spazio di riflessione, aperto anche ai fondamenti dell’umano, all’attualità dei conflitti che deflagrano in varie parti del mondo.
E il mondo, nel disco, fa la sua incursione nella versione strumentale di Fischia il vento, proposta dall’americana Marisa Anderson. Come nella presenza del tessalonicese Dimitris Mystakidis, musicista greco che accompagna Vinicio Capossela, nel contributo del curdo Serhat Akbal che partecipa alla rivisitazione di un canto rivoluzionario spagnolo insieme a Kento e Bestierare. Presenza importante visto che gli utili del disco sono devoluti a una resistenza dei nostri giorni, quella curda, e in particolare alla Mezzaluna Rossa Kurdistan.
Si apprezza davvero la ricchezza di questa raccolta, che combina il lavoro di ricerca e recupero di canti del passato, operato da diversi artisti, riproposti in versioni riarrangiate e personali, come l’artigianalità di quanti, invitati a contribuire, hanno presentato brani originali, espressamente realizzati per l’album. Mondi musicali che si accordano a creare sintonie in un dialogo che stupisce e rincuora. Questa varietà di punti di vista obbliga a soffermarsi sugli interpreti (molti già impegnati, attraverso la musica, in diverse battaglie e spesso uniti in collaborazioni inedite) e sulle tracce che delineano questa memoria condivisa. Composta dei dialetti che giungono dai molteplici angoli della Penisola, di voci maschili e femminili, delle grida di combattenti che inneggiano alla lotta, dei canti dei disertori e dei renitenti, che scelsero di lasciarsi alle spalle il mondo che muore per costruirne uno nuovo. Di parole mai dette, di sguardi ampi, che vanno oltre i confini del nostro Paese. Perché la Resistenza all’oppressore è ancora presente in molti luoghi e riguarda tutti su questa terra.
L’album si apre e si chiude con due differenti versioni di Bella ciao, il canto più misterioso tra quelli che appartengano alla tradizione orale del nostro Paese. Le sue origini si perdono in mille rivoli e possibilità. Ma il suo significato ha travalicato tempi e spazi, tanto che Bella ciao è diventato il canto universale dell’uguaglianza e della libertà di tutti i popoli, che lo hanno tradotto, reinterpretato, impregnato delle loro lotte e speranze.
Così è ancora più significativo che la prima voce che dà l’avvio all’album sia quella di una donna. Che interpreta una rara versione femminile di Bella ciao, appresa da Carlo Pestelli da Floriana Deiana che la cantava ad Alba, da bambina, nel 1944. Le donne, spesso dimenticate dalla storia ed erroneamente escluse da questi repertori, le donne che però hanno combattuto, che sono state staffette, che sono state vittime tanto quanto gli uomini, le donne – tutte le donne di ieri e di oggi – si ritrovano nella voce spezzata di Lalli, nome d’arte della cantautrice astigiana Marinella Ollino. Negli anni Settanta interprete del gruppo torinese dei Franti e vincitrice, nel 1999, del Premio speciale della Giuria nella quinta Edizione del Concorso nazionale di musica d’autore Piero Ciampi. Voce tra le più interessanti nel panorama rock alternativo al femminile.
“Questa versione – spiega Rovelli – era stata cantata da una signora (Floriana Deiana) durante una presentazione del libro di Carlo Pestelli in Piemonte (Bella ciao: la canzone della libertà, Add editore) che si era alzata dicendo: ‘Io mi ricordo da bambina questa versione’, e l’aveva intonata. Questo ricordo mette in crisi e dà una prospettiva nuova all’origine di questo canto che non è solamente identificabile con i partigiani della Maiella che poi erano arrivati dalla Romagna a Bologna e poi durante il 25 arile erano giunti anche a Milano. Perché una partigiana mi aveva raccontato che il 25 aprile l’aveva sentita cantare a Milano. Nel ’44 questa signora disse che la cantavano i partigiani ad Alba, una versione femminile, di una donna che va sui monti, là dove il suo fidanzato partigiano è stato ucciso, alla sua tomba. Possiamo immaginarci che ci vada anche per prendere il posto del suo fidanzato, per prendere le armi anche lei, perché per quanto una minoranza le donne in armi c’erano, erano una realtà combattente.”
A far da controcanto c’è Paolo Enrico Archetti Maestri voce degli Yo Yo Mundi, band originaria di Acqui Terme, nata nel 1988, i primi lavori prodotti da CSI, che ha dedicato numerosi progetti alla memoria della Resistenza. Partecipano a Materiale Resistente con la canzone I banditi della Acqui, brano da cui nascerà uno spettacolo teatrale intitolato Il Bandito della Acqui: memorie di un soldato dimenticato. Poi il concerto-evento, nel gennaio 2005 a Casale Monferrato in occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione. Uno spettacolo intitolato La Banda Tom e altre Storie Partigiane, dedicato alla banda partigiana trucidata dai nazi-fascisti il 15 gennaio del 1945. Con l’album di inediti dal titolo Evidenti Tracce sono stati finalisti delle Targhe Tenco 2016.
Paolo Benvegnù, chitarrista e cantautore milanese tra i fondatori degli Scisma, autore di testo e musica, nel brano Cervi propone “una soggettiva di Aldo Cervi un secondo prima dell’esecuzione” quando, la mattina del 28 dicembre 1943, venne fucilato insieme ai suoi fratelli. Recupera, dunque, una vicenda tra le più truci, avvenuta nel reggiano, in cui l’intera famiglia di sette fratelli, contadini antifascisti, vennero fucilati dai repubblichini per la loro attività militante. La banda Cervi, con il loro cascinale diventato luogo di raccolta di antifascisti, partigiani feriti, prigionieri di guerra, era un gruppo determinato nel contrastare il nazifascismo. Alla loro memoria sono state scritte innumerevoli canzoni. Qui, testo e potenza di suono, mettono in risalto il coraggio di Aldo, il terzogenito, il più deciso forse nel prendere parte alla lotta contro l’oppressore. Colui che, pronto ad accettare il sacrificio, sapeva che sarebbe morto per una causa giusta.
Paolo Monti, musicista sperimentatore tra i più raffinati ed eclettici, autore di atmosfere ambient immersive, qui alle prese con chitarra, archetto ebow ed elettronica, è in coppia con la cantautrice di Orvieto Serena Altavilla (voce e synth) e con Alessandro Gambassi (synth). Voce attiva nella zona di Prato dai primi anni 2000, Altavilla è fondatrice della band Baby Blue con cui vince il Premio Fondazione Arezzo Wave Italia. Voce dei Mariposa, autrice dell’album solista Morsa, tra le tante iniziative, nel 2022 partecipa a Il tocco di Piero. Le mille vite di Piero Umiliani, film documentario dedicato al compositore e direttore d’orchestra fiorentino, di cui reinterpreta i classici, presentato al 40° Torino Film Festival.
Monti e Altavilla danno forma e sostanza alla ballata rock Amore ribelle (Forno 1944). Interessante qui, la rivisitazione che nasce da una ricerca sul campo recente e che rivela la ricchezza di versioni e varianti interne al patrimonio orale dei canti popolari, in questo caso anarchici, restituitoci di nuovo dalla memoria di una donna, custode di preziosi reperti. “Si tratta di una versione partigiana di Amore ribelle di cui io ero l’ultimo depositario – spiega Rovelli – me la cantò Alda Fruzzetti, una signora di Forno, paese delle montagne apuane, che da bambina era stata testimone dell’eccidio nazifascista del 13 giugno 1944. Lei era una miniera di canzoni. Questa, di cui è autore Pietro Gori, era stata trasformata: nella melodia e nell’aggiunta di una strofa sulla lotta partigiana, e di questa versione non esistevano tracce in nessun disco o libro. Alda Fruzzetti era la sola che la conservava nella memoria e l’aveva tramandata a me, registrandola su un’audiocassetta. In questo modo, incidendola, l’abbiamo salvata. Nessuno ne avrebbe mai saputo nulla e di questo vado molto orgoglioso”.
Cesare Basile è un cantautore catanese dalle molteplici esperienze musicali. Dalla Sicilia, con il gruppo Quartered Shadows sbarca a Berlino e poi a Milano, per tornare a Catania con influssi internazionali negli arrangiamenti e nelle orchestrazioni, incidendo, nel 1994, il primo album solista, La pelle. Il successivo Closet meraviglia, lo consacra voce d’autore. Collaborazioni con artisti internazionali anche negli album a seguire: Gran calavera elettrica (2003, Mescal) e Hellequin Song (2005, Mescal). Con il disco Cesare Basile (2013 Urtovox Records/Audioglobe) si aggiudica la Targa Tenco nella categoria Miglior album in dialetto. Tra le ultime produzioni, Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più. (Urtovox)
Cesare Basile, scrive, mette in musica, suona e interpreta La cartullina, da una poesia di Vann’Antò pseudonimo di Giovanni Antonio Di Giacomo, poeta ragusano nato nel 1891, insieme a Ignazio Buttitta tra i maggiori esponenti della poesia siciliana del Novecento. Basile recupera un reperto della cultura di tradizione del passato e ne adatta il testo legandolo ai moti popolari del Non si parte del dicembre 1944. Ovvero, la rivolta antimilitarista che, al grido di Nun si parti, nun si parti!, scoppiò in Sicilia quando ai giovani furono recapitate le cartoline per presentarsi ai rispettivi distretti ed essere arruolati per andare a combattere contro i tedeschi. Tale rivolta si concluse con la repressione da parte dell’esercito.
Canzone dolente, tragica, senza speranza: dalla chiamata alle armi di un giovane alla sua morte passa un istante. Che si riempie del pianto di una madre, ed è tutto ciò che resta.
Marco Rovelli, curatore di questo viaggio musicale che si snoda in quindici canzoni, è autore di Sbandati, insieme a Teho Teardo che vi costruisce attorno solide architetture musicali, con electronics, piano rhodes, insieme alla chitarra elettrica di Paolo Monti. Attivo, Teardo, nella scena post-industriale italiana, fin dagli anni Ottanta è autore di alcune tra le più memorabili colonne sonore di film, diretti da Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Daniele Vicari, per le quali ha ottenuto nomination ai Nastri d’Argento e vinto un David di Donatello.
La canzone è il risultato degli approfondimenti e delle ricerche che Rovelli svolge da anni sul tema delle tante resistenze che sopravvivono nel mondo, nelle vesti di autore di testi per musica, per il teatro, ma anche di scrittore e narratore. Tra i numerosi progetti si ricorda nel 2015 per Laterza Eravamo come voi, racconti di storie partigiane e successivamente La guerriera dagli occhi verdi, romanzo non-fiction sulla vita di una guerrigliera curda, preparato con un viaggio tra i guerriglieri curdi (2016).
Musicista, autore di canzoni e cantante dei Les Anarchistes, gruppo vincitore del premio Ciampi 2002 per il miglior album d’esordio, come solista nel 2015 con l’album Tutto inizia sempre, candidato alla targa Tenco. Del 2018 l’album Bella una serpe con le spoglie d’oro. Omaggio a Caterina Bueno, rivisitazioni di canti popolari toscani, finalista alle targhe Tenco.
Sbandati erano quanti, nel 1943, non si erano voluti arruolare nelle milizie fasciste e che poi, da disertori – la diserzione, prima forma di ribellione – erano diventati partigiani. Gli sbandati, di ieri e di oggi, sono anche quelli che sopravvivono alle guerre che infuriano, ricordandosi di cantare, di portare nel loro viaggio le parole di un inno da tramandare a chi verrà. Perché nel frastuono e nella distruzione di ogni cosa si salvi un suono, una melodia, una parola di pace.
“La diserzione – spiega Rovelli – è un valore decisivo oggi, più che mai nella nostra società. Il valore del sottrarsi a quella che è l’onda nera della società”.
I Marlene Kuntz, gruppo rock alternativo con una forte vena cantautorale, originario della provincia di Cuneo, sono emersi dal fermento musicale degli anni Novanta. Album di debutto, nel maggio 1994, Catartica, il primo pubblicato dall’etichetta discografica Consorzio Produttori Indipendenti, partecipano nel 1995 alla compilation Materiale Resistente con il brano Hanno crocifisso Giovanni.
Sensibili al tema resistenziale, già il 25 aprile 2019 pubblicavano una loro versione di Bella ciao in duetto con Skin. Il ricavato del singolo, con il video girato a Riace, era stato devoluto per il manifesto È stato il vento – Artisti per Riace. Con lo stesso brano, il 25 aprile 2020 partecipavano al concerto on-line di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020 sui canti della Resistenza, intitolato Voci Resistenti. La personale reinterpretazione della canzone popolare Il partigiano, è da tempo nel loro repertorio, suonata in vari tour.
Il partigiano, canto noto anche come Il bersagliere ha cento penne, adattamento di un canto militare risalente alla prima guerra mondiale, è diventato un canto alpino con il quale i partigiani liguri cantavano l’orgoglio della propria condizione di uomini liberi da gerarchie militari e in lotta per la libertà. La voce rarefatta di Cristiano Godano traduce la superiorità del partigiano rispetto ad altre categorie di combattenti. Il partigiano non ha elmi, non ha armi se non la dignità di morire da uomo libero.
Certamente tra le tracce più interessanti vi è la riproposta di A las barricadas, per originalità della produzione, per il significato del canto, per la combinazione di artisti che lasciano il segno.
A costruire le strofe c’è Kento, pseudonimo di Francesco Carlo, rapper di matrice hip hop cresciuto a Reggio Calabria, alle prese con la musica dai primi anni Novanta, ispirato dal rap combattente delle posse. Nel 2009 il disco d’esordio Sacco o Vanzetti è dedicato alla vicenda tragica dei due anarchici condannati e uccisi ingiustamente a Boston. Nel 2010 incide Resistenza sonora, album di rivolta contro l’oppressione della malavita organizzata e le ingiustizie di uno stato sempre più estraneo ai veri mali del paese. Autore di libri tra cui Resistenza rap. Musica, lotta e (forse) poesia: come l’Hip-Hop ha cambiato la mia vita (Roma, Round Robin).
Con lui Bestierare, gruppo rap romano nato verso la fine degli anni ’90, dallo stile personale, libera espressione di pensieri e idee, lontano dai cliché. Autoprodotti e auto distribuiti da sempre, qui rappresentati dalle voci di Christian Ciamarra e Elio Germano, autori anche delle parole.
Altra presenza in campo, è quella di Serhat Akbal, solista e musicista curdo che suona uno strumento tradizionale della sua terra chiamato saz (o baglama) e canta in curdo e armeno. Da alcuni anni rifugiato politico in Italia, ha abbandonato il suo paese per motivi politici.
Con il contributo della voce di Serena Altavilla, l’ensemble propone una versione rivisitata e aggiornata di A las barricadas, uno dei canti simbolo della resistenza internazionale, cantata oggi dai combattenti curdi. Inno ufficiale di Radio Klara di Valencia, composta in occasione dello scoppio della guerra civile spagnola nel 1936, originariamente era cantata dagli anarchici spagnoli e intonata sulla base musicale della Warszawianka 1905 roku. La canzone di Varsavia, canto che ha travalicato epoche e confini, si è prestato, tradotto e rimaneggiato, a diventare vessillo di numerose battaglie: inno del movimento proletario polacco contro il dominio zarista, canto di protesta ufficiale degli internati del regime zarista in Russia, intonato durante la Rivoluzione russa del 1905 e del 1917, voce delle classi operaie della Polonia, dell’Unione Sovietica e della Germania antifascista. Poi giunto in Spagna.
Qui il testo è opera del leader spagnolo della Confederación Nacional del Trabajo, Valeriano Orobón Fernández, con l’arrangiamento per coro misto di Angel Miret. La citata “Confederazione” si riferisce appunto alla CNT (Confederación Nacional del Trabajo), ovvero la Confederazione Nazionale del Lavoro, a quei tempi il più grande sindacato e l’organizzazione anarchica più importante della Spagna, nonché la maggiore oppositrice di Franco e della Falange Spagnola.
Canzone attualissima, oggi voce del popolo curdo, l’originale A las barricadas, che si ascolta nella melodia del ritornello, nella versione proposta, inno rap contro le guerre e lo sfruttamento del lavoro, vede un rincorrersi di voci, lingue e dialetti, un alternarsi di parole del passato e di oggi, suoni di una melodia antica e canto parlato, a scandire un tempo che è trascorso senza che nulla sia cambiato veramente. Da Belfast a Gaza, da Reggio ad Alicante c’è sempre un nuovo dittatore, che si combatte anche con voce e chitarra, i mattoni di una barricata da erigere contro odio e violenza, affarismo e speculazione. I malfattori dell’oggi, educati al pensiero di Pietro Gori, votato alla difesa degli ultimi, combattono per un ideale libertario, per i lavoratori sfruttati dall’arroganza del capitale, per la memoria dei partigiani e per tutti gli antifascisti. Ma anche per le vittime di stermini in Medio Oriente o nel cuore dell’Europa, dove ancora oggi si piangono morti civili senza colpe.
Ardecore, nome che gioca sul termine inglese hardcore storpiato in dialetto romanesco (brucia il cuore) è un supergruppo nato dall’incontro artistico tra il cantautore Giampaolo Felici e la band punk jazz degli Zu, entrambi romani, con la partecipazione del chitarrista statunitense Geoff Farina. La loro idea è quella di rielaborare in chiave moderna le canzoni appartenenti alla tradizione popolare romanesca, a partire dai vecchi stornelli, rispettandone la struttura portante e le particolarità stilistiche.
Il primo disco, Ardecore (2005), collana de Il Manifesto, ha come orizzonte il racconto del lato più oscuro e drammatico della tradizione popolare romana, soffermandosi sui temi dell’amore più tragico, il tradimento, il carcere, la malavita. Il loro secondo disco, Chimera (2007) è premiato con la Targa Tenco nella categoria Miglior opera prima.
Da queste basi partono per rielaborare Figli di nessuno, un canto di battaglia dei partigiani genovesi delle squadre d’azione tra Liguria e Piemonte che avevano il compito di contrapporre alla violenza dei fascisti azioni di rappresaglia. Erano chiamati appunto i figli di nessuno. Queste formazioni antifasciste confluirono poi, nel 1921, negli Arditi del popolo. Il canto, anonimo, conosciuto anche come Noi siam nati chissà quando chissà dove, nota la versione di Maria Carta e quella marziale di Giovanna Marini con il Coro Inni e Canti di lotta, qui si sostanzia nella voce e nelle chitarre di Giampaolo Felici, nel synth keyboards di Gianluca Ferrante, nella batteria di Marco Di Gasbarro, nei cori e nel suono del trombone di Ludovica Valori.
Pierpaolo Capovilla, cantautore e bassista di Varese, trasferito in Veneto, fondatore degli One Dimensional Man e de Il Teatro degli Orrori (2010) e del recente progetto Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri. Interessato alla ricerca e alla commistione tra le arti, musica, poesia e teatro, nel 2011 compie un tour teatrale dove legge testi del poeta russo Vladimir Vladimirovič Majakovskij, e successivamente porta in giro un reading su Pier Paolo Pasolini e la sua opera La religione del mio tempo.
Insieme a Capovilla c’è Bologna Violenta, progetto musicale formatosi nel 2005 da Nicola Manzan, polistrumentista trevigiano, a cui si unisce Alessandro Vagnoni come batterista.
Il primo album dal titolo Bologna violenta (2006), costituito da ventisette tracce, presenta brani dai titoli ispirati al cinema poliziottesco italiano degli anni ’70, restituiti a suon di chitarre distorte.
Da questo lavoro Bologna Violenta approda alla realtà della cronaca, pubblicando nel 2014 Uno bianca, concept album incentrato sui crimini commessi dalla banda della Uno bianca, a Bologna e dintorni dal 1987 al 1994.
Pierpaolo Capovilla e Bologna violenta, interpretano E quei briganti neri rivisitando un canto partigiano che, diffuso in Valdossola, riprendeva un antico inno anarchico dedicato al giovane Sante Caserio. Il risultato è una canzone di forte impatto: dura, radicale, amplificata dalla voce teatrale di Capovilla, che fissa un diktat: piuttosto che parlare me ne vado alla morte e un gesto, quello di pugnalare i fascisti dritto al cuore.
Arriva da Portland, la sofisticata versione strumentale con chitarra solista e fisarmonica di Fischia il vento, celebre canto composto da Felice Cascione, medico e partigiano ligure. Opera di Marisa Anderson, straordinaria compositrice e polistrumentista originaria dell’Oregon. Molto nota per l’uso della chitarra primitiva americana, tipica del genere musicale per chitarra fingerstyle, sviluppato da John Fahey alla fine degli anni ’60, suonata mescolando vari stili da tutti gli Stati Uniti. Dal Mississippi Delta blues al folk dei canti della tradizione britannica rinvenuti da Cecil Sharp sui Monti Appalachi, fino alle sonorità africane e del resto del mondo. Famosa anche per le sue composizioni nate improvvisando, per garantire al processo creativo la massima libertà, in cui unisce elementi di minimalismo, elettronica, musica classica a composizioni basate su blues, jazz, gospel e country, così da reinventare il panorama musicale del suo paese. Artista impegnata su diversi fronti, sui temi dell’ambientalismo, contro il nucleare, nella battaglia per la restituzione di dignità ai nativi americani, fino al sostegno ai guerriglieri antigovernativi in protesta durante il conflitto del Chiapas nel Messico meridionale.
Sorprendente la combinazione tra la voce dell’attrice e cantante pisana Petra Magoni e l’accompagnamento musicale di Alessandro D’Alessandro, in Attraverso valli e monti.
Magoni, con l’album Musica Nuda terzo posto al Premio Tenco 2004 nella categoria Interpreti e Targa Tenco 2006 nella categoria interpreti con Musica Nuda2 insieme a Ferruccio Spinetti (Piccola Orchestra Avion Travel). D’Alessandro, attualmente tra i più talentuosi organettisti in circolazione, interprete di un dialogo tra lo strumento di tradizione contadina e altri stili, pioniere nell’utilizzo dell’elettronica applicata all’organetto. Vincitore, insieme a Canio Loguercio, della Targa Tenco per il miglior album in dialetto con Canti, ballate e ipocondrie d’ammore (2017) e del Premio Loano per la musica tradizionale con il cd d’esordio solista, Canzoni per organetto & elettronica (2022).
Li troviamo insieme nella reinterpretazione di Attraverso valli e monti, versione italiana di una canzone partigiana russa, Po dolinam i po vzgoriam, che veniva trasmessa in Italia ogni giorno da Radio Mosca, diffusa soprattutto tra i partigiani del Friuli Venezia Giulia.
Massimo Zamboni, chitarrista, cantautore e scrittore di Reggio Emilia, fondatore e principale compositore dei CCCP- Fedeli alla linea e dei successivi CSI, uno dei padri del punk rock e del rock alternativo italiani, è presente nella raccolta con il brano Il nemico.
Autore di album da solista tra cui Sorella sconfitta realizzato con Nada, Lalli, Fiamma Fumana e il soprano Marina Parente (2004) e L’apertura, insieme a Nada (2005) fino a La mia patria attuale uscito nel 2022 per Universal Music Italia, una riflessione intorno al concetto di patria che musicalmente si concretizza in uno sguardo verso la tradizione, quella emiliana dei canti contadini e religiosi, ma anche verso l’ideologia comunista, l’Oriente e la poesia romantica, temi cari all’autore. Tra le ballate folk presenti nell’album, si staglia Il nemico, brano che da questo album è prestato alla raccolta Nella notte ci guidano le stelle, dove ben si amalgama. Presenta il tema, caro anche alla narrativa, dell’antagonista. Basti pensare a Sentinella, racconto di fantascienza di Fredric Brown del 1954, che affrontava l’ambiguità di chi viene e identificarsi come nemico. Chiunque può diventare il nemico di qualcuno se la società è conflittuale, se la realtà è sempre basata su contrapposizioni, scontri, guerre personali e di potere. Il nemico, ci ricorda Zamboni, non è sempre diverso e lontano da noi: ci assomiglia, è tra noi, tra amici e parenti, spesso si nasconde tra le nostre abitudini. Il nemico è ciò che fa dubitare se conti di più l’onore dell’oro. Testo di Massimo Zamboni, musica di Massimo Zamboni, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali.
“ ’A67 significa la 167, la legge che ha originato l’edilizia popolare d’Italia e ha edificato il nostro quartiere, Scampia. Siamo nati qui. La nostra musica – chiamatela Rock, Crossover o come vi pare – è stata prima un urlo di rabbia contro tutti, poi l’urlo è diventato parola. Le parole, canzoni.” Così si raccontano gli ’A67, Daniele Sanzone (Voce), Enzo Cangiano (Chitarre), Gianluca Ciccarelli (Basso), rock band originaria di Napoli, quartiere Scampia. All’esordio con ’A camorra song’io (Polosud, 2005). Vincitori, tra gli altri premi, di Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty 2006.
Si occupano di temi necessari: educazione alla legalità, con il secondo disco Suburb, le periferie del mondo, con collaborazioni importanti: Mauro Pagani, Zulù, Roberto Saviano. Il disco è stato terzo posto al Premio Tenco 2008 come Miglior Album in Dialetto.
Con il terzo album Naples Power (2012) omaggio al Neapolitan Power collaborano con i maggiori artisti napoletani.
Napule nun te scurdà è una canzone di Sergio Bruni, voce simbolo del Novecento napoletano, e del poeta e paroliere Salvatore Palomba, composta nel 1976, sulle quattro giornate di Napoli quando, dal 27 al 30 settembre del 1943, la città insorse contro i nazifascisti. Fu un evento di portata quasi epocale, nel quale bastò la rivolta della popolazione civile per portare alla liberazione del capoluogo campano dalle truppe tedesche e dai fascisti. A forza di colpi di mitraglia, di grida contro l’invasore, del sacrificio di tanti giovani. Per la libertà, per poter scrivere su una pagina nuova della città la parola dignità. La città, già liberata quando vi giunsero le forze alleate, venne insignita della medaglia d’oro al valor civile. Napoli, che in quei giorni si riscattò dal nazifascismo e da secoli di malaffare, oggi, sembrano ricordare gli ’A67, non deve dimenticare quel momento eroico.
I Mariposa, gruppo formatosi nel 1999 a Bologna, da trio divenuto presto settetto, alla forma-canzone uniscono elementi di free jazz, teatro surreale e psichedelia, tanto da definire le loro composizioni come musica componibile, ispirata all’ide di assemblaggio.
Del 2004 è Resistenza e amore, realizzato insieme ad Alessio Lega. Nel 2010 prendono parte al progetto La leva cantautorale degli anni zero, realizzato dal Club Tenco e dal Meeting delle Etichette Indipendenti, in collaborazione con l’etichetta Ala Bianca.
In occasione del Premio Tenco a Sanremo 2011 si completano con la voce solista di Serena Altavilla.
Megu felice è dedicata a Felice Cascione, detto U Megu, il capo partigiano e medico di Imperia che scrisse il testo di Fischia il vento i cui versi sono ora interpolati a nomi di costellazioni e stelle. Quelle che guidavano i partigiani nella notte e che sono sempre lì a ricordarci il giusto cammino da percorrere.
A chiudere l’album è Bella ciao di Vinicio Capossela, l’artista con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, premiato già con l’album d’esordio All’una e trentacinque circa (1990) e artefice di un recupero del canto popolare del mondo, dal rebetiko conosciuto in un viaggio in Grecia, Turchia, Macedonia, ai canti popolari irpini, alle reinterpretazioni di Matteo Salvatore, Enzo Del Re e Antonio Infantino. Noto l’impegno sui temi della memoria resistenziale e sull’Olocausto. Tredici canzoni urgenti, ultimo album pubblicato il 21 aprile 2023, ha per filo conduttore la peggiore delle catastrofi: “la guerra, con tutto il corollario di avvelenamento, di semplificazione, di inflazione, di vanificazione di ogni sforzo culturale”. Uno dei brani, Staffette in bicicletta, è dedicato alle donne, madri, figlie, sorelle, che fecero la Resistenza.
Con lui il tessalonicese Dimitris Mystakidis, già collaboratore di Capossela nel disco Rebetiko Gymnastas con cui il cantautore aveva omaggiato il mondo greco. Dimitris Mystakidis è una figura fondamentale per lo studio della musica greca di cui esplora le radici, attraverso l’utilizzo degli strumenti popolari come bouzouki (suonato qui), chitarra rebetiko, zampogna, clarinetto, e testi che raccontano storie di irriducibilità sociale, di ingiustizia, di violenza di genere, di xenofobia e di esclusione.
Questa ultima Bella ciao, insieme a quella di apertura, si aggiunge alle infinite versioni che circolano nel mondo, con lingue e dialetti diversi, ma con la medesima volontà di cantare la libertà da ogni guerra, sopruso e ingiustizia.
Versione dal vivo, La Milanesiana, 2022:
In ultima battuta chiediamo a Rovelli se scrivere nuove canzoni sulla Resistenza rappresenti una possibilità per tenerne accesa la memoria.
“Le tradizioni e la memoria, come diceva Gustav Mahler, non sono ceneri da vegliare, ma un fuoco da tramandare e lo si tramanda facendo luce sul presente, quindi cantare la Resistenza significa cantare una dimensione universale. L’eccezionalità di quell’esperienza è il fatto che ci fu un accomunarsi di tantissime singolarità differenti. La Resistenza fu un insieme di infinite resistenze singolari e di infinite scelte etiche che nascevano da storie sempre diverse e spesso, specialmente nel caso dei più giovani, non necessariamente politiche, ma prima di tutto esistenziali, che affondavano le radici in una vicenda singolare di quella persona. Erano sempre scelte etiche: è questo il valore principale oggi del commemorare la Resistenza, da interpretare come un fatto etico e dunque universale che ci riguarda tutti continuamente. Perché la Resistenza significa prendere parte, sapersi situati in un tempo e in un luogo preciso di una trama che è la trama della storia. Questo disco ha fatto questo, ha preso parte, ed è il frutto di una scelta.”
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato giovedì 30 Novembre 2023
Stampato il 03/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/il-suono-della-resistenza-cd-nella-notte-ci-guidavano-le-stelle/