Adorerei mettere vestiti sgargianti tutti i giorni / E dire al mondo che va tutto bene / Ma cercherò di scaricare un po’ di buio sulle mie spalle/ E finché le cose non saranno un po’ più chiare / Io sarò l’Uomo in Nero.
The Man in Black, Johnny Cash

 

Johnny l’highwayman, Johnny il ribelle, Johnny The Man in Black, contemporaneo di Elvis Presley, icona del country rock negli anni Cinquanta, voce di protesta insieme a Bob Dylan negli anni Sessanta. E poi, ispirato cantore gospel, cittadino statunitenze ma che del suo Paese ha sempre condannato i mali, Johnny Cash è il più grande narratore della storia d’America.

Attraverso il lavoro di riscoperta dei canti della tradizione, con la sua voce ribelle e contestataria ha unito generazioni diverse e lontane, giovani e vecchi, che lo hanno apprezzato per essere stato, da una parte il paladino dei valori fondanti della nazione, la sua memoria, e dall’altra il punto di riferimento di una frangia della società, quella più emarginata, quella degli ultimi e degli esclusi, dei senza diritti di cui ha cantato fatiche, lotte e sofferenze. Una voce di rivolta, spirito guida dei tanti giovani che manifestavano contro le ingiustizie, per una cultura della pace, per i diritti civili.

Come Woody Guthrie, una vita cominciata dal fondo della scala sociale, povero tra i poveri.

John R. Cash, ragazzo del Sud, nasce in Arkansas, a Kingsland, il 26 febbraio 1932. Sono gli anni della Grande Depressione che, nel paese tra più arretrati d’America, segna pesantemente la vita delle famiglie senza alcuna prospettiva, come la sua.

L’infanzia non ha nulla di spensierato. Il padre Ray, mezzadro di origini scozzesi, è un uomo severo, ha una durezza di carattere derivata da un’infanzia buia, vissuta, dopo la morte del genitore, sottomesso all’autorità dispotica del fratello maggiore Dave. Un giovane dal carattere intransigente e anaffettivo,  che sembrava trarre divertimento dall’umiliare il fratello. Si racconta, per esempio, che per temprarlo alle severe regole di vita del Sud, lo conduceva a vedere un impiccato, un uomo di colore vittima di un linciaggio – pratica in uso soprattutto nei Paesi del Sud degli Stati Uniti, monito per le persone nere che non volevano piegarsi alla legge dei bianchi – al quale probabilmente aveva preso parte.

Dave diventerà poliziotto e poi giudice di contea, Ray, invece, combatterà nella Prima guerra mondiale. Al ritorno conosce Carrie Fisher, anche lei figlia di agricoltori e appassionata di musica e di canto, praticato nella chiesa metodista del paese. Nel 1920 i due si sposano giovanissimi. Giovanissimi e senza alcuna certezza a cui affidarsi. Alla nascita di John Ray, i fratelli sono già tre e il nome scelto rispecchia le volontà di entrambi i genitori: il primo è quello desiderato dalla madre, l’altro è scelto dal padre.

L’estrema povertà della famiglia in quei terribili anni Trenta, sembra destinare tutti i componenti a un futuro di eterne privazioni, ma un provvedimento dell’amministrazione Roosevelt, il Dyess Colony, permette ai nuclei rurali più colpiti dalla crisi di sopravvivere. Per questi sono messi a disposizione lotti di terra da coltivare, ricavati da paludi bonificate nella zona del Mississippi, nello stato dell’Arkansas: “Ogni famiglia – scrive Steve Turner nel volume biografico Johnny Cash. La vita, l’amore e la fede di una leggenda americana – avrebbe ricevuto una casa appena costruita, otto ettari di terreno da disboscare e mettere a coltura, un fienile, un mulo, una mucca da latte e un pollaio”.

Grazie all’intercessione del fratello, non senza feroci umiliazioni, Ray ottiene l’assegnazione di quanto previsto. Con la famiglia si trasferisce a vivere in una baracca che per la prima volta assomiglia a una casa. Il lavoro è duro, ma alla fine della giornata uno spiraglio di luce promette che il domani sarà migliore:

Ragazzo di campagna, hai molto lavoro da fare / (…) Devi piantare i semi, strappare le erbacce / Ce n’è una sfilza e sai che devi zappare. / Quando il tempo del lavoro finisce / C’è ancora tanta vita in te, scriverà John anni dopo, ricordando i momenti di speranza di quando era un Country boy.

Le belle speranze sono messe però alla prova dagli eventi atmosferici che si abbattono sulla Colonia di Dyess: nel 1937 il fiume Tyronza straripa a seguito di forti piogge, devastando quel territorio. I Cash sono costretti a sfollare. Eppure l’inondazione, pur devastando ogni cosa, si rivela feconda per i terreni, resi fertili dall’acqua.

Così il lavoro non manca e anche John, con i fratelli Roy e Jack, ogni giorno aiuta i genitori dopo la scuola. La sera, invece, può dedicarsi alla passione che dà un senso alle sue giornate, ascoltare le canzoni alla radio: “Niente al mondo – si legge nel volume di Turner – era più importante che sentire quelle canzoni (…). La musica mi portava in alto sopra il fango, la fatica e il sole cocente”.

Ascolta musica country e canzoni religiose, che la madre canta nella chiesa locale, ricevendo da lei approvazione; forte risentimento, invece, proviene dal padre che considera la musica una inutile frivolezza. Ray, uomo rude, violento, che non risparmiava botte a moglie e figli, non accettava che il figlio potesse coltivare una passione, ostacolandolo in tutti i modi: “La sua tenerezza, il suo amore per la musica lo irritavano oltre misura – scrive Valter Binaghi in Johnny Cash. The man in black -, forse solo perché Johnny si permetteva ciò che a lui stesso, da bambino, non era stato concesso”. Come il fratello era stato dispotico con lui, così lo è Ray nei confronti del figlio.

Johnny Cash nel 1969

Il clima in famiglia, già pesante e oppressivo, diventa intollerabile dopo la morte del fratello maggiore Jack, evento che lascerà un segno indelebile nella vita e nella musica di Johnny. Modello e punto di riferimento, figura protettiva, eletto a ispirazione, Jack muore accidentalmente determinando con la sua scomparsa ulteriori rancori in famiglia. Johnny, infatti, viene accusato dal padre di essere il responsabile della disgrazia: ha preferito andare al fiume a pescare invece di aiutare il fratello nel tagliare la legna con la sega circolare, con il quale si era ferito. Al funerale, gli impedisce di portare la bara sulle spalle.

Dopo questa disgrazia Johnny diventa ancora più solitario e introverso, riversando i suoi pensieri nella scrittura. Prende lezioni di chitarra e comincia a scrivere poesie.

Nel 1950 si diploma. Poi, a seguito dell’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord e alla partecipazione degli Stati Uniti al conflitto, diciottenne, decide di arruolarsi in Aeronautica, è l’unica possibilità di andarsene dai campi di cotone di Dyess, fuggire dalla famiglia e dai ricordi penosi di quel posto. Approda in Germania dove, nella caserma della base americana a Landsberg, riesce a ritagliarsi del tempo per fare musica con un gruppo di ragazzi appassionati di Jimmie Rodgers, Hank Williams, tra i tanti.

Non solo. Scrive canzoni e lettere da inviare a una giovane conosciuta poco prima di partire e di cui è innamorato: Vivian Liberto, di origini italiane. Con I walk the line, le confessa che riga dritto e che esiste solo lei nella sua vita.

Vivian lo aspetta fino al congedo, nel 1954, per sposarlo subito dopo. La morte di Hank Williams, intanto, con il suo country nella variante Honky tonk, colpisce così tanto Johnny da indurlo a scrivere canzoni con maggiore convinzione. Alcune di queste diventeranno grandi successi. Come Hey, Porter! scritta per ricordare la sua partenza dall’Arkansas, viaggiando in treno, mezzo di trasporto quasi mitologico che prima o poi lo riporterà a casa: Quando il treno si fermerà, devo essere il primo a scendere (…) / Sto per posare i piedi sul suolo del Sud / E respirare quell’aria sudista!

Cash racconta il Sud con i valori integerrimi del mondo rurale: il duro lavoro, la religiosità, il sole cocente, il grande fiume; e così il Sud, con i suoi conflitti sociali, accompagna l’intera vita e l’arte di Johnny. Il fiume come metafora della vita scorre, portando con sé i turbamenti, gli amori, le gioie e le fatiche. Big River è un viaggio immaginario alla ricerca della donna amata che si dipana tra le città che si affacciano sull’acqua. Attraversa St. Louis, raggiunge Memphis, arriva fino a New Orleans, per sparire nel Golfo del Messico: Le lacrime che ho versato per quella donna stanno per inondarti Grande Fiume / E me ne starò seduto qui finché non morirò.

Johnny deve anche misurarsi con lavori insoddisfacenti. Il fratello Roy lo segnala al Dipartimento di Polizia per un impiego nella Pubblica Sicurezza. Il mestiere del poliziotto, però, non fa per lui, meglio la libertà del venditore porta a porta.

Johnny Cash e The Tennessee Three, 1963

Il sogno resta la musica e lo concretizza, poco prima di sposarsi, con l’impresa “Johnny Cash and The Tennessee Two”, gruppo formato da due aspiranti musicisti intenzionati a fare sul serio. Provenienti dal mondo rurale, in comune con lui hanno la passione per il gospel che conoscono dall’infanzia e che a partire dagli anni Quaranta si diffonde, non solo nelle comunità afroamericane e nelle chiese metodiste, ma anche tra i bianchi e nei circoli di musica profana.

Poi, i primi anni Cinquanta vedono esplodere la stella Elvis Presley che si accende a Memphis, in Tennessee. Nuovi ritmi scuotono la musica e il gospel appare poco attraente per una casa discografica come la Sun Records a cui il gruppo si rivolge. Suonando uno stile più country, invece, ottengono di incidere il primo 45 giri. Hey, Porter! e Cry, cry, cry riscuoteranno un enorme successo, superando lo stesso Elvis.

Il gruppo si dà una forma più convincente, con una chitarra elettrica, un basso e una chitarra ritmica suonata da Johnny, con cui accompagna il suono roco della sua voce basso baritonale. Il 5 agosto del 1955 rappresenta l’inizio della carriera di Johnny che si esibisce con il suo gruppo all’Overton Park Shell insieme a Elvis Presley.

Poi è tutto rapidissimo. Nel 1956 escono So doggone lonesome

e Folson prison bleues, canzoni che impongono un sound innovativo e nei testi un interesse verso le vicissitudini dei più emarginati. Quando poco dopo Elvis firma il contratto con la Rca, il posto di primo piano alla Sun Records passa a Johnny che diventa autore di brani memorabili. Il successo è tale, da poter pensare di vivere solo di musica e di abbandonare ogni altra occupazione. Esce un 33 giri con pezzi ritmati come Get Rhythm,

Train of love,

che sconfinano verso il country blues come Home of the blues,

fino a canzoni di grande intensità come Give my love to Rose, in cui vengono raccolte le ultime parole d’amore di un povero moribondo, steso vicino alle rotaie del treno, indirizzate alla moglie e al figlio. Il treno, altra metafora della vita che, di stazione in stazione, corre fino al capolinea.

I successi si moltiplicano e Johnny viene accolto tra i membri del Grand Ole Opry, programma radiofonico tra i più antichi degli Stati Uniti, dedicato alla musica country. Qui conosce i componenti della Carter Family, June Carter e le figlie, che si impegnano nel mantenere viva la tradizione della musica country americana. Non solo la radio, ma anche i concerti consentono a Johnny di ampliare il suo pubblico e la notorietà.

Johnny Cash e June Carter nel 1969

Dietro alla fama, ai tour, al successo di vendite, dietro il bagliore delle luci si nasconde, tuttavia, il buio profondo in cui precipita per l’abuso di anfetamine e alcol. Un buio in cui resterà intrappolato per molto tempo, tra disintossicazioni e cicliche ricadute. Con tutte le terribili conseguenze sul piano psicologico: la depressione che si alterna all’esaltazione, il sonno all’insonnia, il senso di fallimento alla fiducia in sé. Anche il matrimonio è al collasso. La carriera, comunque, prosegue con la prestigiosa casa discografica Columbia che produce il secondo 33 giri, insieme al progetto di un album gospel, genere che lo ha sempre attratto.

Ma gli anni Sessanta in America vedono l’affermazione del folk revival, con il recupero della canzone popolare e i temi universali della lotta per l’uguaglianza, della condanna delle guerre, dalla ricerca del lavoro e del benessere per tutti. Temi che ben si adattano al contesto politico e sociale degli Stati Uniti, impegnati nei conflitti razziali e nella guerra del Vietnam. Un contesto in cui un pubblico di giovani studenti rivolge il proprio interesse ai nuovi cantautori che si assiepano lungo le piazze e le vie del Greenwich Village o nelle coffee houses per cantare le loro canzoni di protesta e dare voce al mondo degli sconfitti. Tra questi Bob Dylan a cui Cash scriverà una lettera di incoraggiamento, apprezzandone musica e impegno. Dalla stima si arriva allo scambio dei brani: It ain’t me babe di Dylan diventa un successo di Cash in duetto con June Carter,

mentre Dylan registra un duetto con lui sul pezzo Girl from the north country, nell’album Nashville Skyline.

Le canzoni si fanno strumenti di lotta, sono promotrici di invettive, di proteste, richiamano ai principi e ai valori della difesa degli ultimi e della condanna alle discriminazioni, alle guerre, alle prevaricazioni.

Occorre allora “ritrovare attraverso la musica l’anima umile e sofferente dei poveri d’America e darle una voce”, scrive Binaghi. Così gli album Ride this train (1960), in cui la metafora del treno si fa filo conduttore per raccontare storie di lavoratori, minatori, prigionieri e Blood, sweet and tears (1963), dedicato alle storie di sfruttamento dei padroni verso gli operai, di potenti verso i deboli, con un’attenzione particolare ai manovali che hanno partecipato alla costruzione della grande ferrovia americana, rappresentano l’adesione di Johnny alla stagione dei movimenti.

Tra tutti i personaggi spicca il martellatore John Henry di The Legend Of John Henry’s Hammer, ribelle all’impiego di un macchinario che avrebbe tolto lavoro agli operai.

L’impegno nel dare voce ai derelitti resterà sempre vivo, ancora venti anni dopo, con il gruppo The Highwaymen, Cash canta Deportee di Guthrie, canzone scritta per sostenere la causa dei lavoratori stagionali messicani sfruttati dal governo americano.

La poetica di Johnny Cash, dunque, rivela i suoi diversi filoni di ricerca.

Il mondo in cui è cresciuto, quello contadino e popolare delle fattorie del Sud degli Stati Uniti; con il lavoro e la fatica di chi si spezza la schiena arando le zolle di terra, seminando e raccogliendo il cotone. Cash porta alla luce le origini di una cultura popolare, nata dal mondo contadino, dalla fede nella Bibbia e dagli inni religiosi cantati nelle chiese metodiste, dalle comunità strette nella conservazione delle tradizioni. A questo universo appartengono gli album Hymns by Johnny Cash (1959), Hymns from the heart (1962), con brani di stampo religioso, tradizionali e originali, tra cui It was Jesus.

Le canzoni di Cash si riempiono anche dell’immaginario epico del West, dei grandi spazi e della frontiera da attraversare su treni malconci, degli eroi solitari e fuorilegge come Billy Joe di Don’t take your guns to town

o Stan Jones di Ghost riders in the sky.

Una fascinazione che si concretizza nell’album Johnny Cash sings the ballads of the true West (1965) con la partecipazione della Carter Family, in cui l’autore riporta alla luce storie di banditi e fuorilegge, guerre indiane, di pionieri e anime perse che attraversano lande desolate nel silenzio alla ricerca di una terra promessa. Storie di frontiera, e di personaggi mitologici quali Daniel Boone di The Road To Kaintuck, esploratore e protagonista della Guerra d’Indipendenza.

Leggendari cowboy evocati nei canti tradizionali come The Streets of Laredo.

 

Personaggi storici popolano tutta la discografia di Cash. In Man in black (album del 1971) si staglia la figura eroica di Ned Kelly, boscaiolo nato e vissuto in liberà, cavalcando nei grandi spazi aperti della prateria. Protagonista di una ribellione contro la polizia, quando l’Australia era una colonia penale inglese, catturato e impiccato.

Questi ritratti risentono del lavoro di immedesimazione di Johnny che come un attore stanislavskiano si cala nel loro ambiente: “Ho seguito tracce con la mia jeep e a piedi, ho dormito sotto cespugli di mesquite e in gole scavate dall’acqua – racconta Turner – Ho sentito ululare i lupi grigi, ho cercato pepite d’oro nel letto di antichi ruscelli (…), ho respirato il vento del West e le storie che racconta solo a chi sa ascoltarle. Ho camminato attraverso bacini di laghi prosciugati, dove altri avevano camminato prima di me ma non erano sopravvissuti”.

Ma Cash si spinge anche al fondo della storia d’America, per raccontarne le origini con i Nativi Americani, il loro genocidio e la condizione di miseria toccata a chi è sopravvissuto. Nel 1964 incide l’album Bitter tear con testi di Peter La Farge. Tra i personaggi emerge Ira Hayes, capo di una tribù indigena, che aveva combattuto con i militari Usa durante la Seconda guerra mondiale, ma poi era stato dimenticato, morendo alcolizzato. Canzone scomoda in un momento in cui nel Paese l’indiano è visto ancora come il selvaggio ostacolo all’avanzare della civiltà americana.

Intanto, dare voce ai più oppressi ed emarginati della società va di pari passo con la sua discesa, sempre più ripida, nella dipendenza. Nel 1965 è arrestato per possesso di anfetamine e condannato per detenzione di stupefacenti. Con la morte per overdose di Peter La Farge si convince a chiudere con le droghe. Poi un evento eccezionale lo travolge: dopo il divorzio e una vita sentimentale tormentata dalla passione per June Carter, partecipa a una funzione religiosa che sembra tirarlo fuori da tutti i suoi mali. La figura di Dio gli appare un appiglio affidabile e il cristianesimo un argine a tutte le sue cadute. Per sottolineare questa svolta spirituale Cash realizza il film The gospel road, sulla vita di Gesù. Il film:

https://www.youtube.com/watch?v=8ri16_OCun4

Intero album, colonna sonora.

La struggente Help me incisa nell’album Capitol Music Hall (1976) potrebbe ben testimoniare questa fase.

Intanto, serve un grande evento per rilanciare l’artista Johnny Cash, perduto e risorto, sempre più consapevole del grande potere delle canzoni a servizio dei disperati come lui, caduti nel fango, ai quali qualcuno deve tendere una mano per potersi rialzare.

Cantare per i più dannati, i colpevoli già condannati, per quelli che da sempre attendono quella mano per potersi reinserire nella società da cui sono stati espulsi: questo è ciò che sta a cuore a Johnny. E cantare per i carcerati. Quelli della Folson Prison per i quali ha già scritto Folson Prison blues. Canzone che ricorda Midnight Special, incisa da Leadbelly nel 1934, scoperta di John e Alan Lomax nell’Angola Prison.

Da sinistra: Carl Perkins, Roy Orbison, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, 1977

Anche nel testo di Cash un treno arriva, sta svoltando dietro la curva, ma non illumina il viso di nessun prigioniero che secondo la leggenda, grazie alla visione di quel bagliore, avrebbe ottenuto la grazia per uscire dal carcere. Questo treno, invece, prosegue la corsa fino a San Antonio dove il protagonista bambino sprofonda nel ricordo della madre, che gli ripeteva di non giocare mai con le pistole: Ma io ho ucciso un uomo a Reno, solo per vederlo morire / E quando sento il soffio di quel fischio, chino la testa e piango. Il pentimento, consapevolezza della colpa, l’accettazione della pena sono tappe di un percorso che conduce alla redenzione e a un perdono da parte della società che ha il compito di riabilitare. Il concerto si tiene il 13 gennaio 1968, ed è un trionfo da cui verrà tratto “uno dei più bei dischi dal vivo della storia della musica americana” scrive Binaghi. La carica umana che Johnny sprigiona anche nei discorsi tra una canzone e l’altra, insieme alla grande energia che si coglie all’ascolto a partire dalla battuta introduttiva: “Hello, I’m Johnny Cash”, fanno di lui un artista rinato, anche lui redento. Poco dopo celebrerà questo momento felice sposando June Carter, la donna che resterà per sempre al suo fianco.

Nel 1969 un altro concerto memorabile, da cui verrà tratto anche un film, viene organizzato nel carcere di San Quentin. Per quei detenuti scrive la ballata omonima, che torna sul tema della disumane condizioni nelle carceri, in cui le persone sono trattate senza dignità. Il documentario:

Dal 1969 al 1971 la popolarità di Cash raggiunge livelli impensabili grazie alla conduzione del programma Johnny Cash Show prodotto dalla ABC. Nel 1971 incide l’album The man in black e la canzone omonima diventata manifesto: Mi vesto di nero per i poveri e gli sconfitti, Che vivono senza speranza, affamati ai margini della città. / Per i carcerati che hanno già pagato a lungo le loro colpe.

Negli anni a seguire, tra crisi, ricadute nella dipendenza e tentativi di disintossicazione, passaggi a nuove etichette come la Mercury, gli album incisi tra cui Johnny Cash is coming to town (1987) non convincono il nuovo pubblico giovanile, attratto dai ritmi e dai suoni elettronici degli anni Ottanta.

Gli anni Novanta lo vedono interpretare The wanderer, ultima traccia dell’album degli U2 Zooropa.

Ma la svolta arriva. Con la proposta di un giovane produttore e discografico, Rick Rubin proprietario della Def American Records, desideroso di riproporre la figura di Cash, valorizzando la sua storia di cantore delle radici americane. Nasce il progetto di American Recordings (1994), voce e chitarra: “Una vera storia umana di caduta e redenzione, raccontata da un’anima che emerge dal suo inferno in vista della luce ed esplode in un canto pure e dolente” scrive Binaghi a commento della canzone più rappresentativa, The beast in me: La bestia dentro di me / Ha dovuto imparare a convivere con il dolore / E come ripararsi dalla pioggia / E in un batter d’occhio / Si potrebbe controllare. / Dio aiuti la bestia dentro di me.

La raccolta è un trionfo, consacra Cash idolo dei giovani, ora trasportati dalla sua voce al fondo di un’anima che sinceramente si mette a nudo e svela storie di un’America fragile e sconosciuta. L’album vince il Grammy come miglior album folk contemporaneo. Il progetto continua con Unchained (1996), secondo album della serie American Recordings, vincitore di numerosi premi. Ne seguiranno altri, in totale sei, realizzati negli anni del crollo fisico di Cash. American III: Solitary men (2000) ottiene il Grammy Award per la miglior performance maschile nella musica country con il brano omonimo.

In American IV: The man comes around sorprende la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, reinterpretata alla luce di chi ha fede e si affida alla figura di Gesù come unico appiglio per non soccombere alle trasgressioni.

Altro capolavoro è la versione di Bridge over troubled water di Simon & Garfunkel a tratti parlata, sussurrata come una preghiera.

American V: A hundred highways uscirà postumo nel 2006. Johnny Cash muore l’11 settembre 2003 dopo una crisi respiratoria. American VI: Ain’t no grave (2010) chiude un racconto senza tempo, giunto all’essenza dell’arte quando rivoluziona ogni possibile categoria. Bastano una voce, una chitarra per raggiungere l’eternità.

Quando la mia vita sarà finita / E il mio tempo fuggito via, / Amici e amori miei  / Me ne andrò, non c’è dubbio. / Ma una cosa è certa: / Quando verrà il mio momento,/ Lascerò questo vecchio mondo / Con la coscienza a posto, scrive in Satisfied mind.

Ma l’epitaffio di se stesso Johnny lo scolpisce nel videoclip di Hurt brano inciso in American IV del 2002, diretto da Mark Romanek, l’anno successivo, pochi mesi prima della morte del cantautore. Il suo volto segnato dall’età e dalla fatica restituisce il dolore di una vita giunta al capolinea, minata dalla malattia e dalla tossicodipendenza. Quella vita è rappresentata dalla condizione del luogo scelto per le riprese, la casa-museo dell’artista, abbandonata ma piena di ricordi: i dischi di platino, le vecchie foto dei concerti, dei figli e della moglie June, sempre al fianco del marito e che scomparirà pochi mesi prima di lui. Poi la musica finisce, il pianoforte si chiude, le mani vi si appoggiano, definitivamente ferme.

Nel 2005 il film Walk the line racconta la vita di Johnny Cash, trattando in particolare l’aspetto più privato della storia d’amore con June Carter. Il trailer:

Il documentario Il dono: il viaggio di Johnny Cash realizzato con la collaborazione della Fondazione Cash fa emergere l’uomo John Ray Cash che si cela dietro la leggenda

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggiEdizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli