Franco Trincale (da www.trincale.com)
Lu Cantastorie cala lu telone/ la storia è terminata di cantari/ n’avvertimentu a tutti li personi/ sta società bisogna di cambiari. Franco Trincale
“Una piazzetta, un cartellone, una chitarra ed una voce popolare/per raccontare storie di terre e di mare! Canta il Cantastorie e “cunta”: parla d’Amore, e di guerra, di Pace, di storie di sempre, da che esiste la Gente! /Canta di popoli vissuti lontani nel tempo, che combatterono, come quelli di oggi, /per vivere meglio, contro ogni stato sovrano!/La gente si avvicina, la gente si allontana: si mantiene “distante” e, distrattamente, fa finta di niente./ Ma quando il Cantastorie incomincia a cantare con quella sua voce calda e popolare, la gente ammutolisce e si lascia trasportare;/ diventa silenziosa, attenta, si commuove, piange e ride e riflette!/ (da http://www.trincale.com/)”.
Franco Trincale (Militello in Val di Catania, 1935) così riassume la sua arte di cantastorie. Ultimo trovatore, incarnazione dalla nobile tradizione dei cantastorie siciliani, quella tradizione l’ha fatta rinascere a Milano, nel cuore della città meneghina, in quel nord di fabbriche e industrie, di disoccupati e di malaffare che negli anni del boom economico, e a seguire, è stata la sua piazza, il palcoscenico di una protesta suonata e cantata. E mostrata nelle tele dipinte a fumetti. Cartelloni esplicativi, come tipico dei veri cantastorie.
Si trasferisce a Milano nel dopoguerra, come tanti in quegli anni, in cerca di lavoro. La Milano è quella alienata, mirabilmente raffigurata da Luciano Bianciardi nel suo capolavoro “La vita agra”. Quella Milano in cui; “È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale di circolanti su detto mezzo, il consumo del pollane, il tasso di sconto, la statura media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato” [Bianciardi, L. 2009, pp. 157-158].
Una Milano che spreca e consuma, indifferente a chi arriva da fuori e muore di fame. È la città delle segretarie secche che sculettano su tacchi a spillo negli uffici delle grandi aziende, quella dei padroni che abitano gli attici. La Milano della nebbia che è solo un miscuglio putrido di polvere puzzolente alzata dalle auto, di smog, di clacson sgangherati, di accecanti luci al neon, di martellanti jingle di réclame e caroselli, di cartelloni pubblicitari che invadono strade e deturpano paesaggi.
Una città di disuguaglianze profonde, di immigrati in cerca di un futuro, di donne e uomini sempre di fretta, insensibili al prossimo, presi dalla smania del guadagno. Della politica truffaldina e disonesta, da combattere e contrastare. Quella che anche Enzo Jannacci ha ben raccontato.
A Milano, Trincale arriva tra il ’58 e il ’59 – spiega in un’intervista a Michele Straniero – “Per il richiamo che qui al Nord c’è più lavoro: altrettanto io l’ho visto come cantastorie” [Straniero, M.L. “Le ballate di Franco Trincale”, 1970, p. 11].
Prima di fare questo mestiere, però, a sedici anni si arruola volontario in Marina: “Il problema che lì dalle mie parti, che cosa si vede come prospettiva? O l’arruolamento nelle forze armate, e per forze armate intendo tutto, marina, polizia […], volontario nell’esercito; o se no l’emigrazione” [Straniero, M.L. p. 13].
In Marina trascorre cinque anni, dove impara a fare il mitragliere. Quando si sposa e scappa con una ragazza del paese, viene espulso e lasciato in mezzo a una strada, senza un lavoro e neppure una formazione. Una cosa però ha imparato, oltre a maneggiare armi: suonare la chitarra e comporre ballate. Di qui il progetto di fare della musica una professione: “Invece della mitraglia – dice – ho preferito la chitarra, facendo il cantastorie” [Straniero, M.L. p. 13].
Un’ambizione che non nasce dal nulla, ma dall’ascolto dei cantastorie che attraversavano i piccoli paesi della Sicilia, come Militello, in provincia di Catania. Lui, bambino appassionato, assisteva a quegli spettacoli con occhi meravigliati. In famiglia, poi, il padre era attore drammatico dialettale, già dentro al mondo dell’arte.
Così è la musica, la vocazione. E il raccontare. Franco si esibisce nelle piazze siciliane, cominciando a farsi conoscere. Poi un compare salito al nord per lavorare come muratore gli racconta che a Milano la gente che canta nelle piazze raccoglie anche cinquecento lire. Impensabile un tale guadagno al sud.
Franco si convince. Ed è vero che la gente è tanta nella grande città, e spesso si ferma ad ascoltare un cantastorie. Il problema è la lingua, quel dialetto siciliano che al nord nessuno capisce, se non i meridionali. Che a Franco, narratore di storie e di cronache, non bastano come pubblico. “Mi arrabbiavo – dice – quando non riuscivo a comunicare, a far fermare, anche la gente del Nord, il milanese…Allora m’accorsi che dovevo un po’ cambiare il linguaggio, e uscire fuori da quello che era il dialetto puro della mia ballata” [Straniero, M.L. p. 12]. Così decide di italianizzare il suo dialetto per renderlo comprensibile a tutti, pur mantenendo certe tipicità, per marcare comunque il suo specifico di cantastorie. Questa manipolazione della lingua è anche una scelta coerente con un obiettivo importante che si è posto: con le sue canzoni intende arrivare a tutti, anche a coloro che, analfabeti o senza una lira, non leggono un quotidiano e non conoscono ciò che avviene nel Paese, le disgrazie, i problemi della società. Cantare quelle canzoni, con quel suo italiano misto al siciliano, è una scelta politica, di cui egli è ben consapevole.
“Io sono nato laggiù in Meridione – canta – […] dove in pochi si legge il giornale e la scuola non è obbligatoria/ dove a sedici anni si è sfruttati/ ed a vent’anni in Questura arruolati […] Io sono nato laggiù in Meridione/ e voglio fare la rivoluzione” [Il Meridionale in Straniero, M.L. p. 19].
Poi ci sono i temi, che sono provocatori e disturbanti. Infatti spesso qualcuno chiama i vigili urbani nella zona del Duomo in cui lui staziona. E allora bisogna raccogliere la valigetta “Geloso” con l’amplificatore e volare via in fretta per non beccarsi una multa.
Nei primi tempi intrattiene i passanti con le tipiche canzonette napoletane, come Lazzarella e Guaglione. E la gente si ferma, ascolta piacevolmente. Il problema nasce quando Franco intona le sue ballate politiche. È lì che se ne vanno, sia i settentrionali che i meridionali. E a lui prende una gran rabbia, perché ciò per cui vuole essere ascoltato sono quelle ballate, di protesta e di lotta. E presto si accorge che lì al nord è ben accetto fino a che resta nello stereotipo del cantore folcloristico, quando invece il discorso tocca argomenti fastidiosi allora “t’incominciano non solo a scansare tutti, ma t’incominciano a mettere gli ostacoli per non farti più andare avanti” [Straniero, M.L. p. 16].
Come la lotta alla mafia. Cantata di lupara è dedicata a Salvatore Carnevale ucciso dalla mafia padronale a Sciara. Salvatore, gran faticatore, lavorava nei campi e come operaio nelle fabbriche. Poi divenne sindacalista e incitava i suoi compagni a reagire di fronte allo sfruttamento: operai, zappatori, contadini, minatori per tutti esisteva un futuro migliore. I discorsi di Salvatore infastidivano i grandi proprietari, ma “Salvatore non cedette alle minacce del grosso padrone agrario così il padrone pagò i mafiosi che appostatisi all’alba dietro una siepe spararono alle spalle di Salvatore Carnevale” [Straniero, M.L. p. 20]. Salvatore Carnevale fu trovato assassinato con due colpi di lupara all’alba del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare in una cava di pietra. Aveva 31 anni.
Oppure la condanna a uno Stato corrotto che porta alla morte l’anarchico Giuseppe Pinelli. Accusato ingiustamente della Strage di Piazza Fontana che, nel 1969, rappresentò l’apice della strategia della tensione, l’inizio di quel periodo tristemente noto come “anni di piombo”. Moriva, Pinelli, precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito all’esplosione di quella bomba. Una morte inaccettabile: “Era morto n’allistanti/stiso in terra malamenti/e pareva fossi mortu/un’istanti precidenti/ Lu questuri dissi poi/non l’abbiamo ucciso noi!” [Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli, in Straniero, M.L. p. 68].
L’avversione verso il mondo militare, invece, si trasforma nell’opposizione a ogni conflitto. In Pernacchi contro la guerra l’invito ai giovani è quello di rifiutare il servizio di leva e ogni chiamata alle armi, perché “La guerra è un delitto/la guerra è cretina/è un atto incosciente/è una grande rapina” [Straniero, M.L. p. 22].
In La guerra, questa non è altro che una possibilità di profitto, decisa da governanti che disprezzano la vita umana. La guerra è un delitto, non sono le mitraglie che fanno gli eroi.
Chi più incarna, in quegli anni, uno spirito belligerante è l’America, impegnata nella guerra in Vietnam; impegnata a invadere il mondo con la violenza delle armi oltre con il suo sistema capitalistico di omologazione culturale: “Contro la Nato e contro i padroni/ per l’eguaglianza e per la libertà/ non ber più coca e non mangiar banane/ e grida via le basi americane!” [Banane e Coca Cola, in Straniero, M.L. p. 64].
L’emigrazione è un altro dei temi forti che connotano l’opera di Trincale. È una realtà che anche lui ha vissuto, abbandonando il sud per salire al nord. Ma peggiore sorte è toccata a chi ha lasciato il Paese per raggiungere la Svizzera, il Belgio, la Germania, alla ricerca di un lavoro. Che a volte è la ragione della loro morte. Uccisi dal crollo di una miniera a Marcinelle o uccisi perché italiani, disperati, emigrati. Succede in Svizzera ad Attilio, tornato al paese dentro una bara. “C’è un treno ogni giorno alla stazione/che per l’inferno ha la destinazione/ dell’Emigrante questa è la sorte/in cerca di fortuna e della morte” [La ballata di Attilio, in Straniero, M.L. p. 40].
Le canzoni di Trincale sono anche fonti per ripercorrere eventi di attualità, tanto che lo stesso autore definisce la sua opera: “giornalismo cantato”. Narrano di tematiche connesse alla denuncia delle ingiustizie sociali, o disgrazie, eventi luttuosi che sconvolgono il Paese.
La storia di Sabino è la cronaca di un fatto accaduto a due passi da Milano, a Sesto San Giovanni, zona di fabbriche e industrie, in cui gli immigrati dal Sud cercano alloggio e lavoro. Papà Francesco Cagnetta sale con la famiglia, una moglie, il piccolo Sabino. Trova solo occupazioni precarie, ma servono tanti soldi per pagare l’affitto. Un giorno, a scuola, il bambino piomba a terra svenuto. Scarsa nutrizione, dice il dottore. Il bambino ha bisogno di cure, ma all’ospedale non lo possono ricoverare, perché per i disoccupati niente tessera della mutua. La storia è così triste che un giornalista scrive un articolo. Così la gente, il sindaco e la giunta comunale che vengono a sapere il fatto, fanno di tutto per far ricoverare il bimbo. Tutto inutile, la malattia è troppo grave. Lo rimandano a casa per stare con la famiglia, il padre ora ha ottenuto un lavoro. Gli hanno comprato una bicicletta, ma ci pedalerà poco, muore in breve tempo. La ballata si chiude con la notizia della nascita del figlio di un grande cantante, che certamente non morirà di fame. E con una nota cinica: la morte di un figlio, per chi è in miseria, è il prezzo da pagare per avere un lavoro [La storia di Sabino, Straniero, M.L. p. 47]
La cronaca dell’eccidio di Avola viene evocata, invece, nella ballata La libertà. Nel racconto della vita di carcere, a cui spesso è condannata solo la povera gente, si fa cenno ai responsabili di quella strage. I lavoratori in sciopero vennero uccisi dai carabinieri su commissione dei grandi agrari, che rimasero impuniti. “Parlar di libertà come potete/voi che la libertà crocifiggete/ e gli assassini di Avola lasciate/in libertà col mitra per le strade!” [Straniero, M.L. p. 57].
All’eccidio è dedicata anche Sicilia a lutto, in cui Trincale incoraggia la sua gente a un atto di rivalsa contro i colpevoli di quella tragedia: “È stanca la Sicilia di soprusi/ e caldi saranno questi mesi/ li padri non ci sono nelle case/ma i suoi figli non si sono arresti/Sicilia! Sicilia!” [Straniero, M.L. p. 66].
Antonio Infantino ed Enzo del Re di questo dramma hanno scritto una cronaca lucida e senza retorica.
Stessa tragedia si compie anche a Battipaglia, il 9 aprile 1969, dove la povera gente scesa in piazza a difendere il lavoro è “ammazzata come cani per difendere lu pani” [Battipaglia, Straniero, M.L. p. 67].
Tra i fatti più sconcertanti messi in musica da Trincale c’è anche l’omicidio del bambino di Viareggio, Ermanno Lavorini, commesso a Vecchiano il 31 gennaio 1969. La vittima di appena dodici anni venne rapita per chiedere un riscatto e poi uccisa. Un caso che destò grande scalpore nella storia d’Italia del secondo dopoguerra, il primo caso di rapimento di un bambino.
La sparizione, le ricerche e poi il ritrovamento del suo corpo senza vita sconvolsero l’opinione pubblica destando orrore, scandalo e polemiche. La Fonola editerà alcuni 45 giri di Trincale tra cui questa incisione. Il bambino scomparso a Viareggio, parte 1 e 2.
Successivamente, La tragedia delle bambine rapite a Marsala racconta il tragico episodio della morte di tre bambine di Marsala, Antonella Valenti e le due sorelle Ninfa e Virginia Marchese, avvenuto nel 1971, per mano di uno zio di Antonella, che le uccise e le gettò in un fosso. Diventerà noto alle cronache come “Il Mostro di Marsala”.
https://www.youtube.com/watch?v=LWwHL10MxrA
Dello stesso periodo è La tragedia di Milena, sul caso di Milena Sutter. Figlia tredicenne di Arturo Sutter, un industriale svizzero naturalizzato italiano, sparì il 6 maggio 1971, dopo essere uscita dalla scuola che frequentava, la Scuola Svizzera nel pieno centro di Genova. Venne rinvenuta cadavere qualche giorno dopo alla spiaggia di Priaruggia, a Quarto dei Mille.
Parte prima:
Parte seconda:
Non solo storie di cronaca, Trincale si inserisce anche nella diatriba di questi anni sul ruolo del cantastorie, nobile artista che ha la funzione di educare, non certo intrattenere i benpensanti nei loro salotti borghesi, nelle trasmissioni televisive, in cui il folk è diventato un prodotto commerciale, un’etichetta sopra una merce qualsiasi: “Voi cantanti del folklore/che ci dite di cantare/le canzoni di protesta/le canzoni che fan botto/voi non siete altro che/dei buffoni da salotto” [Ballata del Cantagiro, Straniero, M.L. p. 21]. Il mondo dello spettacolo e della televisione sono solo un ricatto per chi non vuole scendere a compromessi: nessuna somma di denaro o un po’ di celebrità valgono la libertà e la dignità.
Trincale, infatti, riserva un affettuoso ricordo ai poveri suonatori di piazza come lui che girano i paesi per raccontare storie vere. Come Mario Pancia, cantastorie che in questura chiese la licenza ma gli concessero solo quella di “suonatore ambulante”. Senza pensione, senza mutua, né ospedale e dottori a prendersi cura di lui, solo un povero suonatore mendicante [A Mario Pancia, Straniero, M.L. p. 23].
Non dimentica neppure il cantautore Luigi Tenco che scriveva rime non omologate e canzoni intelligenti, suicidatosi a San Remo dopo l’esclusione della sua canzone Ciao, amore ciao, a tema sociale. Trincale si scaglia contro il mercato della canzone o canzonetta che condanna a morte artisti non convenzionali e premia i mediocri: “Col mio canto vogghiu dire/che stu schifu avìa finire/qui si muore pi lu canti/giù si spara ai braccianti” [Luigi Tenco a Sanremo, in Straniero, M.L. p. 25].
Negli anni degli scontri di piazza e delle lotte studentesche è a fianco dei giovani che protestano per un futuro migliore: “Artisti studenti pittori poeti/non vi fermate/portatela avanti la lotta che fate/ voialtri che siete li cchiù inteligenti/parlate pure della povera gente/ […] Il mondo è ora che deve cambiare/artisti e studenti non v’at’ a fermari” [Gli studenti, in Straniero, M.L. p. 41].
Condanna la polizia con le sue cariche, che accorre per arrestare giovani in protesta contro un sistema universitario retrogrado e gerarchizzato, a misura di chi se lo può permettere: “Mamma mia mamma mia/ è arrivata la polizia/l’han pagata con piacere/ i padroni del Corriere” [È arrivata la polizia, in Straniero, M.L. p. 43].
Vicino alle posizioni del movimento operaio, negli anni Settanta affianca anche i lavoratori nelle loro lotte esibendosi nelle fabbriche in occasione degli scioperi.
Canzoni come Natale in piazza, dedicata agli operai dell’Apollon occupata, è tra le ballate scritte per supportare le battaglie degli operai, sfruttati e licenziati senza diritti.
O come Il Natale del metalmeccanico, canzone sulla disperazione di chi subisce le angherie del padrone, anche a Natale.
Occorre scioperare per contrastare il padrone sfruttatore: “Il fischietto dell’operaio/ l’autunno fa riscaldare/ scioperiamo fino a quando/ il padrone dovrà mollare” [Il fischietto dell’operaio, in Straniero, M.L. p. 52].
Siamo quelli dell’Alfa Romeo è a difesa degli operai che scioperano contro la catena di montaggio, che chiedono turni più umani, di poter dormire la notte come i padroni, di avere salari più alti. “Siamo quelli dell’Alfa Romeo, di lavoro non vogliam morire/ e diciamo ora basta: questo schifo dovrà finire! Nella lotta resisteremo un minuto in più del padrone e se questa rivendicazione non accoglie la direzione, fermeremo la produzione fino a quando si vincerà”.
Non solo appoggia i lavoratori delle fabbriche, ma anche gli scioperanti della Rai di Milano che occupano la sede per riformare la televisione, per il diritto alla libera espressione nel mestiere della comunicazione e dell’informazione: “Lavoratori dell’azienda Rai/con voi son solidali gli operai/avanti con la lotta sino in fondo/È ora di cambiare questo mondo” [Alla Rai-Tv, in Straniero, M.L. p. 30].
In Il Maglificio del Piacentino si racconta di un lavoro alienante che sottopone gli operai a pesanti turni di lavoro senza che neppure abbiano il tempo di espletare bisogni corporali: “Se ti scappa di far bisogno/se non è l’ora che puoi andar/se non è l’ora la fai addosso/se no la multa devi pagar [Straniero, M.L. p. 39].
Il lavoro disumanizzante e le lotte per i diritti, gli scontri di piazza che incendiano il ’68, gli scioperi, l’emigrazione, le morti sul lavoro: per il suo impegno sociale Franco viene eletto “Trovatore d’Italia” alla Sagra dei Cantastorie del 1967 e del 1968, organizzate dall’Associazione Italiana Cantastorie Ambulanti (Aica).
Ma nel suo immenso repertorio non mancano le ballate dedicate a Milano, alla vitalità del mondo popolare, di quartieri abitati da una varia umanità. Come Le donnine di Milano parte prima
e parte seconda.
L’LP “Il Cantastorie” è una raccolta di vivaci stornelli e canti popolari.
Durium, Melody e Fonit Cetra, col tempo, hanno pubblicato alcuni Lp fino alla collezione della complessiva produzione da parte di Ala Bianca. In essa si trovano altri brani significativi dedicati alla città. Come La Scala, che ripercorre le vicende del grande teatro, simbolo di una Milano per ricchi e borghesi. Luogo di contestazioni durante il ’68 con il lancio di ortaggi alla prima di un’opera lirica. Ma la Scala è dei popoli, un vanto per tutti, cittadini ricchi e poveri.
La Baggina è, invece, il ricovero dei vecchi pensionati di Milano [https://www.youtube.com/watch?v=nv0MEbw2hSk] mentre al tipico prodotto gastronomico è dedicata La storia del panettone. [https://www.youtube.com/watch?v=B2ftDwPP0WQ]
Incise sono anche alcune scenette di successo, tra cui Te set un pirla/La sciura Pezzoni, fino alle vicende della Famiglia dei terroni e polentoni [Pedrinelli, A. “La canzone a Milano”, Hoepli, p. 137].
Terroni e Polentoni dal dottore:
Terroni e Polentoni in viaggio di nozze:
Ancora recentemente tra gli argomenti affrontati c’è la politica, con i politici stessi, oggetto di una pungente satira. Dal 1992, in piazza San Babila, infatti, i testi sono il racconto delle vicende di “Mani Pulite”, fino a che l’ordinanza comunale 5955 del 19 luglio 2002, che vietava l’uso di amplificatori per «molestia alla cittadinanza e disturbo alle attività», gli ha imposto la cessazione dell’attività. L’ordinanza sembrava emanata in virtù di motivazioni di carattere politico. Tanto più che il cantastorie aveva ricevuto una denuncia da parte di Silvio Berlusconi [Cf. Pedrinelli, A. p. 137].
Il 7 dicembre 2008 il Comune di Milano gli conferisce la Medaglia d’Oro di Benemerenza Civica, l’Ambrogino d’Oro per aver saputo utilizzare significativi elementi di cultura popolare legando il proprio lavoro artistico di cantastorie con la storia dei movimenti sociali.
Testimone dei fatti più recenti della storia politica, sociale e culturale del Paese, di lui ha parlato perfino l’Herald Tribune: “Per quasi cinquant’anni – si dice – Trincale ha storicizzato la cronaca; ha parlato di terrorismo, corruzione, riapertura della Scala in un repertorio di milleduecento canzoni, un quarto in siculo, accompagnate da tele dipinte a fumetti” [Pedrinelli, A. p. 137].
Il sito di Franco Trincale cantastorie raccoglie le fotografie, alcuni video, la storia di un cantastorie autentico, che ha rinunciato alla fama, alle trasmissioni televisive, ai concerti nei club per incontrare il suo pubblico nelle piazze, per le strade. Per portare in mezzo alla gente drammi sociali, eventi di politica e di attualità, cronache di vita quotidiana, tra povertà, solitudine, emarginazione. Con l’intenzione di offrire, attraverso le canzoni e le ballate, squarci di verità.
Qui si esibisce alla Fiera e mercatino degli Oh Bej Oh Bej di Milano (2007):
Gianfranco Donadio lo intervista nel 2009.
In concerto a Fagnano Olona nel 2011.
Del 2011 è il documentario a lui dedicato: Franco Trincale “L’ultimo cantastorie” di Giuseppe Palomba.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 13 Dicembre 2020
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/franco-trincale-informazione-e-politica-quelle-buone/