Quando annottava la paura era padrona e signora della Spagna. La si vedeva entrare nelle chiese e penetrare nel corpo e l’anima delle donne vestite di nero che pregavano precipitosamente…La si vedeva entrare nelle caserme e soffocare le risate degli ufficiali, interrompere le loro partite di poker…La si vedeva entrare nella Casa del Popolo e provocare un silenzio angoscioso o un mare di mormorii…La paura spegneva il sorriso di tutto un popolo, provocava l’insonnia di tutta una nazione. E la notte era più notte che mai. Tramava una Spagna. E anche l’altra. Tutte e due avevano paura.
Enrique Castro Delgado
“Vent’anni dopo il conflitto un generale franchista confessava: – Tutti noi dovremmo provare vergogna -. Aveva ragione: la guerra civile fu un orrore ripetuto infinite volte.” I crimini sanguinosi che avvennero tra il 1936-1939 sono stati più volte denunciati, raccontati e condannati, ma ancora oggi emergono storie di repressioni e di violenze che avvennero anche ben dopo la fine della guerra. “L’accanimento della lotta può spiegare gli episodi più sanguinosi, ma non può essere invocato per rendere conto delle esecuzioni capitali che si svolsero per tanti mesi, addirittura per dieci anni o di più, dopo il conseguimento della vittoria”. Lo dice lo storico Bartolomé Bennassar, docente di storia contemporanea all’Università di Tolosa. Egli vede la guerra civile spagnola come il laboratorio in cui lo scontro ideologico e di culture, di tattiche di guerra, di eserciti, di dottrine politiche fu la prova generale dell’imminente seconda guerra mondiale.
L’esasperazione dei totalitarismi che avrebbero segnato tutto il Novecento. E l’eco di quelle violenze, dalla Spagna, arrivò anche in Italia.
Nel 1962 veniva pubblicato il libro Canti della Nuova Resistenza spagnola edito da Giulio Einaudi, preceduto dall’omonimo disco. Un evento che racconta bene le inquietudini di quei primi anni 60 in Italia e il clima cupo che aleggiava intorno a chi, schierato da una certa parte politica, operava in campo culturale. Ma getta anche una luce sulla realtà spagnola, ancora sottomessa al regime franchista.
Il saggio riportava la traduzione e lo studio critico dei canti della Nuova Resistenza spagnola che Sergio Liberovici, Michele Straniero e Margherita Galante Garrone (Margot) avevano registrato sul posto, recandosi in Spagna durante la dittatura. Erano per la maggior parte canzoni di contenuto politico che non disdegnavano il ricorso alla satira, all’invettiva soprattutto nei riferimenti a Francisco Franco, a sua moglie, al governo, alla giustizia. E poi l’esilio, la repressione e la guerra, la religione o la situazione nel Marocco decolonizzato erano altri temi più frequenti nei testi raccolti.
In seguito a questa pubblicazione, gli autori e l’editore vennero accusati di vilipendio di Capo di Stato estero (si menzionava la figura di Franco, definito come cabrón ma anche maricon, hijo de puta) e per oscenità: «obscenidad y vilipendio a la religión y ofesa a un Jefe de Estato extranjero» come commenterà lo studioso Carrillo-Linares. Offese a un capo di Stato e vilipendio della figura di Cristo.
“Avevamo pubblicato una coplas – spiega Emilio Jona, tra gli autori di Cantacronache – una forma popolare di canto spagnolo di due distici, e uno si riferiva, in modo metaforico, al Cristo vendicatore che caccia i mercanti dal tempio. Era una protesta contro il clero corrotto che il sentimento popolaresco attribuiva all’immagine del Cristo giustiziere, potenza punitrice dei ministri non degni della divinità”.
Le accuse di blasfemia e di vilipendio, però, tuonarono pesanti. Rivolte all’editore Einaudi, non certo l’autore di quei testi che, invece, erano cantati da una parte del popolo spagnolo, il quale così esprimeva la propria opposizione al regime.
Ma il libro andò incontro a censura e venne ritirato dal mercato, tacciato peraltro dal governo spagnolo come una creazione da laboratorio invece che un lavoro scientifico prodotto in seguito a ricerche sul campo. La censura provocò una lunga serie di dibattiti, ma soprattutto di scontri anche violenti che avvennero durante i giorni del processo che si tenne a Torino nel gennaio del 1963.
Lo stesso editore venne bandito dalla Spagna, considerato “elemento sgradito e nemico della nazione, oltreché di Dio e della fede cattolica” come scrissero i giornali di allora. Per diverso tempo anche a Straniero, Liberovici e Margot venne impedito di entrare in terra iberica e nei giorni del processo la sede della casa editrice torinese subì alcuni attacchi e lanci di bombe carta.
I titoli degli articoli sulle riviste di allora gridavano: Processati Einaudi e i canti spagnoli; Condannati a Torino gli autori del libro contro il franchismo; Violenta nota del governo spagnolo contro l’editore torinese Giulio Einaudi; Tafferugli e proteste contro l’editore Einaudi denunciato per oscenità e vilipendio alla religione. E poi anche: I canti della nuova resistenza spagnola. La Marsigliese degli ubriachi; Gli editori europei solidali con Einaudi. Franco teme lo stornello; Ecco gli uomini che abbatteranno Franco.
Einaudi ricevette manifestazioni di solidarietà da parte dell’editore francese Juillard, da Mondadori, Lerici e Sugar in Italia, ma è chiaro il fatto che la pubblicazione del libro venne letta da parte di una certa stampa come un’operazione meramente politica. Non a caso vi furono accesi scontri sia in occasione del processo che della conferenza stampa che Einaudi tenne poco prima a Roma alla libreria Einaudi insieme a Italo Calvino, Ernesto De Martino, Sergio Liberovici: «L’antologia di insulti e di bestemmie pubblicata da Einaudi – scriveva Piero Palumbo sulla rivista Lo Specchio– è solo l’ultimo episodio di una campagna condotta con protervia tenace e sostenuta con tutti i mezzi da una parte politica. È difficile supporre che gli organizzatori di questa campagna, in cui è riconoscibile la mano pesante del partito comunista, sperino di far cadere Franco dandogli pubblicamente del “cabrón”».
Il professor Giuliano Vassalli dell’Università di Roma, che testimoniò al processo in difesa degli imputati, mise in luce il carattere scientifico dell’opera che si proponeva il compito di raccogliere documenti che sarebbero potuti andare perduti per lo storico di domani, “cercando di fissare quel particolare momento della reazione popolare contro un regime oppressivo”. Un capo d’accusa contro un governo che con la sua tirannia obbligava un popolo generoso a una protesta segreta sofferta ed esasperata.
La Spagna degli anni Sessanta stava vivendo un boom economico simile a quello italiano, di un Miracolo Spagnolo, il Desarrollo. La produzione industriale era riuscita ad aumentare, ma il tenore di vita della popolazione continuava a essere tra i più bassi d’Europa. I salari si mantenevano su livelli infimi. Negli anni 1957-’59 gli scioperi, benché ancora considerati un reato, cominciarono a proliferare e alcune rivendicazioni non poterono più restare inascoltate. Come la determinazione del salario minimo, la giornata lavorativa di otto ore, la parità di salario a parità di lavoro, l’assicurazione contro la disoccupazione. Erano il segno di un malessere crescente, una protesta che usava anche le canzoni per dire la sua.
In questa Spagna franchista avvenne il viaggio clandestino dei Cantacronache. “Avevamo una scatola di fiammiferi con lamette da barba”, dice Margot, “e dentro a ognuno c’era l’indirizzo di una persona che poteva dirci qualcosa sulla nuova Resistenza spagnola. Questa scatola era pronta a essere incendiata e gettata fuori dal finestrino della macchina se fosse successo qualcosa”.
Obiettivo era quello di raccogliere canti che si rifacevano a quelli degli anni della guerra civile, che inneggiavano alla libertà e che raccontavano delle sofferenze di un popolo e della sua voglia di reagire. Ma anche di registrare la tenacia, la volontà di abbattere l’odiosa dittatura.
Tra questi vi è un canto galiziano, in lingua galega, il cui testo, riportato nel libro Canti della Nuova Resistenza spagnola, è una poesia di Celso Emilio Ferreiro Mìnguez, originariamente intitolata “Santo Cristo de Fisterre” (versione cantata da Margot: http://celsoemilioferreiro.org/2013/10/santo-cristo-de-fisterre-poema-de-celso-emilio-canti-della-nuova-resistenza-spagnola-1961/ e versione cantata da Maria de Murgados: https://www.youtube.com/watch?v=zPVoPuqp6mM), dedicata al Santo Cristo de Fisterra o Santo Cristo da Barba Dourada. Un Cristo a cui si dice che cresca la barba. La sua statua è conservata a Cabo Finisterre, nella Chiesa di Santa Maria de Areas. Secondo la leggenda, fu ritrovata sulla costa dopo essere caduta in mare da una nave durante una tempesta.
Il canto è un lamento, una preghiera per una Spagna sottomessa e piegata alla dittatura franchista, una Spagna che ancora piange una situazione sofferente e che chiede di riavere la propria dignità calpestata.
Desde que Franco e Falanxe
aferrollaron Espana
somos un povo de ilotas
que nos quedamos sin patria.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Miña nài miña naiciña
Eiqui non podo vivir
Tanto cura e tanto frade
Non teño sitio pra mi.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Santo Cristo de Fisterre
Santo da barba dourada
Axudádeme a pasare
A negra noite de España.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Cuando chegará o dia
de ver libre a nosa patria
que o vento libre response
na porta de cada casa?
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Questa la versione italiana:
Da quando Franco e la Falange
han soggiogato la Spagna,
siamo un popolo di iloti
rimasti senza patria.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Mamma, mammina mia,
qui non posso proprio vivere:
troppi preti, troppi frati,
non c’è più posto per me.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Santo Cristo di Finisterre,
santo dalla barba dorata,
aiutami a superare
questa nera notte di Spagna.
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
Quando verrà quel giorno
che vedremo libera la nostra patria
e il vento, libero riposerà
sulla soglia di ogni casa?
Ay La la, Ay la la
Ay la la la la la la
E questa è la traduzione italiana che Liberovici e Straniero fecero dopo aver raccolto la canzone a Vigo, in Galizia, pubblicata nel già citato libro.
Da che Franco e Falange
ci hanno posti alla gogna
siam gente di vergogna
rimasta senza terre.
Ahi! la la,
Ahi! la la,
Ahi! la la la la la la.
Mammina mia, oh, madre
per me qui non c’è un osso
restare non ci posso
troppi i curati e i frati.
Ahi! la la,
Ahi! la la,
Ahi! la la la la la la.
Cristo dei Finisterre
dalla barba dorata
questa nera nottata
aiutami a passare.
Ahi! la la,
Ahi! la la,
Ahi! la la la la la la.
E quando per la patria
arriverà quel giorno
che libero d’intorno
il vento sia alla porta?
Ahi! la la,
Ahi! la la,
Ahi! la la la la la la.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato venerdì 19 Febbraio 2016
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