“Il Friuli è la regione della polifonia, delle voci aperte, liquide, che vanno lontano, mescolate in una dolce armonia e in una sequenza di accordi che sono entrambe incomprensibili per gli italiani più a sud, e soprattutto è la regione delle influenze culturali, linguistiche e musicali che giungono dall’Europa del nord.” Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita

Sono trascorsi settant’anni dal viaggio che l’etnomusicologo texano Alan Lomax compì in Italia alla ricerca di reperti sonori di una cultura popolare che presto sarebbe scomparsa, aprendo la strada alle successive ricerche dei padri dell’etnomusicologia italiana, da Diego Carpitella, che lo accompagnò nella sua impresa, a Roberto Leydi, insieme agli studiosi riuniti nel Nuovo Canzoniere Italiano, passando per Ernesto de Martino che da poco aveva cominciato a indagare il fenomeno del tarantismo e il connesso esorcismo musicale.

Numerosi sono i contributi che in varie parti d’Italia hanno ricordato il prezioso lavoro svolto da Lomax lungo la Penisola, lavoro raccolto nel celebre volume di testimonianze scritte e fotografiche Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia (1954-55) a cura di Goffredo Plastino, edito da Il Saggiatore nel 2008, con la presentazione di Martin Scorsese, da sempre attratto dalle immagini dell’Italia di un tempo: “il mondo – scrive – dal quale provenivano mio padre e mia madre”.

In Piemonte, all’interno del progetto “Canti e musiche tradizionali in Monferrato: la ricerca Lomax (1954) e i fondi sonori del C.r.e.o.”, il Creo – Centro Ricerca Etnomusica Oralità di Torino ha allestito una mostra fotografica e realizzato il documentario Sulle tracce di Alan Lomax in Monferrato, a cura di Flavio Giacchero e Luca Percivalle, con lo scopo di valorizzare il proprio archivio sonoro, che comprende anche copia dei materiali raccolti da Alan Lomax in Piemonte, ma soprattutto di raccontare e documentare una storia straordinaria, trasmetterla al territorio di appartenenza, indagare una cultura e farla conoscere altrove. Il film, proiettato anche nel contesto del Premio Nazionale Città di Loano per la musica tradizionale italiana, è parte di un progetto nazionale di studio delle ricerche di Lomax in Italia coordinato dal Centro Studi Alan Lomax, diretto da Giorgio Adamo e con sede a Palermo presso il Museo Pasqualino, che opera in contatto con The Association for Cultural Equity (ACE) di New York e con The American Folklife Center at the Library of Congress. Il fondo Lomax-Piemonte, visitabile online, contiene diversi materiali audio, fotografici, in podcast, questi ultimi a cura di Alberto Lovatto.

Museo delle marionette Palermo

In Sicilia, l’Università di Palermo, il Museo delle marionette e il Centro studi Alan Lomax hanno promosso la giornata di studi “Alan Lomax, Diego Carpitella e l’etnomusicologia italiana”, alla presenza di prestigiosi docenti ed etnomusicologi come Ignazio Macchiarella, Girolamo Garofalo, Giuseppe Giordano e di Anna Lomax Wood, antropologa, etnomusicologa presidente dell’Association for Cultural Equity, fondata dal padre nel 1985, presso l’Hunter College, Cuny. Il Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo ha invece ospitato la mostra Sicilia 1954. Il viaggio musicale di Alan Lomax e Diego Carpitella, curata dai docenti Sergio Bonanzinga e Rosario Perricone, che hanno messo insieme immagini e suoni accompagnati dalle puntuali annotazioni di Lomax tratte dal suo diario personale. Un estratto, dal sito del Museo Internazionale delle marionette Antonio Pasqualino:

Nell’ambito del Premio Nazionale Città di Loano per la musica tradizionale italiana è stato organizzato un incontro con Anna Lomax Wood e un evento conclusivo, Venticinquemila miglia – Concerto il viaggio italiano di Alan Lomax 70 anni dopo, prodotto da Ciro De Rosa e Jacopo Tomatis, che ha visto la presenza di un nutrito gruppo di interpreti folk tra cui Riccardo Tesi, Maurizio Geri, Alessandro D’Alessandro, Giuseppe Moffa, Gabriella Aiello, Rachele Andrioli, Peppe Voltarelli, Elena Ledda. Di nuovo in Sicilia, nell’ambito del Capo d’Orlando Blues Festival è stata allestita la mostra fotografica Itinerante e un convegno: “Quando Alan Lomax cercava il Blues sui Nebrodi”, in collaborazione con il Comune di Capo d’Orlando e con il Comune di Mirto.

Quella siciliana fu la prima tappa del viaggio italiano di Lomax del 1954-1955, un’indagine in una Sicilia dalle durissime condizioni di vita per i ceti più deboli, ma dove allo stesso tempo si potevano osservare eccezionali pratiche espressive ormai quasi del tutto perdute. Poi il viaggio di Lomax proseguì in varie altre parti d’Italia.

Nel saggio “Sulle tracce di Alan Lomax a cinquant’anni dalle sue ricerche sull’appennino Tosco-emiliano” (Nuèter – Gruppo di studi alta valle del Reno, 2004) lo storico Gian Paolo Borghi precisava come il lavoro dell’etnomusicologo statunitense, svolto in collaborazione con Diego Carpitella, portò nella totalità alla raccolta di quasi un migliaio di documenti, che contribuirono in maniera considerevole alla costituzione del primo nucleo archivistico sonoro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, committente del progetto, in un rapporto di collaborazione con la Rai e in particolare con Giorgio Nataletti, musicista tra i primi a occuparsi del patrimonio delle musiche popolari. Segretario del Comitato nazionale arti popolari dal 1947 al 1952, fu lui a fondare nel 1948 il Centro nazionale studi di musica popolare (Cnsmp), operante sotto il patrocinio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e della Rai Radiotelevisione Italiana, con il fine di favorire la raccolta e lo studio comparato della musica popolare italiana.

Negli anni Cinquanta e Sessanta la trasmissione radiofonica da lui curata, Chiara fontana, programma quotidiano dedicato alle tradizioni musicali d’Italia, contribuì a far conoscere a una vasta fascia di pubblico (oltre che a “restituirli” alla cultura che li aveva prodotti e conservati) diversi documenti registrati nel territorio. Come riportato da Borghi, fu allora scritto:

«Il fatto nuovo che balza fuori da queste trasmissioni di Chiara fontana è appunto questo: questi canti e queste danze folkloriche hanno ora acquistato, come ha scritto Diego Carpitella, una circolazione rotatoria, nel senso che essi “tornano” ai contadini, ai pastori, ai marinai, non attraverso un filtraggio “urbano”, come spesso avviene attraverso la radio per le ragioni ben note, ma al loro stesso stato “genuino” di partenza, quasi come uno specchio fedele della realtà. (…) Con questa rubrica, infine, la musica folklorica, specialmente l’italiana, è uscita un poco, nell’economia delle trasmissioni, dal suo stato di “curiosità”, di “cartolina sonora”: essa ora si piazza su un piede di eguaglianza con la musica sinfonica, con l’operistica, con la musica “jazz”, con quella leggera: è una parità di diritti cui, prima dell’inizio di questa rubrica, essa non poteva aspirare».

Notevole fu dunque l’impulso, scaturito dal viaggio di Alan Lomax, all’avvio delle attività di ricerca sul canto di tradizione in Italia. Ma chi era questo musicista ed etnomusicologo di Austin che registrò il mondo? Da dove proveniva il suo interesse per la cultura popolare, per il canto considerato fonte eloquente, così significativa da definire e trasmettere un’identità? Alan Lomax ha raccolto un lascito famigliare e quello di storici collezionisti che in tempi lontani avevano cominciato a comprendere l’importanza della testimonianza orale, diventando poi lui stesso, con instancabile impegno e passione, il più esperto conoscitore di una realtà che ovunque rischiava di scomparire.

Dalle valli, dalle campagne delle zone più marginali degli Stati Uniti aveva preso vita una coscienza musicale che convergeva in forme già presenti dall’Ottocento e che generò il fenomeno delle folk songs. Canzoni provenienti dal mondo rurale, ferroviario, minerario. Canzoni nate da esperienze di impegno sociale e civile che sfociava nelle battaglie sindacali per i diritti di lavoratori, vagabondi e sfruttati. Canzoni di argomento amoroso, eredità di leggende irlandesi e inglesi giunte nel Nuovo Mondo in seguito alle varie migrazioni che si erano succedute nei secoli.

Agli inizi dagli anni Venti del Novecento negli Stati Uniti cominciò una minuta opera di registrazione di queste musiche di contadini e di altre categorie di lavoratori, da parte di etichette discografiche, appassionati e ricercatori. Tra questi Charles Seeger e Ruth Crawford, marito e moglie, musicologo lui, musicista lei, entrambi interessati al canto folk e alla sua validità come fonte per raccontare una storia diversa, che valorizzasse le classi subalterne.

E poi Harry Smith, eclettica figura di artista e appassionato collezionista di dischi a 78 giri che, nel 1952, curò per la Folkways Recordings una corposa Anthology of American Folk Music, nella quale comparivano musicisti blues, country e cajun. CD 1:

Ma saranno soprattutto John e Alan Lomax, padre e figlio, con le loro autorevoli raccolte sonore, e la scoperta di musicisti eccezionali, ad avere un grande influsso sul folk revival del dopoguerra.

La famiglia di John Avery Lomax (1867 – 1948) veniva dall’Inghilterra e si stanziò in Rockingham County, Nord Carolina. John nacque a Goodman, un villaggio al centro dello stato del Mississippi, ma nel 1869 con la famiglia si trasferì in Texas. Il padre aveva una fattoria in cui allevava cavalli e coltivava cotone e mais. Sin da bambino John ascoltava canzoni dei cowboy, ma anche diversi canti intonati da un ex-schiavo nero assunto nella fattoria come bracciante agricolo.

John A. Lomax, (1867-1948), padre di Alan, stringe la mano allo “zio” Rich Brown, cantante di spiritual

Costretto dal padre a lavorare in fattoria fino all’età di ventuno anni, quando ottenne il permesso di godere del guadagno dei raccolti, decise di utilizzare quel denaro per la sua formazione. Si diplomò al Granbury College e divenne insegnante. Nel 1890, dopo aver frequentato un corso estivo presso l’Eastman Business College di Poughkeepsie, New York, tornò in Texas dove divenne capo del dipartimento di economia del Weatherford College. Ma volle proseguire gli studi e si iscrisse all’Università del Texas, dove si presentò al docente di letteratura con le sue prime ricerche sui canti dei cowboy ricevendo, però, scarso apprezzamento. Decise, allora, di perfezionarsi ad Harvard, Cambridge, Massachusetts, il centro degli studi sul folklore americano; la prestigiosa università gli avrebbe permesso di concretizzare il suo sogno: specializzarsi nella storia del leggendario West.

Nel corso di letteratura inglese spiccavano studenti come Charles Seeger e T.S. Eliot. Il docente Barrett Wendell incoraggiava i suoi allievi a scrivere racconti legati alla regione dalla quale provenivano e rimase impressionato dalle vicende dei cowboy raccontate da John. Immediatamente lo presentò a George Lyman Kittredge, docente di letteratura inglese e pioniere nello studio delle ballate. Entrambi i docenti intendevano approfondire i caratteri delle ballate americane del West e suggerirono a John di collezionarne in gran numero per farne oggetto di analisi. Nel 1910 John Lomax pubblicò la prima importante raccolta Cowboy Songs and Other Frontier Ballads, con un’introduzione del Presidente Theodore Roosevelt. “Questo lavoro – scriveva – appassionerà non solo gli amanti della letteratura, ma anche tutti gli studiosi di storia del West.” Proponeva, infatti, una visione dell’America decisamente più realistica, distante dalle rappresentazioni stereotipate dei primi film di ambientazione dell’Ovest americano. (Sebastian Danchin in Lomax. Ricercatori di folk songs di Franz Duchazeau, Coconino Press, 2012, p.5). Resterà la più importante raccolta di canzoni western. Si può ascoltare in audiolibro:

Non fu il primo ricercatore, John Lomax, esistevano, infatti, precedenti collezioni e collezionisti. Negli Stati Uniti in particolare il filone della ballata folk aveva interessato appassionati della zona del Massachusetts, specialmente Cambridge; tra questi James Russell Lowell che nel 1855 aveva realizzato una prima antologia intitolata The Ballad. Questa sarebbe diventata oggetto di studio per Francis James Child (autore della famosa raccolta Child ballads, ballate che riscuoteranno molto interesse da parte degli interpreti del folk revival, tra cui Joan Baez), futuro professore di letteratura inglese ad Harvard. Al suo ritiro lo avrebbe sostituito George Lyman Kittredge, futuro docente di John Lomax.

Altri raccoglitori provenivano da più lontano nel tempo e geograficamente. In Scozia, James Macpherson, docente delle Highlands scozzesi, nel 1790 pubblicava una prima raccolta di poemi e canti. Un corpus di poesie paragonabili ai canti omerici dell’antica Grecia. Ma ancora prima, nel 1765, Thomas Percy dava alle stampe la raccolta di ballate Reliques of Ancient English Poetry che tempo dopo sarebbe finita nelle mani di Sir Walter Scott, che a sua volta si sarebbe interessato di ricerca e raccolta di ballate, all’origine dei suoi romanzi.

In Inghilterra il punto di riferimento per lo studio e la catalogazione del patrimonio popolare era il musicista Cecil Sharp, che raccolse ballate e musiche della tradizione inglese fondando nel 1911 l’English Folk Dance Society. Una volta in America, nel Kentucky, continuò le sue ricerche pubblicando nel 1932 la raccolta English Folk Songs from the Southern Appalachians, punto di riferimento di molte interpreti statunitensi e britanniche. Dopo la pubblicazione della prima raccolta, il lavoro di John Lomax proseguì con la realizzazione, nel 1934, dell’American Ballads and Folk Songs che riportava le note introduttive del professor Kittredge. Conteneva un vastissimo repertorio di canti divisi per categorie: canzoni delle montagne, canzoni del Grande Lago, canzoni di ferrovia, canzoni creole, canzoni di alcol e di droga, canzoni dell’infanzia, canzoni di minatori, di soldati, di vagabondi, di neri, di taglialegna, di pescatori. A questa ricerca partecipò anche il figlio Alan.

Alan Lomax (31 gennaio 1915, Austin, Texas), etnomusicologo, antropologo, musicista, come il padre fu studente ad Harvard e come lui era appassionato di canti folk, ma il suo interesse non era rivolto alla musica popolare del West, ma a quella della gente di colore del South. La musica e le voci che ascoltò dagli artisti neri di strada gli apparvero le più intense mai ascoltate. Quel suono era il blues. Anche se negli anni Trenta bianchi e neri erano comunità divise, la musica era un lasciapassare che consentiva di arrivare nel cuore della cultura nera.

Di qui, un progetto dalla portata straordinaria vide coinvolti entrambi i Lomax tra il 1933 e il 1942, quello della raccolta di canzoni degli africani d’America, attraverso cui documentare, mediante registrazioni sul campo, la cultura dei discendenti degli schiavi deportati dall’Africa. Un viaggio in quel South, figlio della Grande Depressione e del New Deal, così scosso da povertà e scontri razziali.

Dallas, Texas

La ricerca partì da Dallas. Qui, registrando le prime voci, Alan Lomax ebbe immediatamente chiara la portata dell’indagine: quei canti di protesta e di dolore erano la voce della povera gente, degli schiavi neri sfruttati nelle piantagioni, prigionieri vessati che raccontavano le loro drammatiche vicissitudini. Per la prima volta venivano documentate e rivelate al mondo. Mentre cantavano, quegli uomini e quelle donne, speravano che le loro preghiere, registrate dagli studiosi bianchi, sarebbero arrivate lontano, così da rendere nota la sofferenza e la condizione di oppressione di cui erano vittime. Dirà Alan Lomax: “Questa esperienza ha totalmente cambiato la mia vita. Avevo capito quello che dovevo fare. Il mio lavoro era di provare a portare quei sentimenti, quelle storie mai ascoltate al centro di un palcoscenico” (John Szwed, The man who recorded the world, New York, Viking Press, 2010, p. 37).

Il viaggio continuò con tappa nelle principali carceri, dove per i detenuti neri i lavori forzati erano un ritorno alla schiavitù. Huntsville in Texas, Imperial State Prison Farm a Sugar Land vicino a Houston, fino al Central Convict Sugar Plantation, la più nota delle prigioni dell’Angola, famosa per il numero di detenuti con sentenze per ergastolo. Qui ai neri non era permesso cantare durante il lavoro nei campi.

Ma qui avvenne l’incontro leggendario con “Il re delle dodici corde della chitarra” Leadbelly, più volte arrestato per aggressione, che registrò un repertorio impressionante di canti, dal gospel, al blues, al folk. Brani memorabili, come le variazioni su Angola Blues e The Midnight Special, canzone di liberazione dalla segregazione. Brani che finirono incisi nell’album The Midnight Special and Other Southern Prison Songs (1941) che contribuì alla nascita di una icona blues e alla diffusione di una musica inedita.

Alla Mississippi State Prison Farm in Oakley i Lomax registrano spirituals, inni religiosi, canti folk, melodie disperate, intonate dai condannati ai durissimi lavori forzati. Alla Parchman Farm un uomo cantava il dolore della schiavitù, un dolore antico, ereditato da infinite generazioni. Alan restò sconvolto da tanta verità. Da quelle registrazioni realizzerà l’album Prison songs. Murderous Home-Prison (Historical recordings from Parchman Farm 1947-48).

Vi tornerà nel 1959 con Shirley Collins per nuove ricerche.

Del 1958 è poi la straordinaria raccolta Negro Prison Songs From The Mississippi State Penitentiary, un lavoro commissionato dalla WPA, Works Progress Administration, volto a restituire dignità ai carcerati, spesso rinchiusi ingiustamente, vittime di discriminazioni razziali.

L’impegno a ricercare le voci dei diseredati, dei dimenticati, di uomini e donne dalle esistenze infauste e precarie costantemente guidava il suo lavoro. “Ho realizzato – disse – che queste erano persone che chiunque poteva considerare la feccia della società, persone pericolose, brutalizzate, e da loro usciva la musica più bella che io avessi mai ascoltato […]. Queste persone erano musica e poesia e avevano qualcosa di terribilmente importante da dire […]. Io avevo trovato la mia gente. Avevo trovato la gente che volevo rappresentare, con la quale volevo stare.” (John Szwed, The man who recorded the world, pp.49-50).

Non solo nelle carceri Lomax trovò la sua gente, ma anche tra le piantagioni di cotone. Fu alla Stovall Farm a Clarksdale, Mississippi, nel 1941 che effettuò le prime registrazioni del musicista blues Muddy Waters, realizzando la compilation The Complete Plantation Recordings, The Historic 1941-42 Library of Congress Field Recordings. Queste incisioni, insieme a quelle realizzate nelle carceri, confluirono nella raccolta di nastri dell’Archive of American Folk Song of the Library of Congress, istituito nel 1928, il primo e più importante centro di raccolta e conservazione della musica folk negli Stati Uniti.

Oltre alle registrazioni sul campo Alan Lomax proseguì i suoi studi alla Columbia University dedicandosi all’antropologia, ma soprattutto si dedicò all’attività di diffusione dei repertori folk e delle tematiche a essi connesse, utilizzando il mezzo radiofonico. Dalla fine degli anni Trenta fino agli anni Cinquanta, scrisse, produsse e presentò programmi e trasmissioni per l’Office of War Information, la Cbs, il Mutual Broadcasting System. Questo lavoro di divulgazione era volto a restituire, attraverso i repertori popolari, una diversa storia dell’America, a partire dalle vicende degli ultimi: i neri nelle piantagioni, i contadini, i minatori, i costruttori di ferrovie, i marinai, i carcerati.

Woody Guthrie

Una sera, al termine di una registrazione radiofonica gli si presentò un piccolo uomo dall’Oklahoma con il capello indossato al contrario, la chitarra a tracolla e una voce roca. Cantava per sfamare la sua famiglia. Intonava canzoni di migranti con una tale intensità da lasciare senza fiato. Quel piccolo uomo era Woody Guthrie e le sue ballate erano la voce dei più disperati della terra, di coloro che cantavano per chiedere un lavoro, per pregare, per denunciare, per raccontare le disgrazie della loro vita.

Lomax lo coinvolse immediatamente in una lunga sessione di registrazioni in cui Guthrie cantò un repertorio di canzoni sulla sua vita di hobo vagabondo ed emarginato, senza lavoro e senza casa, una sorta di autobiografia orale. Quelle canzoni divennero lo spunto per il programma radio di Alan Lomax Dust Bowl Ballads e per Guthrie l’occasione di incidere l’omonimo album (1940, Victor Records), e di mettere nero su bianco la sua opera letteraria, Bound for Glory. Woody Guthrie, Dust Bowl Ballads:

Insieme a Pete Seeger e con la prefazione di John Steinbeck, il duo Guthrie e Lomax realizzò poi l’antologia di canzoni di protesta Hard Hitting Songs for Hard-Hit People (1940-1967), una raccolta di più di duecento canzoni popolari e di protesta americane, dell’era della Depressione, sindacali e del New Deal. Impresa durata anni, era la testimonianza di un’America sconosciuta che dava voce ai poeti popolari politicamente impegnati, per raccontare attraverso il canto le lotte della povera gente.

Un lavoro fondamentale che, però, non fu senza conseguenze, sia per Woody Guthrie, per Pete Seeger che per Alan Lomax.

Negli anni che precedettero il secondo conflitto bellico Alan Lomax risultava sorvegliato dall’Fbi, l’agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d’America aveva aperto un fascicolo sulle sue attività: “L’investigazione condotta tra i vicini dimostra che è un individuo molto strano: si interessa soltanto di musica folk, è davvero poco affidabile e scontroso. […] Non dà alcun valore ai soldi, usa la sua proprietà e quella del governo con negligenza, praticamente non si cura del suo aspetto”. E poi: “Da una fonte confidenziale di informazioni è stato fatto sapere a questo ufficio che un certo Alan Lomax, che è impiegato alla Sezione Musicale della Biblioteca del Congresso, è sulla base del resoconto un simpatizzante del Partito Comunista” (Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita – Un viaggio in Italia 1954-55 a cura di Goffredo Plastino, Il Saggiatore, 2008, p.18-19).

Nel giugno 1950 il pamphlet Red Channels: The report of Communist Influence in Radio and Television riportava l’elenco di 151 artisti che figuravano in una blacklist di presunti sovversivi, una lista emersa poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Includeva Orson Welles, Leonard Bernstein, Arthur Miller e Alan Lomax.

Opuscolo di propaganda americana contro il pericolo comunist

Costretto da nuove indagini dell’Fbi Lomax decise di lasciare il Paese. Il maccartismo, scatenato da crescenti timori di influenze comuniste sulle istituzioni statunitensi, generava sospetti e azioni di censura nei confronti di molti artisti e intellettuali spesso costretti a fuggire. Per Lomax la fuga in Europa si conciliò perfettamente con il progetto di realizzare per la Columbia Records il World Library of Folk and Primitive Music, una raccolta di musiche tradizionali del mondo. Registrare il patrimonio musicale proveniente da ogni angolo della terra fissandolo in una grandiosa collezione di album (riuscirà a inciderne 18), rappresentava la possibilità di testimoniarne l’esistenza, preservarne l’integrità, garantirne la sopravvivenza.

La prima tappa fu l’Inghilterra dove partecipò al programma Traditional Ballads della Bbc. A Londra Lomax avviò una fruttuosa collaborazione con la società radiotelevisiva britannica: tra il ’50 e il ’57 produsse più di trenta programmi radiofonici, tra cui A Ballad Hunter Looks at Britain, e televisivi, sia come ideatore che, talvolta, come conduttore. L’impatto del suo lavoro fu enorme soprattutto nell’affermazione del movimento del folk revival. Entrò in contatto con la English Dance and Song Society e con la Irish Folk Commission di Dublino per svolgere ricerche sul campo in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda. Tra i collaboratori anche Ewan MacColl, studioso, musicista, tra le voci più rappresentative del folk revival britannico, marito di Peggy Seeger, figlia di Charles Seeger e sorella di Pete Seeger. World Library of Folk and Primitive Music Volume 2, Ireland Collected and Edited by Alan Lomax, 1955

Ma nel 1951 su richiesta dell’Fbi anche la Polizia Metropolitana di Londra cominciò a indagare su di lui e sul lavoro alla Bbc. Lomax – veniva fatto sapere – poteva essere membro del Partito Comunista.

Nel ’52 la Columbia lo inviava in Spagna per realizzare incisioni di canti popolari, di flamenco e chitarra, nonostante il suo disappunto per l’avversione alla dittatura franchista. A Mallorca partecipò a una conferenza il cui organizzatore era un rifugiato nazista, in passato direttore del Berlin Phonogramm-Archiv. Gli venne chiarito che nessun musicologo spagnolo lo avrebbe mai aiutato. Gli venne anche suggerito di lasciare la Spagna. Ma lui non si diede per vinto, anzi, si decise che a tutti i costi avrebbe registrato la musica di quella nazione oppressa. Spesso controllato dalla Guardia Civil, riuscì a raccogliere una grande quantità di documenti sonori e il viaggio in Spagna risultò decisivo per mettere a punto il suo modus operandi: per la prima volta incominciava a fotografare con regolarità i cantori che incidevano per lui, i paesaggi, la gente comune, le architetture. La Spagna era sorprendente: in tutti i villaggi le tradizioni permeavano ogni aspetto della vita.

Di nuovo l’Fbi tornava a diffondere la notizia che il giovane ricercatore potesse rappresentare una minaccia per il Paese. Così, a poco a poco il suo lavoro venne reso impossibile per i continui interrogatori, i furti di strumentazioni, vere e proprie persecuzioni.

Ma il materiale raccolto fu così vasto che si poterono realizzare due puntate della trasmissione radio della Bbc Third Programme, che riscossero un successo inimmaginabile, tanto che se ne dovettero aggiungere altre sei. Nel ’55 vennero pubblicati anche i dischi della Columbia, ma le registrazioni sul campo di Lomax troveranno la migliore collocazione nella collana Folk Music of Spain, undici Lp da lui curati per l’etichetta Westminster di New York. Folk Music of Spain:

Nel ’54 Lomax compiva il suo viaggio in Italia, per ritrovare le radici di una cultura popolare antica e intatta. Non scalfita, ma ancora per poco, dall’industrializzazione, dalle trasformazioni dell’economia e del paesaggio. A Roma incontrava Giorgio Nataletti, direttore degli archivi del Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In quegli archivi non era conservato abbastanza materiale caratteristico di tutte le regioni italiane, così l’etnomusicologo texano decise di avventurarsi lungo il Paese per registrare lui direttamente le variegate tradizioni musicali di pastori, pescatori e artigiani, contadini, braccianti, venditori, spostandosi dalla Sicilia alle Alpi. In una lettera indirizzata al direttore culturale della Bbc, Geoffrey Bridson, a proposito dell’Italia così scriveva: “Il canto tradizionale è davvero molto vivo; dappertutto nel Paese ci sono cantori di talento e di grande forza espressiva; i nastri che risulterebbero dalla ricerca potrebbero effettivamente essere la base per un rinnovato interesse nei riguardi della canzone folk tra i giovani del Paese” (Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita – Un viaggio in Italia 1954-55, a cura di Goffredo Plastino, p.27).

L’antropologo Diego Carpitella (a sinistra nella foto)

Lo accompagnava in questo viaggio il giovane etnomusicologo di Reggio Calabria, collaboratore di Ernesto de Martino, Diego Carpitella. “Quando cominciammo quel viaggio – raccontò – in lui era evidente la curiosità e l’interesse, e mostrò subito una notevole efficienza operativa; possedeva una tecnica del raccogliere, nella individuazione delle fonti e nell’acquisizione delle informazioni. Aveva già un mestiere, da etnologo, da etnomusicologo: le nostre ricerche, infatti, sono state tutte condotte sul campo.” (Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita, a cura di Goffredo Plastino, p.36).

Per il lavoro sul campo Lomax utilizzava un registratore Magnecord della serie PT6, un apparecchio molto più grande e ingombrante di quelli che saranno disponibili a partire dagli anni Sessanta, ma che nel 1955 rappresentava una delle tecnologie più innovative (Creo – Fondo Alan Lomax – Piemonte).

Il viaggio partì da Sciacca dove i due etnomusicologi iniziarono a registrare il 2 luglio 1954. Dalla Sicilia si spostarono in Calabria e Puglia (dal Salento al Gargano) e poi nell’Italia Settentrionale. Il 18 settembre erano in Friuli Venezia Giulia poi in Lombardia. Il 27 settembre 1954 erano in Piemonte e registrarono i primi 3 nastri a Rovasenda (VC). In seguito si spostarono a Gurro (VB). Carpitella dovette rientrare a Roma e Lomax da solo raggiunse la Valle d’Aosta tornando poi in Piemonte il 6 ottobre per registrare in Monferrato e poi nelle Langhe. Proseguirono le registrazioni in Liguria, in Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Umbria, Marche, Lazio, di nuovo in Toscana e il viaggio si concluse nel gennaio del 1955 in Campania. (Creo – Fondo Alan Lomax – Piemonte).

A Sciacca, in Sicilia, Lomax incontrò il teatro dei pupi che rappresentava la Chanson de Roland, in Calabria le canzoni dei pastori, negli Abruzzi cori polifonici femminili, canti dei marmisti in Toscana, stornelli a Roma, orchestre di flauti di pan in Piemonte, il contrappunto dei marinai nei piccoli villaggi liguri. E poi: “Sulle montagne sopra San Remo – racconta – ho registrato ballate francesi medievali […]. Sugli Appennini ho osservato abitanti di villaggi recitare per ore opere basate sulle leggende carolinge chiamate Maggio […]. Lungo la costa napoletana ho scoperto comunità in cui la musica risente di sonorità nord africane, in conseguenza della dominazione dei Mori a Napoli nel IX secolo” (The man who recorded the world di John Szwed, p.282).

In Puglia, a Locorotondo, Alan Lomax e Diego Carpitella registrarono e studiarono il canto polivocale della Valle d’Itria, come illustrato da Donatello Fumarola nel volume Alan Lomax in Valle d’Itria. La storia, i canti e le trascrizioni dei documenti sonori. Le registrazioni di Alan Lomax e Diego Carpitella a Locorotondo (Agosto 1954) (I Quaderni di Digressione, 2021).

In Abruzzo ebbero modo di conoscere il menestrello Giuseppe “Giuseppillo” Gavita da Scanno, che collaborò per l’incisione di alcuni canti popolari abruzzesi, come La Partenza del pastore e il più celebre lamento funebre dello Scura maje.

 

In Veneto Lomax raccolse alcuni canti dell’area di Venezia che finirono, interpretati da Luisa Ronchini, nel suo primo album solista Nineta cara. Uscito per I Dischi del Sole nel 1965 a cura di Roberto Leydi, fu proprio l’etnomusicologo italiano ad inviare a Ronchini, perché li imparasse e poi li incidesse, i nastri con le registrazioni sul campo recuperate da Lomax.

In Irpinia, importanti le ricerche effettuate nel 1955 dell’etnomusicologo Luigi D’Agnese che ha indagato le tracce di Alan Lomax a Montemarano, Sant’Andrea di Conza, Montecalvo Irpino e Mercogliano e i cui esiti sono in parte pubblicati nel volume Mascarà mascarà me n’a fatto ’nnamorà. Le tarantelle e i canti di Montemerano (corredato da due cd audio) a cura di D’Agnese e Giovanni Giuriati, edito da Nota nel 2011.

Anche la recente pubblicazione Alan Lomax. Il passaggio a Montecalvo Irpino (Terebinto Edizioni, 2021) dei ricercatori e collezionisti Antonio Cardillo e Francesco Cardinale, ricostruisce il lavoro sul campo dell’etnomusicologo statunitense a Montecalvo Irpino nel gennaio 1955, con la sessione di registrazione durante la quale furono effettuati numerosi scatti fotografici e registrati due canti, ma forse anche in numero maggiore. Certamente Levete levete bella ’zora

e Serenata Montecalvese.

Nell’Appennino tosco-emiliano i canti registrati furono oltre novanta e interessarono le località emiliane e romagnole del bolognese, del ferrarese, del forlivese, del modenese e del reggiano, come ricostruito dal professor Gian Paolo Borghi. Parte di quelle ricerche si ascoltano nel Compact Disc Italian Treasury. Emilia-Romagna. The Alan Lomax Collection.

Ma è in Lombardia che Lomax trovò davvero un tesoro: “Il cognome dei miei antenati è Lomazzi, e la famiglia scappò da questa zona per sfuggire alle persecuzioni religiose al tempo degli Albigesi […]. C’era come un legame profondo che mi univa a questo ambiente, e le donne che cantavano mi sembrarono le mie lontane cugine” (Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita – Un viaggio in Italia 2954-55 a cura di Goffredo Plastino, p.172).

Così, se grazie a questo viaggio a Lomax parve di aver ritrovato le proprie radici, quelle radici erano certamente patrimonio di un Paese mortificato dalla guerra che si raccoglieva attorno alle sue tradizioni. Viva è l’emozione nel leggere le annotazioni personali dell’autore che offrì una narrazione dell’Italia ad ampio spettro, tuttora commovente, per lo sguardo pieno di stupore e sincera ammirazione che seppe posare su ogni cosa, riuscendo a cogliere e a restituire la bellezza della cultura popolare, sebbene avvilita da fame e miseria:

La strada si snodava in alto dalla vallata vicino al fiume, attraverso altopiani rocciosi verso Caggiano, in Campania, un paese costruito in pietra, appollaiato come un’aquila su una scarpata rocciosa. Non c’è niente di più terribile della povertà quando fa freddo ed è umido; la gente nei suoi stracci sporchi cerca di stare in piedi sui ciottoli bagnati e ricoperti di fango; le donne filano e ricamano lamentandosi per l’eternità, dopo aver lasciato le loro cucine fumose. Tutti dopo vanno di fretta al municipio per ascoltare le zampogne, dal momento che in questa vallata ce ne sono molte, le più belle d’Italia. In un piccolo paese ci sono centinaia di zampognari e quattro tipi di zampogne: una ha un bordone lungo un metro e mezzo che emette una nota elefantesca.” (Alan Lomax. L’anno più felice della mia vita, p. 212)

Il viaggio si concluse dopo un itinerario di oltre quarantamila chilometri percorsi a bordo del furgone Volkswagen Transporter di Lomax, a volte utilizzato anche come camper, e migliaia di metri di nastro registrati. Il materiale fu sufficiente per due Lp per la Columbia: Northern and Central Italy (con i documenti già citati raccolti in Emilia Romagna e Piemonte) e Southern Italy and the islands.

Frutto dei numerosi viaggi, di incontri fortunati e di una scientifica indagine sui canti tradizionali del mondo, vastissimo è il contributo editoriale di Alan Lomax, con svariate le pubblicazioni dedicate al blues, all’antropologia, al folk. Per non parlare di quello discografico. Nel 1955 realizzò l’album India, registrato sul posto ed edito per la Columbia Records con le note e le traduzioni del professore di musica dell’Università di Benares Alain Daniélou, dello stesso anno una ricerca dedicata alla Scozia. Le sue indagini, oltre ai già citati luoghi, travalicarono limiti e confini, per scovare canti popolari in ogni dove: Francia, Indonesia, Giappone, Africa britannica, Bulgaria, Romania, Haiti, Venezuela, Africa francese, Australia e Nuova Guinea, Jugoslavia.

Negli Stati Uniti spaziò dalle Texas folk songs alle Folk Songs of Mississippi and Their Backgrounds, all’American Song Train che includeva brani cantati da Peggy Seeger (1958) alle Ballads of the Kentuchy, da cui si può ascoltare Susan Shepherd in The Kentucky Flood.

Al ritorno negli Stati Uniti il Paese era fortemente cambiato: nuove generazioni stavano cercando di ridisegnare i confini di una convivenza pacifica basata sui valori della giustizia e della libertà. Ma continui erano gli scontri razziali e il sogno dell’integrazione veniva spezzato, nel 1968, dall’uccisione di Martin Luther King. La partecipazione degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam generò un altrettanto acceso clima di violenza.

Dagli anni Cinquanta le piazze e i club del Greenwich Village di San Francisco erano diventate laboratori in cui la canzone era strumento di lotta. Da qui era partita una rivoluzione che legava gli artisti in una comune battaglia per i diritti civili. In questi anni di manifestazioni, di rivolte, di scioperi, di vite sacrificate, la cultura popolare veniva considerata come espressione non più del popolo-nazione, ma delle classi lavoratrici, dei giovani studenti con i loro ideali di egualitarismo e pacifismo.

Successivamente, la ricerca di autenticità, il bisogno di tornare ai valori di un passato libero anche dalle imposizioni del consumismo animava le lotte per l’affermazione dei diritti dei più deboli. Nuovi interpreti e cantautori come Odetta Holmes, Joan Baez, Bob Dylan, Judy Collins riproponevano repertori folk, riattualizzandoli, caricando le canzoni del passato di nuovi significati. Tutti loro riconoscevano in Alan Lomax il padre spirituale.

Alan Lomax morì a Safety Harbor, in Florida, il 19 luglio 2002. Aveva sempre concepito il suo lavoro come veicolo per diffondere il suo credo: “Essere portavoce di un’Altra America, di persone comuni, i dimenticati e gli esclusi, quelli che hanno sempre sopportato una vita di difficoltà – nella Grande Depressione, negli anni della Seconda guerra mondiale, durante la follia anticomunista, e nell’era delle lotte per i diritti civili” (John Szwed, The man who recorded the world, p.3).

La cantante folk Maria Carta

Il suo instancabile lavoro di ricerca, i suoi studi, gli scritti, le incisioni discografiche, le trasmissioni radio generarono un vivo interesse verso la cultura popolare, infondendo linfa al movimento del folk revival. Il Newport Folk Festival, inaugurato nel 1959, era diventato luogo privilegiato di incontri e dibattiti, laboratorio di esperienze musicali, come il Festival of Fool. I club, le trasmissioni radio e televisive accordavano spazi alla musica folk ospitando interpreti da tutto il mondo: Miriam MakebaCesária Évora, Maria Carta, dopo le esibizioni nei club statunitensi divennero celebrità internazionali. Gli Stati Uniti furono anche il punto di partenza per Giovanna Marini, che fece sue le riflessioni di Peggy Seeger, lo stile del canto di Almeda Riddle (scoperta da Alan Lomax) le canzoni di Pete Seeger e di Woody Guthrie, le idee di Alan Lomax. Lo spunto per avviare una carriera da cantautrice della protesta, alla talking blues, a difesa degli ultimi.

Ma soprattutto Lomax fu in grado di ideare uno spazio di condivisione dei suoi materiali, che fosse a tutti fruibile e accessibile, sulla base del principio da lui sostenuto di cultural equity, espressione che dà il nome al suo gigantesco archivio nato per raccogliere, diffondere, condividere la documentazione raccolta nell’arco della sua vita, divisa in registrazioni sonore, film, fotografie, interviste, scritti, realizzati da lui o da altri.

Così nel saggio An Appeal for cultural equity, dal Programma del Festival of American Folklife del 1972 illustrava l’importanza del principio di equità culturale: “Lo studio scientifico delle culture, in particolare dei loro linguaggi e delle loro musiche, dimostra che tutte sono ugualmente espressive e ugualmente comunicative. Sono anche ugualmente preziose; in primo luogo, perché arricchiscono la vita delle persone che le usano, persone il cui morale è minacciato quando vengono distrutte o impoverite; in secondo luogo, perché ogni sistema comunicativo (sia esso verbale, visivo, musicale o persino culinario) contiene importanti scoperte sull’ambiente naturale e umano; e in terzo luogo, perché ognuno è un tesoro di potenziale sconosciuto, una creazione collettiva in cui qualche ramo della specie umana ha investito il suo genio nel corso dei secoli.

Con la scomparsa di ciascuno di questi sistemi, la specie umana non solo perde un modo di vedere, pensare e sentire, ma anche un modo di adattarsi a una zona del pianeta che le si addice e la rende vivibile; non solo, ma buttiamo via un sistema di interazione, di fantasia e di simbolizzazione di cui, in futuro, la razza umana potrebbe avere un disperato bisogno. L’unico modo per fermare questa degradazione della cultura dell’uomo è impegnarci nel principio di equità culturale, così come ci siamo impegnati nei principi di giustizia politica, sociale ed economica”.

Affermava la forza del folklore come resistenza all’egemonia omologante di media e sistemi di comunicazione pervasivi, all’intrattenimento fine a se stesso. Chiedeva Lomax che venissero riconosciuti i diritti culturali dei popoli più deboli nella condivisione di un progetto di equità in cui l’arte e la musica trasmesse oralmente potessero costituire un linguaggio comune a tutti i popoli, perché camminassero insieme in un ideale viaggio fraterno e pacifico.

Gran parte del suo lascito è dunque visitabile al sito di The Association for Cultural Equity (Ace) da lui fondato. Una parte dell’archivio di Alan Lomax, inoltre, (400 ore di filmati prodotti per il network statunitense PBS fra il 1978 e il 1985) è stato reso pubblico sul canale YouTube Alan Lomax Archive.

Il documentario Lomax The Songhunter racconta le gesta di questa epica figura di cacciatore di canzoni a cui si deve il merito di aver svelato le voci, i suoni, i ritmi del mondo, radici della musica di oggi.

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli