Ha divulgato in tutto il mondo la lotta contro il razzismo, facendosi coraggiosamente ambasciatrice dei diritti umani con la sua voce, il suo canto e la sua musica, tanto da essere chiamata “Mama Africa”. Parliamo di Miriam Makeba, coraggiosa donna del Sudafrica e artista impareggiabile, un modello da seguire, una luce per il futuro del continente africano, esempio di coraggio col quale perseguire i propri ideali. Nata a Johannesburg il 4 marzo 1932, è stata per tutta la vita una convinta attivista anti-apartheid e la sua esistenza si intreccia con la stessa storia del Sudafrica. La madre di Miriam Makeba era una “sangoma”, di etnia swazi, ovvero una sciamana dei popoli Nguni e il padre, morto quando lei aveva solo cinque anni, apparteneva ai Xhosa, un popolo dell’Africa centrale. Miriam iniziò a cantare a livello professionale negli anni Cinquanta: dapprima fece parte del gruppo “Manhattan Brothers”, poi fondò la band “The Skylarks” che riuscì ad unire in modo straordinario jazz e musica tradizionale sudafricana.
Gli anni Cinquanta erano anche gli anni duri dell’apartheid, un’epoca storica in cui fu coniato il termine “afrikaans” per definire la segregazione razziale, istituita ufficialmente dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel 1954 e rimasta in vigore fino al 1990. Nel 1959 Miriam Makeba partecipò alla docu-fiction anti-apartheid “Come Back, Africa”, scritto, diretto e prodotto dal filmaker americano indipendente Lionel Rogosin, pioniere del cinema politico e influenzato, tra l’altro, dal neorealismo italiano. Questo documentario ebbe un profondo effetto sul cinema africano, e rimane di grande importanza storica e culturale come documento-testimonianza di un patrimonio sudafricano, ovvero delle “township” nel Sudafrica gli anni 50. Ricordiamo che con tale termine si designavano quelle aree urbane metropolitane povere in cui abitavano esclusivamente cittadini non-bianchi (neri e indiani). Miriam quell’anno venne invitata alla Mostra del Cinema di Venezia, ma proprio il successo musicale e l’impegno socio-politico le costarono l’esilio, imposto dal governo di Pretoria dopo il suo primo tour negli Stati Uniti avvenuto nel 1960. Non si tollerava il fatto che fosse diventata il simbolo di un popolo oppresso.
Resterà lontana dal suo Paese per ben trent’anni, una sofferenza enorme per lei, così legata alla sua terra.
A New York venne aiutata dal cantante e attore Harry Belafonte che la lanciò internazionalmente, tanto che nel 1963 si esibì anche per il presidente degli Usa John F. Kennedy. Quest’ultimo rimase talmente incantanto che volle conoscerla personalmente. La sua carriera internazionale spiccò un volo talmente alto che incise più di 30 album ed ebbe collaborazioni prestigiose che le permisero di divulgare all’estero la sua Terra e il messaggio contro il razzismo. Il legame con la terra d’origine rimase vivo e forte attraverso il rapporto con Nelson Mandela, impegnato allora nell’ “African National Congress”, ma soprattutto grazie alla musica con la quale cantava e faceva conoscere la sua gente, le sue tradizioni, le sue lingue. Nel 1966 ricevette il Grammy per l’album “An Evening with Belafonte/Makeba”, un vero e proprio manifesto della situazione in cui viveva la popolazione africana sotto il regime dell’apartheid.
Nel 1957 aveva inciso per la prima volta la canzone “Pata Pata” (Tocca Tocca) che divenne un successo negli Stati Uniti solo dieci anni dopo e poi le procurò una fama mondiale che continua tuttora. Quella canzone fu presa a pretesto, in realtà, per costringerla a rimanere in esilio, anche se il testo (in lingua xhosa, un idioma utilizzato in Sudafrica e Lesotho), non parlava di lotta tra bianchi e neri, “non parlava di apartheid, non parlava di lotte africane, non parlava di tutto questo, semplicemente era un inno alla gioia, alla voglia di danzare, la voglia di essere felici. Tutto ciò, paradossalmente metteva ancora più paura, proprio perché lanciava un messaggio universale al quale potevano aderire tutti: il sogno per un futuro di pace, di divertimento, e di speranza per un Sudafrica diverso” (Roberto Saviano nella videointervista trasmessa a Roma il 10/8/2008 durante il convegno “Miriam Makeba: l’Artista, la donna, il messaggio”).
Nel 1968 Myriam Makeba si sposò con l’attivista radicale Stokely Carmichael, figura controversa nel panorama americano, tanto da comportare un calo drastico dei concerti e contratti. Perciò i due si trasferirono in Guinea, dove divennero amici del presidente Ahmed Sékou Touré e di sua moglie. Nel 1974 Miriam si separò da Carmichael e continuò con i suoi concerti in Africa, Sudamerica ed Europa. Fu anche delegata della Guinea all’Onu e nel 1986 vinse il Premio “Dag Hammarskjöld” per la Pace. Nel 1985, dopo la morte della sua unica figlia Bongi, si trasferì a Bruxelles e nel 1987 collaborò al tour di Paul Simon, mentre poco dopo pubblicò l’autobiografia “Makeba: My Story”. Nel 1990 Nelson Mandela la convinse a ritornare in Sudafrica, dove continuò ancora con più forza il suo impegno sociale e politico. Nel 1992 recitò in “Sarafina! Il profumo della libertà”, un film di Darrell Roodt e ispirato al musical “Sarafina!” di Mbongeni Ngema del 1988, incentrato sulla vicenda degli scontri di Soweto del 1976 in Sudafrica, durante l’apartheid. Nel 2002 partecipò al documentario “Amandla! A Revolution in Four-Part Harmony”, incentrato sempre sulle tematiche dell’apartheid. Nel 2001 ricevette la Medaglia Otto Hahn per la Pace poi vinse il Polar Music Prize e nel 2005, con l’aggravarsi della sua artrite reumatoide, decise di dedicarsi al suo tour mondiale, prima di allontanarsi dalla scena musicale.
Miriam Makeba morì in Italia in una notte tra il 9 e il 10 novembre 2008. Quella sera non aveva voluto mancare. Si era esibita a Castel Volturno, vicino Caserta, in un concerto contro il razzismo, per ricordare la strage di sei immigrati africani avvenuta lì due mesi prima: Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo; Jeemes Alex. Un concerto, tra l’altro, di solidarietà allo scrittore Saviano. Subito dopo aver cantato il suo successo “Pata Pata”, ebbe un infarto e venne portata d’urgenza alla clinica “Pineta Grande”. I medici non riuscirono a salvarla. Nelson Mandela parlando di lei disse: “Giusto così, è giusto che gli ultimi momenti della vita di Miriam siano avvenuti sul palcoscenico. Le sue melodie hanno dato voce al dolore dell’esilio che provò per trentuno lunghi anni, e allo stesso tempo, la sua musica effondeva un profondo senso di speranza”.
L’Italia la ricordò il 10 marzo 2010, a due anni dalla scomparsa, con il convegno “Miriam Makeba: l’Artista, la donna, il messaggio”, promosso dal Movimento degli Africani, in collaborazione, tra gli altri, con SuLLeAli-Comunicazione responsabile, con il Patrocinio del Comune di Roma, Provincia di Roma, Presidenza del Consiglio-Pari Opportunità, Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati e Croce Rossa Italiana. Secondo Maouka Sékou Diabaté, Responsabile Settore Cultura del Movimento degli Africani e mediatore culturale, “l’omaggio in Italia era doveroso perché Mama Africa ha regalato gli ultimi suoi istanti alla lotta contro la criminalità organizzata in questo Paese. Il Tribute vuole commemorarla per la sua preziosa poliedricità: la donna Cantante che racconta l’Africa, la donna Madre che insegna la fiducia negli altri nonostante le sue sofferenze personali, la donna Ambasciatrice dei diritti umani che lotta contro le prevaricazioni e le ingiustizie”. Intervenne, tra gli altri, Roberto Meglioli, che aveva condiviso, in qualità di suo manager, più di venti anni di musica con la cantante. Nell’occasione venne lanciato il libro “La storia di Miriam Makeba” di Nomsa Mwamuka (ed Gorée) e il 13 ottobre si realizzò un concerto all’Auditorium di via della Conciliazione di Roma. È doveroso ricordare quella serata non solo per la straordinaria atmosfera di un pubblico composto da 1.200 persone, ma anche per il saluto dal palco dei ragazzi africani di Rosarno che chiedevano pace e integrazione, e i tanti artisti di varie culture che intervennero e ricordarono l’impegno politico di Miriam Makeba contro il regime dell’apartheid e il razzismo nel mondo. Miriam Makeba è una donna di cui, forse, si dovrebbe parlare di più anche in Italia. Nonostante i suoi problemi di salute non volle mancare al concerto a Castel Volturno che rimane l’ultima testimonianza del suo costante impegno antirazzista. La partecipazione a quel concerto, solidale e coraggiosa, le permise di veicolare, ancora una volta, un messaggio di lotta al razzismo e di speranza globale che rimarrà sempre viva attraverso la sua musica.
Pubblicato mercoledì 23 Dicembre 2015
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