Francesca Prestia, cantastorie calabrese ormai da molti anni, da quando presentò a Catanzaro lo spettacolo “Canto e Cuntu”, si è dedicata allo studio di storie di donne e uomini che hanno lottato, denunziando e resistendo.
Sono nate così alcune ballate per raccontare storie di emarginati che sono stati protagonisti di lotte politiche e sociali, e in particolare storie di donne che altrimenti sarebbero state ignorate dalla storia, se Francesca non avesse deciso di conoscerle e farle conoscere attraverso il canto.
I “cunti e i canti” possono essere azione antifascista, perché aiutano a ricordare, a non dimenticare, a rievocare quelle emozioni e passioni che hanno sostenuto la lotta e l’impegno nei momenti difficili. Il sistema nel quale viviamo ci vorrebbe tutti e tutte addormentati, narcotizzati, indifferenti, apatici. La musica non ce lo permette. Lei risveglia, tutti e tutte, dal profondo. Come le trombe suonate dal monte, la musica apre i cuori e risveglia le menti.
O bella ciao! è tutto questo. Un canto che ci accomuna. Un canto nel quale è racchiusa la nostra identità, il nostro sentire collettivo. Noi, oggi, siamo chiamati ad essere partigiani e partigiane della nostra Costituzione, della nostra Repubblica, della nostra Democrazia, con tutte le sue contraddizioni, falle e incongruenze.
L’emozione, così cantando, riaffiora e ci fa sentire, ancora una volta, un popolo.
Chi ci ha indicato le strade dell’antifascismo? Molti, molte. Ognuno nel suo modo, con le sue scelte di vita.
Il primo cunto e canto è dedicato a Umberto Zanotti Bianco, una singolare e straordinaria figura di italiano, che aveva un grande sogno: restituire dignità ad un’umanità, quella calabrese, che viveva i segni profondi dell’arretratezza materiale e culturale, ma che era custode di un’immensa memoria storico-culturale. Lui, filantropo, scrittore, archeologo fu anche antifascista criticando aspramente il regime. Per le sue esternazioni fu internato e, una volta liberato sino al ‘45, visse protetto dai suoi amici liberali impegnati nella Resistenza. Sino alla fine della sua vita indicò alcune scelte politiche necessarie per risollevare i nostri territori prostrati da secoli di sfruttamento e isolamento: «Bisogna ricostruire scuole, acquedotti, canali; rifare le catastali; ridare lavoro e giustizia; non gravarli di eccessive tasse e smetterle con queste pestifere clientele. La Magna Grecia riaffiorerà e la Bellezza …ci sanerà!».
Il secondo cunto e canto è per Nino Malara e Giovanna Gairo; lui giovane comunista anarchico di Reggio Calabria; lei sarta e stilista formatasi nel laboratorio Versace di Reggio Calabria. Per la lotta antifascista Nino, sposo novello, viene arrestato e condannato al confino a Favignana e poi a Lipari. Giovanna, per amore, rinuncia alla libertà e lo segue al confino per cinque anni. Lì nasce la prima figlia, Idenia, e tornati in Calabria, continuano la loro lotta antifascista. Non prendono la tessera del fascio. Nino non trova lavoro. Il negozio di moda diventa fonte di sostentamento. Nasce a Cosenza il secondo figlio, Empio. Nino viene arrestato in ogni occasione dalla polizia, quando si immagina che possa contrastare il fascismo. Ai figli nascondono la verità e raccontano che il padre è dovuto partire per lavoro. Giovanna è forte, tenace, laboriosa, brava. Ha gusto e abilità nelle mani. Lui disegna e realizza il negozio di moda che diviene il più bello ed elegante della città. I compagni gli sono sempre a fianco. «Con lo specchio a tre ante, con guanti e cappellini, fanno resistenza e lotta dura contro il duce Mussolini».
Il terzo cunto e canto è per loro, i cinque ragazzi dell’autostrada. Cinque ragazzi che, come tanti giovani calabresi, in quegli anni vivevano nel dolore di crescere in una società ingiusta e pensavano che gli uomini e le donne non dovessero affidare le loro vite ai politici e allo stato. Credevano che bisognava eliminare qualunque potere che potesse condizionare l’individuo, che l’autorità si nascondeva nello Stato e nella proprietà privata, che l’uomo con la proprietà diventava o un despota o uno schiavo, che non bisognava chinarsi davanti a nessuna autorità, che se gli stati costruivano le Bastiglie i popoli le distruggevano. Avevano fondato il circolo dedicato all’anarchico calabrese Bruno Misefari il quale aveva detto che l’anarchismo era la tendenza alla perfetta felicità umana. Il loro viaggio, nella notte fra il 26 e il 27 settembre del 1970, termina a 58 Km da Roma. La loro Mini Morris gialla viene travolta da un camion. Per loro è la morte. Molti sostengono che i cinque anarchici portassero documenti importanti sulla rivolta di Reggio Calabria e sull’attentato di Gioia Tauro ai redattori di Umanità Nuova e che la loro morte sia stata una strage organizzata dai fascisti o dai servizi segreti.
Cantare cuntare è stato ringraziarli uno per uno, ancora una volta.
Cantare e cuntare è stato rianimare i sublimi ideali.
Cantare e cuntare è stato battersi, con la cultura, contro il fascismo e ogni forma di ingiustizia sociale.
Francesca Prestia, cantastorie calabrese
Pubblicato lunedì 16 Aprile 2018
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