Quando canta sul palco, una parte di lei viaggia, torna in contatto con tutte le ferite subite. La sua voce è un pioppo che canta. Dondolando nella brezza del Sud.
Jackie Kay
Bessie Smith cantava per le donne. I testi delle canzoni che scriveva e interpretava raccontavano tutti i modi possibili in cui un uomo poteva farle soffrire. I suoi blues erano voci di donne offese, umiliate. A loro parlavano, perché trovassero il coraggio di rivedersi in quelle parole, come in uno specchio, per liberarsi dalla violenza di uomini fedifraghi, immaturi, narcisi, prevaricatori. Testi spesso sessualmente espliciti e pieni di doppi sensi, ma anche tragici, colmi di sofferenza, voci di schiavitù antiche e ancora esistenti. Una autobiografia, perché i blues da lei scritti raccontano anche di miseria, degli scontri razziali, delle difficoltà del vivere. Nelle periferie, nei bassifondi, per chi come lei, da sempre costretta ai margini, ha dovuto alzare il volume al massimo per far ascoltare la propria voce.
“Le donne gridavano la loro approvazione – scrive Sally Placksin in Jazzwomen – quando la cantante raccontava il modo in cui il suo uomo la maltrattava, urlavano parole di conferma e apprezzamento quando Bessie Smith cantava la sua Young Woman’s Blues o quando Ma Rainey dava magistralmente il benservito al proprio uomo in Titanic Man Blues. A volte le grida si trasformavano in un religioso silenzio (…). In quegli anni le cantanti blues, come tutti gli artisti (…) erano considerate da molti il gradino più basso della scala sociale, persino all’interno della comunità afroamericana”.
La vicenda biografica di Bessie Smith si snoda nell’America della segregazione razziale, quella più profonda, delle divisioni tra bianchi e neri ai ristoranti, sui pullman, nei negozi. Delle uccisioni e delle torture perpetrate su una popolazione già pesantemente soffocata dal terrore, delle scorribande degli adepti del Ku Klux Klan. Discriminazioni subite anche dai neri verso i neri, coloro i quali avevano la pelle troppo scura e per questo considerati ulteriormente inferiori. Ciò accade a Bessie: donna nera, troppo nera.
Il Sud degli Stati Uniti è un coacervo di cittadine oppresse da un clima di intolleranza che si respirava in ogni villaggio. Basti pensare a Scottsboro, dove nel 1931 nove uomini neri vengono accusati di aver stuprato una donna bianca e condannati alla sedia elettrica. Leadbelly scrive una canzone dedicata a questi giovani ingiustamente puniti per il colore della pelle, per la loro povertà e l’impossibilità a difendersi. Tutta la gente nera deve sapere ciò che è successo a Scottsboro.
Nel 1939 Billie Holiday canta Strange Fruit per ricordare la brutalità dei linciaggi.
Bessie Smith viene al mondo il 5 aprile 1894 nel quartiere Blue Goose Hollow nella cittadina di Chattanooga, Tennessee. Come riferito nel suo certificato di matrimonio, benché le date in quel periodo non siano sempre attendibili, soprattutto per la popolazione di colore di cui le amministrazioni locali bianche non hanno interesse a occuparsi. Suo padre, William Smith è un predicatore battista, la madre, Laura Smith, muore quando Bessie ha otto anni. Con lei, ci sono altri sei fratelli. Alla madre, ventitré anni dopo la morte, dedica Reckless (Irresponsabile) sul tema del disperato bisogno d’amore che ricorre in diversi blues di Bessie.
Chattanooga aveva visto crescere popolazione ed economia con l’arrivo della ferrovia nella metà del 1800, ma col passare del tempo si trasforma in una città sovrappopolata, di neri in cerca di un lavoro che non c’è. Le uniche possibilità per sopravvivere sono quella del domestico o del bracciante sfruttato, oppure dell’artista nelle compagnie teatrali di giro. Nella famiglia Smith i bambini, rimasti senza madre, devono cavarsela da soli. La più grande si arrangia con qualche lavoretto, ricava un piccolo compenso e cerca di badare ai più piccoli. Bessie, già a nove anni, per pochi spiccioli, canta per strada. Il fratello Andrew l’accompagna con la chitarra.
Il suo futuro è già scritto. All’età di diciassette anni, nel 1912, si unisce al Moses Stokes Travelling Show che si esibisce nei minstrel show, ovvero spettacoli nati alla metà dell’Ottocento come parodie dei neri. Attori bianchi, praticando il blackface, si tingono il volto facendone una caricatura che esagera i tratti somatici dei neri. Allo stesso modo si scuriscono col carbone anche gli attori neri, quasi a mascherare le sembianze del loro vero volto, considerato inaccettabile da mostrare. Il minstrel è la forma d’intrattenimento popolare più in voga, soprattutto per un pubblico di bianchi che si divertono nel vedere gente di colore umiliata e degradata. Bessie, poi, ha la sfortuna di avere la pelle molto scura e questo è indice di ulteriore sgradevolezza. Inizialmente scritturata come ballerina, comincia però presto a cantare in questi spettacoli itineranti, attraversando tutti gli stati del Sud. Il viaggio la appassiona e alle diverse mete dedica canzoni scritte di suo pugno che inciderà successivamente. Come Long old road,
Backwater blues,
Lonesome Desert Blues,
Hot Spring blues,
Dixie Flyer blues.
Il viaggio è fuga da qualcosa, da una situazione pericolosa o più spesso da un uomo sbagliato. Oppure è un traguardo da raggiungere, un nuovo inizio. “Viaggiando in treno, in pullman, in macchina – scrive Sally Parton nel libro Jazzwomen – le più famose compagnie di minstrel arrivavano nelle piantagioni di canna da zucchero e nelle città industriali, nei teatri delle metropoli diffondendo il blues fra la gente”. Viaggi, avventure e incontri caratterizzano da subito la vita di Bessie. Ma Rainey, “la madre del blues” è certamente tra le persone che segnano il suo cammino. La prima donna a cantare il blues e a definire uno stile di canto. Animata da una certa spregiudicatezza, si può cogliere la sua imponente presenza vocale nell’esecuzione di Ma Rainey’s Black Bottom
che ha dato il titolo all’omonimo film biografico.
Ma Rainey è a sua volta discendente delle Voodoo Queens ottocentesche, donne di spettacolo che godevano di grande potere soprattutto a New Orleans dove erano concesse cerimonie e riti vudù. Durante queste manifestazioni pubbliche le donne avevano un ruolo di primo piano che esprimevano attraverso il canto e il ballo, coinvolgendo uomini e donne, nere e anche bianche.
La “madre del blues” rende Bessie sotto la sua ala, insegnandole passi di danza, e soprattutto l’importanza dell’interpretare le canzoni che spesso veicolano temi scottanti: l’omosessualità, il lesbismo, la violenza sessuale. Ma anche la morte, la malattia, come la meningite, i funerali. Per assistere agli spettacoli di Ma Rainey la gente arriva da ogni dove. Riempie i tendoni, come quelli di un circo dove a esibirsi non ci sono le belve feroci, ma una diva che entra in scena con abiti scintillanti e, sorridendo, mostra i suoi famosi denti d’oro e di diamanti. Canta canzoni lascive, balla seducendo, recita battute bizzarre e a doppio senso. È lesbica e secondo una leggenda avrebbe letteralmente rapito Bessie, innamoratasi perdutamente di lei. Ma ciò non accade, Bessie non ha ragione di essere presa con la forza, è lei per prima a voler seguire l’artista, così fuori dai canoni e rivoluzionaria. Da lei può imparare l’arte della recitazione, muoversi sinuosamente, scegliere abiti adatti alle sue esibizioni.
Certo, Bessie è bisessuale e al tema dedica Foolish Man Blues,
ma il comportamento sessuale fluido tra le donne del blues non è un fatto sconvolgente, ma una libertà scontata. Uno stile di vita che le accomuna alle giovani libertine della Berlino di Weimar. Le disinibite blueswomen mostrano sfolgorante bellezza e genio nei teatri, nei circuiti del vaudeville nero, nei night delle grandi città, osannate come dee.
Nei quartieri dei neri, ad Harlem, negli anni Venti patria di scrittori, artisti e musicisti, protagonisti della Harlem Reinassance, cantano alle feste negli appartamenti in affitto (i Rent Party) e nei club che nascono a ogni angolo. Dagli insegnamenti di Ma Rainey, dalle esperienze in giro per l’America, sul palco del Rabbit Foot Minstrels, dopo una serie di contratti allo Standard Theatre di Filadelfia, e con l’orchestra di Charlie Johnson ad Atlantic City, Bessie forgia il suo talento e in poco tempo diventa un’artista impareggiabile. Una regina, l’“Imperatrice del blues”.
Di lei – si legge nella monografia di Jackie Kay –si dice: “La gente la guardava con ammirazione (…). Quando entrava in una stanza o saliva sul palcoscenico la gente non poteva fare a meno di notarla. Era una donna forte, bella e con una personalità magnetica”. Una regina proletaria nata nel fango per diventare una leggenda. Si sposa due volte. Il primo marito, Earl Love muore un anno dopo il matrimonio. Con Jack Gee, con cui si sposta a New York nel quartiere di Harlem, resta sposata per sei anni, ma questa relazione la tormenterà per il resto della sua vita. Jack è un uomo violento che ha mortificato Bessie fino all’impossibile: picchiandola, minacciandola, sfruttandola e maneggiando i soldi da lei guadagnati. Il 1923 è una data che segna indelebilmente la carriera di Bessie: Frank Walker, un funzionario della casa discografica Columbia ha il compito di reclutare nuovi talenti. Tra questi c’è lei. Che si presenta esitante allo studio di registrazione, apparendo come una ragazzina spaventata. Già era stata rifiutata dalla Black Swan, casa discografica fondata da neri per divulgare musica composta e suonata da neri, perché troppo scura, la sua voce eccessivamente rozza e i comportamenti volgari.
Eppure, Bessie si esibiva già da diversi anni, aveva un vasto pubblico appassionato che la seguiva ovunque. Ma la prova con la registrazione non è cosa semplice, la sua voce si sarebbe fissata in eterno, entrando nel mondo della discografia. Dopo gli angoli delle periferie, dopo i tendoni dei minstrel show, i teatri, i club, con tutto lo spettacolo di abiti adornati di perle e piume di struzzo, di scialli vistosi, di sorrisi e movenze sinuose, carismatica padrona della scena, ora la musica viaggia sui solchi dei dischi. Ora, la voce e la musica sono protagoniste. E i blues di Bessie hanno un impatto immediato. I neri che dal Sud erano emigrati al Nord corrono ad ascoltarla, ma presto avrebbero anche acquistato i suoi dischi perché quelle parole e quel modo di cantare li fanno sentire vicini alla terra da cui avevano dovuto andarsene. Bessie “aveva anche un non so che di sacrale e solenne (…). Aveva il dominio assoluto del palco – raccontano Shapiro & Hentoff in Hear me Talkin’to ya –: non potevi smettere di guardarla (…). Riusciva a sconvolgerti (…) Riusciva ad operare una sorta di ipnotismo di massa. Quando si esibiva non si sentiva volare una mosca”. Downhearted blues è il primo singolo da lei registrato il 15 febbraio 1923. C’è Jack nella sua vita, e la canzone sembra profetizzare ciò che la aspetta: Problemi, problemi ho avuto solo problemi.
Parole nette che rivelano quella che sarà la sua storia di donna violata, tradita e delusa. Ma anche quella di tutte le donne che, come lei, subiscono uomini arroganti, sfruttatori e maneschi. Vende un numero impressionante di copie. In testa nei Race Records, dischi incisi solo per il pubblico nero, ma che vengono acquistati sia da neri che da bianchi per i quali Bessie si esibisce anche in concerti riservati senza mai cambiare nulla del suo stile e dei testi. Come nell’abitazione del ricco intellettuale Carl Van Vechten con il corteo di ospiti della buona società americana bianca che ascoltano Sorrowful blues
e Jailhouse blues
dalla voce di una donna che proviene dal cuore della povera comunità nera e che in quel momento sta tracannando whisky a non finire. La serata si conclude con spintoni, pugni in faccia alla moglie del padrone di casa che aveva osato avanzare una richiesta infelice.
Viaggia per una lunga tournée, alternando spettacoli vaudeville, esibizioni nei club e il lavoro in studio di incisione a Filadelfia dove si era trasferita. Registra pezzi memorabili che decretano un successo clamoroso. Incide canzoni originali come Baby, won’t you please come home, di Charles Warfield e Clarence Williams, del 1919,
ma anche composizioni che facevano parte del repertorio di altre artiste: di Lucile Hegamin Beale Street Mama e Aggravatin’ papa,
Graveyard Dream blues di Ida Cox;
di Ma Rainey Moonshine Blues
e Bo-weavil Blues.
Affronta anche temi sociali, a volte con tono scanzonato come in Letric Chair Blues in cui una donna chiede di pagare il giusto per aver ucciso il suo uomo.
Riprende poi melodie tratte dalla ricca tradizione dei neri d’America reinterpretandole attraverso il filtro della sua conturbante personalità. Collabora con artisti del calibro di Louis Armstrong, con cui registra Cold-in Hand Blues,
Sobbin Hearted Blues
e You’ve been a good-ole wagon.
“La potente voce di Bessie e la grandiosa cornetta di Louis”, scrive Jackie Kay.
Nei suoi spettacoli canta, balla, mima, recita indossando vestiti sgargianti, collane, piume di struzzo, perle. Tra i più noti, Harlem Frolics, Mississippi Days, in cui interpreta il celebre successo, Empty Bed Blues.
E poi Streamboat Days, Late Hour Dances e Midnight Steppers che incontrano grande favore di pubblico. La Columbia le garantisce un contratto per otto anni. Tra il 1923 e il 1931 incide un numero impressionante di pezzi, scrive 37 canzoni ed è la protagonista dell’industria discografica di quegli anni.
Bessie è una celebrità, adorata da un pubblico pronto ad accaparrarsi i migliori posti per vederla e ad acquistare dischi su dischi. In quel momento è l’artista di colore più pagata al mondo. Ma il successo non è destinato a durare in eterno. La vicenda sentimentale con il marito Jack si rivela devastante. Più Bessie ottiene successo e denaro e più Jack cerca di distruggerla. La umilierà, spendendo i suoi soldi per finanziare lo spettacolo di un’amante, Gertrude Saunders. Cercherà di fare di tutto per toglierle il figlio, dopo il divorzio. Personalità ambivalente, quella di Bessie: “La donna che non si faceva fregare da nessuno, che aveva insultato e picchiato molte persone, era la stessa donna che permetteva al proprio marito di maltrattarla, di umiliarla e derubarla del proprio denaro”, scrive Jackie Kay.
Provata dalle botte, dai litigi, dalle vigliaccherie, scivola nel baratro dall’alcolismo. Aveva cominciato molto giovane a bere, per sopravvivere alla violenza, per trovare la forza di sopportare, per dimenticare tutti gli abusi subiti. Poi arrivano gli arresti, per aggressione, perché della violenza che aveva vissuto, ne è intrisa. Come lo sono i suoi blues dedicati agli uomini che l’hanno maltrattata. Dirty No-Gooder Blues, My Man Blues, Spider man blues, in cui lei è come una mosca nella rete di un ragno, da cui non può fuggire. I’m like a poor fly, Spider Man, please let me go/You’ve got me locked up in your house and I can’t break down your door/Somebody please kill me, and throw me in the sea/This Spider Man of mine is going to be the death of poor me. Tutti gli uomini sono pericolosi e distruggono le vite delle donne che, per salvarsi devono andarsene, opporsi ai soprusi in tutti i modi possibili.
Sono stata maltrattata e non mi piace / Sarebbe inutile mentire, canta Bessie in I’ve been mistreated and I don’t like it.
Nel 1929, gira il film St Louis Blues basato sulla canzone di W.C. Handy, pellicola che la rende immortale. Incarna una donna che soffre per l’infedeltà dell’amante che la tradisce. Si dà all’alcol e a una vita dissoluta. In una scena del film canta il famoso blues.
Oltre agli uomini maneschi e all’alcol, anche altre sono le ragioni della sua caduta.
Nello stesso anno per la Columbia registra Nobody knows you when you’re down and out, scritta da Jimmy Cox: Poi ho cominciato a toccare davvero il fondo /Oh Dio, è proprio vero / nessuno ti ama quando sei al verde, profetizzando quello che le sarebbe accaduto.
Tante le versioni di questo brano diventato un classico. La cantano: Scrapper Blackwell,
Nina Simone,
Eric Clapton
la grande Alberta Hunter.
La bambina nata in miseria e cresciuta in una baracca, partita da una gavetta tra minstrel show ed esibizioni nei club, per diventare ricca e famosa, l’“Imperatrice del blues”, ricade nel fango da cui era sorta. Non solo. Questi sono anche gli anni del crollo della borsa di Wall Street, uno dei momenti più drammatici della storia degli Stati Uniti e quella canzone è lì, fedele testimone della crisi economica che colpisce molti americani. Bessie, da donna che in breve tempo aveva raggiunto il successo anche economico si ritrova in miseria, spolpata da un marito ingrato e messa all’angolo da altre cantanti, altre voci, altri stili. Da quel momento, infatti, la musica blues inizia a non avere più spazi per farsi ascoltare e perde il pubblico fino a quel momento fortemente coinvolto. I club chiudono, mentre in teatro si sostituiscono gli spettacoli dal vivo con i primi film sonori. Nessuno più ha denaro per comprare dischi di musica blues. Nel 1931 la Columbia chiude il contratto con Bessie: non le aveva garantito i diritti d’autore e presto Bessie si trova a fare i conti con la mancanza di denaro, che fino ad allora aveva anche gestito con poca oculatezza. Gli ultimi blues registrati sono: Safety Mama e Need a little sugar in my bowl
che diventa un classico jazz interpretato di nuovo da Nina Simone.
Ma vendono poche copie. Il blues era diventato fuori moda, soppiantato dal jazz che richiedeva voci più sofisticate che stavano su ritmi veloci e saltellanti come quello dello swing. Il Nord degli Stati Uniti impone una musica nuova e anche gli emigranti del Sud, che nella musica calda del blues avevano ritrovato le loro radici, ora si adattano ai gusti della gente del Nord dimenticando il mondo di appartenenza.
Così anche Bessie rinnova il suo stile imparando a swingare, con la capacità tutta sua di sentire le pause e il ritmo. Diventa modello per le grandi voci jazz che di lì a poco si sarebbero imposte. Come Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Mildred Bailey.
Nel 1932 esce Shipwrech blues (Il Blues del naufragio), il racconto della sua disperazione.
L’anno dopo incide per la Okeh Records, tra i tanti pezzi, Gimme a Pigfoot
e Down in the Dumps con un accompagnamento swing.
Nel 1935 si esibisce all’Apollo Theatre. Prima di lei aveva fatto il suo debutto nello stesso teatro Ella Fitzgerald e poco dopo si sarebbe esibita Billie Holiday. Bessie è sul viale del tramonto, ma continua a scrivere e comporre blues che, però, non vengono registrati.
Nel 1937 accetta un contratto con il Winsted’s Broadway Rastus Show che fa tournée in tutto il Sud. In viaggio, cercando di raggiungere la compagnia, è coinvolta in un incidente automobilistico. La sua macchina, guidata da Richard Morgan, contrabbandiere di alcol con cui ha una relazione, va a sbattere contro un camion parcheggiato a fari spenti sulla strada. Il braccio di Bessie viene tranciato di netto. Muore il 26 settembre 1937 all’Afro-American Hospital di Clarkesdale nel Mississippi. Al suo funerale a Filadelfia, le strade sono gremite di appassionati di blues, ammiratori. Tutti neri, tutta gente del popolo. La gente per cui lei aveva sempre cantato, preferendo gli umili agli appartenenti all’alta società. Un coro cantava Rest in peace. Ma in pace Bessie non sarà per lungo tempo. I fatti legati alla sua memoria e alla sua morte l’avrebbero tormentata ancora.
Solo nel 1948 viene organizzato un concerto in sua memoria per raccogliere fondi al fine di comprarle una pietra tombale. Si vocifera, però, che Jack aveva intascato il denaro senza acquistare nessuna lapide. Per 33 anni quella tomba rimane senza un nome. Bessie Smith, l’Imperatrice del blues era finita dimenticata, ignorata da tutti, ultima tra gli ultimi. Nel 1970 Janis Joplin, grande sua ammiratrice e Juanita Green, presidentessa della sezione Nord di Filadelfia dell’Associazione nazionale per il progresso della gente di colore, donano i loro soldi per la lapide. Vi fanno incidere: “La più grande cantante blues del mondo, non smetterà mai di cantare. Bessie Smith 1894-1937”. In quell’anno la Columbia ripubblica tutti i suoi singoli in un cofanetto che vince due Grammy Awards.
Ma ancora non si sa la verità sulla sua morte. “Avevamo sentito – scrive Alan Lomax in The land where blues began – cos’era capitato ne 1937 a Bessie Smith nella sua terra d’origine. Ferita in un incidente d’auto, la famosa cantante blues venne rifiutata da tre ospedali in Clarkesdale a causa del colore della sua pelle. Alla fine morì dissanguata, priva delle dovute cure mediche, mentre i suoi amici cercavano di intercedere presso l’amministrazione dell’ospedale. Una situazione tipica del profondo Sud”. Sulla morte di Bessie Smith si sono scritti libri, opere teatrali. Diviene il simbolo del razzismo dei bianchi secondo cui la vita dei neri non valeva nulla, e non si doveva perdere tempo nell’occuparsi delle loro ferite. La vicenda che segue l’incidente, vera oppure no, leggenda oppure no, è rimasta tutt’oggi avvolta nel mistero. Non lo è l’arte eclatante di Bessie Smith, voce inconfondibile, che si è fatta racconto veritiero di quell’America retriva e violenta che si accaniva sui più sventurati, soprattutto donne, a cui lei seppe dare una speranza. Una donna del popolo, che non accennò mai ad alcuna commiserazione. Ne narrano in breve la biografia i documentari Against The Odds – The Story of Bessie Smith.
e Bessie Smith: A Poet’s Biography of a Blues Legend.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato domenica 4 Settembre 2022
Stampato il 24/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/pentagramma/bessie-smith-il-blues-e-donna/