I giovani del sit-in Gençler Meydana cantano la versione turca di “Bella Ciao” in Taksim Meydani a Istanbul
«Mi ricordo che le parole che mi hanno subito colpito sono state “O partigiano, portami via”. Per me queste sono parole di liberazione. Non importa che tu sia turco, curdo o italiano, queste sono parole forti. Bella ciao è una canzone che ti dà un’energia positiva, ti dà coraggio». Hassan, trentenne curdo di un villaggio del sud–est dell’Anatolia, in Turchia, racconta con emozione la scoperta di questo inno di libertà. Perché Bella ciao è davvero la canzone più famosa e amata della liberazione italiana, e soprattutto non conosce confini.
Persino nel campo profughi di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, nelle immagini mandate in questi giorni a tutte le ore dalle tv internazionali, ci sono quelli che cantano Bella ciao alla sera, attorno a un fuoco acceso tra il fango e le tende.
Hassan ascoltò per la prima volta l’inno partigiano a Istanbul: «Mi ricordo che partecipai ad una manifestazione di operai turchi e la ascoltai cantata in turco. Io sono di madrelingua curda ma comunque anche in turco mi fece un grande effetto. Avevo 16 anni, frequentavo il liceo».
Moltissimi ragazzi e ragazze curdi, anche giovanissimi, cantano spesso Bella ciao, oltre alle loro canzoni tradizionali. Ormai è qualcosa di identitario che ha a che fare con la lotta per l’affermazione del loro diritto a esistere, a essere minoranza riconosciuta e rispettata in un Paese, la Turchia di Erdogan, che sta attraversando un momento complesso e difficile e che li ha sempre disconosciuti. Nelle zone del sud–est del Paese c’è ormai un conflitto interno che dura da decenni con migliaia di morti, soprattutto civili.
In queste ore diverse città del sud–est della Turchia sono sotto coprifuoco da parte dell’esercito di Ankara. Il governo Erdogan le definisce “operazioni” contro la guerriglia del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan fondato da Abdullah Öcalan, che dal 1999 è l’unico detenuto nell’isola carcere di Imrali, nel mar di Marmara. Diverse Ong internazionali invece hanno parlato delle centinaia di vittime civili, anziani, donne e bambini che hanno perso la vita nelle città del sud-est curdo negli ultimi mesi. Le foto che girano sui social network mostrano tank lungo le strade, muri pieni di fori di proiettili e macerie ovunque persino nell’antico centro storico di Diyarbakir (conosciuta come la capitale curda, ndr) da poco entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’Unesco. Sembrano immagini della Siria e invece sono città della Turchia.
«Bella ciao mi fa pensare alla mia terra. È una canzone che ho sempre ascoltato in varie iniziative di sinistra sia di turchi che di curdi nel mio Paese – continua Hassan – . E poi la cantiamo sempre al Newroz, il nostro capodanno che si festeggia nel Kurdistan turco, in Turchia, nelle città europee dove c’è la diaspora curda, il 21 marzo».
Il Newroz, che vuol dire “nuovo giorno”, è una festa che risale alla primavera del 612 a.C. quando il fabbro Kawa, come narra la leggenda, liberò il popolo dei Medi dalla tirannia assira uccidendo il re Dehaq. Gli antenati dei curdi erano già stati costretti a rifugiarsi sulle montagne per sfuggire all’oppressione e alla schiavitù. Per comunicare la liberazione ai compagni, Kawa accese dall’alto del castello in cima a una montagna un grande fuoco che scatenò altri fuochi che annunciavano al popolo la libertà finalmente conquistata. Anche oggi durante i festeggiamenti del Newroz i curdi accendono un grande fuoco simbolo di rinascita, di purificazione e di libertà. Con la nascita del movimento nazionale curdo alla metà del XIX secolo il popolo curdo ricordò l’eroismo del fabbro Kawa trasformando il Newroz in una festa nazionale in cui si rinnovano la lotta e le rivendicazioni di questo popolo contro l’oppressione e le ingiustizie.
«Tutti i cantanti e i gruppi cosiddetti “rivoluzionari” in Turchia hanno cantato e cantano Bella ciao durante la festa del Newroz – ci dice Hassan –. È diventata ormai una canzone internazionalista. Col tempo l’ho imparata anche in italiano. Mi ricordo che la prima volta che l’ho ascoltata qui in Italia era il 2005, ero appena arrivato e degli amici mi hanno portato alla festa del Primo maggio».
Il riferimento alla montagna che c’è in Bella ciao, poi, evoca la storia dei curdi. “Gli unici amici sono le montagne” è il detto che rappresenta meglio le vicende del popolo curdo e la loro storia travagliata di popolo senza uno Stato nel Medio Oriente. «I partigiani hanno a che fare con le montagne, elemento per noi curdi fondamentale. La montagna ti nasconde, ti protegge, è l’unico rifugio per i partigiani», racconta Hassan. «La lotta partigiana, per noi curdi che chiediamo diritti, è un modello. Per me la cosa più importante dei partigiani italiani che lottavano per la liberazione dal nazifascismo era che non erano solo uomini, c’erano anche le donne. Hanno lottato insieme, hanno preso in mano le armi per difendere l’Italia dai soprusi dei fascisti», spiega. Come le ragazze curde siriane di Kobane che hanno difeso la loro terra dal Daesh, il sedicente Stato islamico.
«La storia si ripete, sono le stesse cose. Si lotta contro i fascisti, contro le ingiustizie. E poi quando l’Italia è stata liberata, i giovani rivoluzionari italiani sono scesi nelle piazze e hanno cantato la libertà. Questa è la speranza anche per il mio popolo».
Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi
Pubblicato lunedì 21 Marzo 2016
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