“Io sono il fado liberato. Quando sono sul palco faccio quello che voglio”. Amália Rodrigues
Amália Rodrigues, la voce del Portogallo. Una voce che ha rivoluzionato il canto tradizionale del suo Paese, il fado, innovandolo nel nuovo genere fado-canzone e consegnando le musiche a testi eruditi, poesie di compositori colti. Neppure fadisti, ma che con lei, con il suo modo naturale di cantare, lo sono diventati. Perché la sua voce, tutto trasformava in fado.
Storia antichissima quella di questo genere musicale, le fonti ne individuano un’origine ottocentesca nel Brasile coloniale. Nei salotti di Rio, nelle feste di nozze si danzava il fado: “Una danza voluttuosa – si legge nel romanzo Sergente della Milizia del brasiliano Manuel António de Almeida, del 1855 –, così varia che sembra figlia del più accurato studio dell’arte […]. Quando il fado comincia fa fatica a finire; termina sempre verso l’alba, quando non dura giorni e notti intere di fila” [Almeida, p. 53]. Si sa che era accompagnato dal suono dalla chitarra e che ai passaggi strumentali si alternavano quelli vocali. Certamente lontano dal fado portoghese, è probabile che ne rappresenti, però, il punto d’inizio. Da qui, non tarderà, poco dopo, ad affermarsi in Portogallo, soprattutto negli ambienti popolari, durante le feste patronali, nella fusione tra danze tradizionali locali e danze d’importazione afrobrasiliana, dalla forte carica sensuale. Perché, benché il carattere lamentevole e perfino lacrimevole delle melodie, esiste una pulsazione ritmica che fa del fado una musica per la danza, per il movimento sinuoso dei fianchi, per un ferino gioco di coppia.
Si diffonderà soprattutto nelle cosiddette “case di fado”, spazi di bohème e prostituzione lisbonesi. Con il termine, che ha il significato di sorte e destino, si identificava così un universo ai margini della “buona società”. Ma se quella vita di perdizione da una parte veniva condannata al biasimo morale, dall’altra, se ne prospettava anche una velata accettazione. Una specie di “male necessario” per cui giovani donne subivano la condizione della vergogna e del disonore più per sventura e destino avverso, appunto, che per miseria o disperazione. E per questo dovevano essere compatite più che disprezzate.
Col termine fadista, inizialmente associato solo alla prostituta, poi, si indicheranno anche i soggetti maschili legati agli ambienti della marginalità: “Il fadista – scrive Rui Vieira Nery – non ha una professione fissa, è legato a una serie di attività marginali, dal furto al contrabbando e al gioco clandestino, e può perfino essere assoldato come picchiatore per episodiche azioni violente; spesso è anche il ruffiano che sfrutta il lavoro di una o più prostitute della sua zona di azione” [Il fado, p. 30].
La prima considerazione critica rivolta al fado, dunque, non poteva che essere estremamente negativa: “Una piagnucolosa elegia da taverna, carcere o postribolo – scrive de Almeida –, nata non dalla sensibilità candida del popolo, ma nelle viuzze della Madragoa e Mouraria, nei sobborghi di Chelas, Alcântara e Beato, nelle osterie di Penha e nelle bische di Ajuda, ovunque i calafati e fannulloni alimentano promiscuamente i propri vizi violenti e i propri fumanti amori di bestie feroci. È in questa carne della miseria di delinquenza innata o occasionale che tende a perdurare nelle teste l’idea di un destino eschileo, fatidico, fuori dalla società e dalla legge, da cui i fadisti meravigliosamente tirano fuori lieder di poesia lirica, criminale, ardente, dissoluta, ululando lamenti e gemiti prolungati, confessando la debolezza di vinti e l’inutilità di reagire al destino” [Fialho de Almeida, Soggiorni d’arte e di nostalgia, p. 387].
Una canzone di depravati, sfogo di perdigiorno che inneggiavano al crimine, alla miseria, alla gergalità, al cattivo gusto, diranno alcuni critici.
Non mancherà chi, invece, cercherà di concedere al fado dignità di canzone nazionale, figlia di frange popolari ai margini, capaci di esprimere, nel racconto della vita quotidiana dei quartieri poveri, un misto di rivolta e amarezza per le sfortune e le diseguaglianze sociali: “Con il Fado tutti cantano e tutto si dice! Nel suo cuore ci sono: Anima, Sentimento, Energia, Cuore!” [Sousa, Il Fado e i suoi censori, p. 6]. Si scontreranno con le critiche degli intellettuali socialisti e repubblicani convinti che il fado promuovesse atteggiamenti politicamente reazionari, adottando il fatalismo e l’accettazione passiva delle condizioni sociali avverse invece di intervenire e cambiarle attraverso l’azione politica riformatrice.
Le tematiche originarie sono molteplici: l’amore fisico e sensuale, le sofferenze e le fatiche delle classi sociali reiette, la vita popolare con la cronache di eventi di strada e di quartiere, i conflitti sociali e religiosi, la morte e gli eventi traumatici che impressionano l’opinione pubblica.
Ma il fado è una canzone destinata a cambiare temi e pubblico nel corso del tempo. E a creare delle vere e proprie eroine, come Maria Severa, morta a ventisei anni, amante del conte di Vimioso, una delle prime straordinarie cantanti di fado.
Tra il 1850 e il 1870 Lisbona conta su una classe media in piena espansione, una piccola borghesia fiorente, attiva nel commercio come nell’industria e nella pubblica amministrazione. Una classe interessata a nuovi divertimenti, a frequentare teatri dove assistere a spettacoli musicali. Sono i teatri ora ad accogliere il potenziale spettacolare del fado, confezionando spettacoli proposti dagli attori del teatro musicale tradizionale che imitano i fadisti. Si dovrà attendere il XX secolo per vedere in scena veri e propri fadisti. Ma intanto il fado fa la sua comparsa nei teatri, nei salotti piccolo-borghesi insieme alla canzone sentimentale e alle arie d’opera. Tanto più che ora i circoli bohémienne della notte lisbonese attraggono giovani studenti, borghesi e aristocratici che arrivano per lo più dal grande polo universitario di Coimbra. Non sorprende, quindi, che poco dopo il fado giungerà anche negli ambienti accademici di quella città, merito inizialmente del giovane studente di Medicina José Dória. Svilupperà caratteristiche proprie, tanto da guadagnarsi la specifica definizione di Fado de Coimbra. Le tematiche tipiche di questi canti ruotavano attorno alla vita studentesca, con l’affermazione di autonomia individuale, i contrasti con l’autorità famigliare, l’iniziazione amorosa. Sia e temi che le forme tenderanno sempre più a differenziarsi dal fado di Lisbona, privilegiando uno stile sempre più sofisticato sul piano tecnico-musicale e testi più articolati.
Se era chiaro che il fado era andato incontro a una vera e propria rivoluzione: da canto di taverna, per mendicanti e prostitute ora conquistava spazi delle élites culturali, dei giovani universitari, borghesi e aristocratici, era anche vero che nelle sue forme più veraci si ascoltava nei luoghi d’incontro per eccellenza della popolazione maschile dei quartieri popolari, lungo una rete interna alla città dove osterie e cantine si disponevano lungo le vie d’accesso, attraversate da commercianti, venditori, artigiani che trasportavano le loro merci. La nascita di comunità operaie, in seguito al fenomeno dell’industrializzazione già dalla fine dell’Ottocento, poi, determinerà la nascita di un nuovo fado, un fado di genere socialista, inaugurato da Um de maio, alerta! alerta!, un testo militante dedicato al Primo maggio, festa che il movimento operaio portoghese celebrava per la prima volta come Festa dei lavoratori nel 1890. Si scriveranno ora fado di critica sociale, con tematiche anticlericali e socialiste.
L’introduzione della registrazione sonora in Portogallo, dal 1904, concorrerà a incentivare un graduale processo di professionalizzazione dei fadisti e ad accrescere la loro fama e riconoscimento sociale. Anche i cinema, agli inizi degli anni Trenta, investivano sulla notorietà del fado invitando i fadisti importanti a esibirsi sul palcoscenico durante gli intervalli. E poi i grandi teatri come l’Apollo, l’Eden-Teatro, il Politeama di Lisbona si lanciavano in produzioni di riviste, commedie musicali e operette in cui il fado cominciava ad avere un ruolo di rilievo. Diventava emblema di tradizione identitaria in grado di ostacolare la penetrazione di nuovi ritmi influenzati dalla diffusione del jazz dopo la Grande guerra.
In seguito al colpo di Stato del 28 maggio 1926 che poneva fine alla prima repubblica portoghese si instaurerà la Ditadura Nacional. Durerà dal 1932 con il nome di Stato Nuovo, fino alla Rivoluzione dei garofani del 1974. In questo periodo i fadisti ottenevano riconoscimento professionale come artisti drammatici. Il fado di adesso, però, perdeva la carica eversiva, di protesta degli anni precedenti. Predominava il sentimento del tenho saudade (ho nostalgia), una specie di rifiuto della contemporaneità e un ritorno a un passato a-storico, idealizzato, che raccontava di luoghi, eroi ed eroine, figure mitiche dell’era pionieristica del genere. Il fado rappresentava solennemente l’identità nazionale, ma verrà regolamentato, circoscritto, epurato, reso rispettabile. La preoccupazione dello Stato Nuovo, tipica dei regimi totalitari che negli stessi anni dominano l’Europa, era quella di costruire un discorso ideologico per il settore artistico affinché questo potesse fungere da pilastro di sostegno del potere. Un pilastro che facesse perno sui grandi principi ipernazionalisti e cattolici: Dio, la Patria, il prestigio dell’autorità politica, la famiglia, il lavoro e i suoi doveri. Il regime tollererà il fado purché opportunamente controllato nelle pratiche, negli spazi, nei contenuti poetico-ideologici. Ci vorrà un’artista come Amália Rodrigues a rivoluzionare il genere, a cantare la disperazione e la povertà della gente ai margini come lei, anche in quegli anni. “Il fado, quando cominciai – dirà – era costretto, era come se avesse avuto una stanza sola e il mio modo di cantare gli ha regalato altri due vani. Perché non c’era niente dentro quella stanza che mi permettesse di fuggire. La mia voce voleva scappare da lì, ma sbatteva contro la porta. Dovevo cantare a modo mio” [Vítor Pavão dos Santos, Amália Rodrigues, una biografia, p. 139].
Amália da Piedade Rodrigues nasce nel 1920 in una famiglia così numerosa che nessuno, né il padre, la madre, gli zii, i fratelli maggiori, nessuno ricorda il giorno in cui lei sia venuta al mondo. Così lo deciderà lei quando festeggiare il suo compleanno: sceglierà il 1º di luglio, perché la nonna le aveva detto che quando lei era nata era il tempo delle ciliegie. Solo molto più tardi, recuperando alcuni documenti, le verrà comunicata la sua vera data di nascita, il 23 luglio. Ma lei preferirà mantenerle entrambe così da celebrare il suo compleanno due volte all’anno.
Nasce a Lisbona. Ma è un caso, la sua famiglia è di Beira Baixa, si sono trasferiti nella grande città perché suo padre vuole trovare un lavoro. Come sellaio o come calzolaio. Ma non è fortunato, così i suoi genitori tornano a Fundão e lei resta lì con la nonna, che ha figli già grandi e una vita più sicura. I figli sono sedici e con loro ci sono i nipoti: quando ci si riunisce tutti è una gran festa. Pranzi, cene, si cantano le canzoni tipiche del paese, quelle di Beira Baixa.
Canta subito da bambina. Canta tutto il giorno, tanto che la nonna a volte le intima di stare zitta. Così, lei canta solo se non l’ascolta nessuno. Quando le chiedono di andare da qualche zia o amica di famiglia, fosse anche per guadagnare venti scudi, la voce le si chiude in gola. La timidezza di Amália non sarà mai cosa facile da gestire.
Solo il nonno riesce a farla cantare. Le si siede di spalle e mentre lei canta tanta gente che passa davanti alla finestra si ferma per ascoltare. Canta, canta, le dice il nonno intanto che la gente sfila davanti e lascia cadere qualche moneta. Le canzoni le impara un po’ in famiglia ma soprattutto al cinema. Nei film di Carlos Gardel qualcuno canta sempre un tango.
La nonna la manda a scuola quanto basta. A dodici anni Amália è già pronta per imparare un mestiere: la ricamatrice. Ma a quattordici anni torna a vivere con i genitori, i fratelli e sorelle. Nella miseria e nella povertà: “Ci mettevamo tutti attorno al braciere – dice –, mettevamo le coperte a scaldare per farle diventare belle calde. Se pioveva in casa, mettevamo le bacinelle, le casseruole e le pentole a terra, per raccogliere la pioggia. E per noi era normale” [Amália, una biografia, p. 33].
Per fortuna c’è il canto. Quando è il momento della Marcia di Alcântara, con le arie popolari delle feste patronali, è la sua voce che tutti vogliono come colonna sonora della sfilata. Canterà come solista il Fado de Alcântara. Per la prima volta Amália ha un grande pubblico e per lungo tempo si parlerà di lei e di quel fado che quel giorno ha entusiasmato la festa.
Un signore che la sente la convince ad andare al Retiro da Severa un locale dove l’impresario Jorge Soriano fa suonare musicisti importanti e fa le audizioni agli sconosciuti. Amália intona lo stesso Fado de Alcântara e mentre canta le persone al piano di sopra piano piano scendono ad ascoltarla. Quando finisce in tanti la applaudono. La sua voce è speciale, le chiedono subito di fare parte del cast.
Amália non ci può credere, ma sono i famigliari a stroncare ogni progetto: cantare il fado è una vergogna, una macchia che sporca l’immagine di una giovane donna per bene. Però gli organizzatori non si danno per vinti, la vanno a cercare a casa, parlano con i genitori: cantare il fado è una professione come un’alta, e poi si guadagnano certo più soldi cantando che vendendo mercanzie. La madre si convince, così Amália ritorna al Retiro da Severa, firma un contratto in esclusiva e da quel momento cantare sarà il suo mestiere. Cinquecento scudi al mese per dieci giorni di lavoro.
Debutta nel luglio 1939. Le hanno comprato vestiti e scarpe che poi scaleranno dal suo stipendio. Canta le canzoni che conosce, tre fado: il Fado de Amália Rebordao, Nao sou mulher piegas e soprattutto Ai Mouraria, malinconico tormento d’amore, musicato da Valério do Vale. Una canzone che canterà per tutta la vita, perché quando la canta “c’è subito una corrente che si stabilisce. Mi piace la musica, mi piacciono i versi. Qualcuno che parla di una strada di un quartiere, di amori che ha avuto e che ha perso” [Amália, una biografia, p. 77].
E con questo repertorio poco dopo andrà in tournée, la fama della sua voce passa di bocca in bocca. Al paese, però, in famiglia e tra gli amici, c’è chi ha smesso di rivolgerle la parola: cantare il fado è cosa più che sconveniente, solo per donne di malaffare. Ma a lei non importa, non ha certo complessi per il successo che le sta capitando. Un impresario una sera la va a sentire, le chiede del suo compenso, troppo basso per tutto quel talento. Ci penserà lui a farlo salire alle stelle: mille scudi a serata tanto per cominciare.
Il repertorio si amplia e ci sono poeti che scrivono brani per lei. Il primo è Fernando de Freitas che compone Ronda dos Bairros. E poi tanti altri: chi vende, chi regala, chi scrive capolavori come Lenda das Rosas, La porque tens cinco pedras: Tu hai superbia e vanità/Io ho le pietre della strada/Per camminare a volontà.
e Da-me o Braço Anda Dai, canzone per un uomo che tra due donne deve scegliere colei che sa cantare il fado.
Altri scrivono per lei Carmencita, storia di una gitana bella come un sogno;
Troca de Olhares, canzone d’amore passionale: Gli sguardi che ti rivolgo/Dal momento in cui ti ho visto/Sono le parole del mio petto/Che muore d’amore per te!
https://www.youtube.com/watch?v=Wi0ZQUgz9Jk
Perché il fado è questo struggimento continuo, la malinconia di quello che potrebbe essere e non è, l’amore impossibile che non si vuole accettare, la sofferenza inevitabile, l’emozione che non si contiene. È un fado tutto nuovo, un modo di cantare che crea atmosfere struggenti: “Quello che conta è sentire il fado – dirà Amália –. Perché il fado non si canta, accade. È un avvenimento. È questo che mi fa paura, perché non so mai cosa mi succederà. Il fado si sente, non si comprende né si spiega” [Amália, una biografia, p. 56].
A ventitré anni Amália canta in una Lisbona frizzante, vivace e che si vuole divertire. Ristoranti, nights, musica, tango, samba, valzer, tanta gente e tanta animazione. Ogni sera, amici e ammiratori.
La fama porta anche tante chiacchiere sul suo conto, come quelle che la danno fidanzata di Re Umberto. In realtà è solo un suo grande ammiratore, uno che la va a sentire ogni volta che lei canta al Luso a Lisbona. Come tanti altri spasimanti, corteggiatori, nobili, conti, personaggi importanti di Barcellona o di Parigi.
Il successo nei locali di fado è tale che poco dopo è scritturata nei maggiori teatri di Lisbona come attrazione di spettacoli di rivista. Le piace il teatro, con le distanze tra il palcoscenico e il pubblico, uno spazio per guardare da lontano la moltitudine di gente. Un pubblico che, tra operette e riviste, cresce di spettacolo in spettacolo tra il 1940 e il 1947.
I concerti all’estero sono la grande conferma del talento di Amália. È in Brasile per la prima volta nel 1944 e da allora ci tornerà sempre più spesso. È la prima artista portoghese che lavora al Casinò di Copacabana, il posto più importante del Brasile. E anche lì canta il fado, la musica per cui in tanti le hanno voltato le spalle. Quando si presenta al Casinò, invece, per lei hanno già preparato abiti sontuosi, con i ricami d’oro.
Canta alla boîte Night and Day, e al Teatro Repùblica. Canta il Fado do Ciùme, un canto d’amore tormentato, di una donna che chiede a un uomo di scegliere lei,
e Tuto Isto È Fado, creato per lei per una rivista. Qui Amália racconta la magia del fado: Amore geloso/Cenere e fuoco/Dolore e peccato/Tutto questo esiste/Tutto questo è triste/Tutto questo è fado/Il fado è la mia punizione.
Ha così tanto successo che ogni volta, alla fine di ogni concerto, la riempiono di fiori, corbeilles alti come alberi che lei porta alla statua di Nostra Signora di Copacabana. Dopo di lei saranno in tanti a portare fiori, a ringraziare forse per qualche miracolo, tanto che vi costruiranno una chiesa, con la gradinata piena di candele e fiori.
Quando Amália va in Brasile la prima volta non esiste un locale preciso dove cantare il fado, sarà grazie a lei che nascerà la Casas de fado a Rio e a San Paolo. E uno spettacolo, Um Amor de Amália, in cui oltre a cantare Amália racconta episodi della sua vita. Recita, canta con un’orchestra e un coro, le scenografie sono suoi ritratti, alti più di due metri.
Il Brasile è la sua seconda casa e non è così diverso il fado dalla samba: “La stessa tristezza della melodia, la stessa tristezza nelle parole. Solo che poi è mascherato dall’allegria africana” [Amália, una biografia, p. 82]. In Brasile, a Rio de Janeiro, andrà a vivere per un po’, nel 1961, appena sposata con Cesar, un ingegnere meccanico. Ci resterà dieci mesi, poi via di corsa in Portogallo.
Incide i suoi primi dischi per la Continental e recita in alcune pellicole che la rendono ancora più popolare. Il suo esordio è con Capas Negras del 1947 e poi Fado che in parte racconta episodi della sua vita, le sue origini. È in questo periodo che Amália verrà davvero scoperta come grande artista in Portogallo. Ci volevano i cordoni a tenere lontana la folla quando lei presenziava alle proiezioni. E quando si soffermava per cantare qualcosa alla fine era una follia collettiva. Amália canta al Luso, al Casinò dell’Estoril e al Comboio das Seis e Meia: “La mia vita artistica in Portogallo equivale a una specie di matrimonio che una persona fa a vent’anni e che poi dura fino alla fine della vita” [Amália, una biografia, p. 88].
Perché Amália è inscindibile dalla musica della sua terra: “Quello che canto in portoghese e spagnolo non è forzato. Non mi costa niente, anzi mi libera. La voce può andare dove vuole” [Amália, p. 95]. È così libera che può decidere cosa cantare: ci sono i libri di poesia da cui prendere fados e inventarsi delle musiche adatte. Amália è la prima a portare al fado poeti che non erano di quel mondo. Come Joaquim Campos, che scrive Fado Vitoria, un canto drammatico conosciuto anche come o Povo Que Lavas No Rio, un canto che Amália interpreta ogni volta in modo diverso, un canto di disperazione sulla terra da difendere anche con la vita.
Qui in una versione successiva.
È il fado. È quel miracolo che avviene quando Amália fa uscire la voce. Che la gente si alza se è seduta o si inginocchia se è in piedi. E piange, o ride, si emoziona, anche se del testo non ha capito una parola.
Certo, prima di lei era diverso. “Il fado era uno spettacolo come tanti – dice –. C’erano le casas, come il Retiro da Severa, dove si andava ad ascoltare il fado, che era frequentato dall’alta società, dagli snob e dal popolo. La classe media non ci andava. Dopo la chiusura del Luso, che chiuse quando mi sposai e andai a vivere in Brasile, non c’era più un posto dove cantare, se non ogni tanto al Casinò do Estoril. Fui io a dare vita alle prime casas de fado, il Mesquita, il Machado” [Amália, p.129].
Parigi la adora da subito, da quando Amália si esibisce al Chez Carrère, una boîte chic e frequentata da artisti e scrittori. Una sera ci sono anche Rita Hayworth e Ali Khan che si sono appena sposati.
A Londra, invece, canta al Ritz e poi in Italia, a Roma, al Teatro Argentina. Lei è parte di uno spettacolo organizzato per l’avvio del Piano Marshall. Ci sono cantanti che rappresentano i vari paesi d’Europa. Sono tutti cantanti lirici, tranne lei. Fernando Pessoa in persona, insieme a degli americani la convince ad accettare. A Roma, nel grande teatro d’opera, suona un’orchestra prestigiosa e tutti hanno grandi voci da tenore e da soprano. Quando tocca a lei cantare accompagnata da una chitarra ha il terrore che la gente non la capisca. Invece, ha così successo che quando scende dal palco ride e piange insieme tanto forte che ha un mancamento.
Anche il Messico l’accoglie osannandola. Nella boîte Versalles dell’Hotel del Prado le chiedono spesso di cantare rancheras spagnole. Così, lei canta Fallaste Corazòn:
A New York, nel 1952 canta al night Le Vie en Rose, un impresario che l’ha sentita, amico del proprietario, l’ha invitata. Ha in programma di trascorrere solo quattro settimane nella grande città, ma ce ne resta quattordici. La sera al Le Vie en Rose c’è anche Edith Piaf, ad ascoltare il suo fidanzato Jaques Pills che canta con Amália. Quando i due si sposano la inviteranno al matrimonio.
Ci sono anche il Lincoln Center e l’Hollywood Bowl dove esibirsi, i locali più difficili per un artista leggero, in America. Al Mocambo di Hollywood tutte le star importanti vanno ad ascoltarla. I giornali la definiscono Amália, the canary. Una sera durante un ballo all’hotel Wardorf-Astoria un’orchestra suona per gli invitati che danzano in una sala di stucchi dorati. Uno dei musicisti la sente cantare Lisboa Antiga e le chiede la partitura per pianoforte. Lei non la conosce, ma gli canticchia la musica ed è così che quella canzone portoghese comincerà a circolare in America del Nord: Lisbona, città vecchia/Piena di fascino e bellezza!/Sempre sorridente così bella.
Nel 1954 dei francesi sono in Portogallo per girare un film e cercano una persona che canti. Comprano dischi, ascoltano artisti e alla fine vogliono conoscere lei. Quel film le darà enorme notorietà, più di quella già raggiunta cantando in America. Non ci sono radio o televisioni quando Amália comincia a cantare e quello che si sa di lei è ciò che passa di bocca in bocca: “Amália, la passione di Lisbona”, “Amália, principessa del fado incantato”, “Amália, anima del fado”.
Il film è Gli amanti del Tago e la canzone che fa da colonna sonora è Barco Negro.
Il film non ha grande successo ma gira il mondo e la voce di Amália arriva ovunque. È grazie a Barco Negro che Amália varca le soglie dell’Olympia, un luogo sacro, dove già solo potercisi esibire è una consacrazione. Comincia lì come vedette americana, cioè l’artista che chiude la prima parte dello spettacolo. Allo scadere del contratto le chiedono di rimanere. Tornerà all’Olympia come prima vedette e i francesi che impazziscono per lei. Canterà al Bobino, all’ABC. Tre, quattro mesi di seguito alla Tête de l’Art e al Villa d’Est. Per lei vorrebbero una casa de fado, la Maison du Fado e il sindaco le consegna le chiavi della città e la Medaglia di Parigi. Tutto perché lei resti. Ma è il Portogallo la sua terra, che la chiama ogni volta che lei si allontana per un po’: “Parigi fu molto importante per me – dice -. Ma non mi diedi mai da fare, non cercai mai di mantenere il successo come fanno gli altri artisti. Tornavo sempre in Portogallo. Non andai mai a cercare il successo. Non cantai mai le cose che erano di moda. Ma fu grazie a Parigi che andai in Giappone, in Russia, nei paesi arabi, nei paesi scandinavi, in Israele, in Olanda, in Italia. Senza Parigi non avrei mai avuto una carriera internazionale” [Amália, p. 129]. In Africa, durante la guerra coloniale, le chiedono di cantare per i soldati. Canta a Beirut, in Tunisia al Festival di Cartagine: al teatro romano ci sono ottomila persona che alla fine dello spettacolo sventolano fazzoletti bianchi. Gira l’Italia in lungo e in largo tanto che le chiedono di registrare un disco di folclore. Lei non conosce né la musica né i testi, ma in tre giorni incide A una terra che amo (1973), dove interpreta grandi classici come Maremma amara
Ciuri ciuri
il Canto delle lavandaie del Vomero
Amor dammi quel fazzolettino.
“Nessuno canta il folclore nel modo in cui lo canto io – dirà –. Le autentiche cantanti di folclore hanno delle voci molto alte. Le canzonette non hanno niente a che vedere. È un cantare cantato. Il mio modo di cantare non è una stilizzazione. Penso che se appartenessi a un gruppo folclorico, canterei esattamente come canto, e nessuno mi direbbe di cantare in un altro modo […]. Canto come una persona che sta camminando in campagna, o per la strada. È proprio un cantare cantando” [Amália, p. 160].
A Tokio piace così tanto la sua voce che dal suo spettacolo viene registrato un disco. In Giappone, grazie a lei, i giovani imparano a suonare il fado. In Giappone Lagrima, il canto sull’inesorabilità del patire umano per amore, ha quasi più successo che in Portogallo: Stendo il mio scialle/stendo il mio scialle per terra/stendo il mio scialle/e mi abbandono a dormire/Se sapessi/se sapessi che con la mia morte/tu proveresti/tu proveresti il desiderio di piangere/Per una sola lacrima/per una lacrima tua/che allegria/mi lascerei ammazzare.
Tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta Amália comincia una importante collaborazione con poeti colti con i quali rinnova stile, forma e temi del fado classico. Sono David Mourão-Ferreira di cui canta Primavera: Il pane duro della solitudine,/da mangiare ora/c’è solo questo./Che importa se il cuore/dica sì o no,/che importa se continua a vivere./Tutto l’amore che ci prendeva/Si scioglieva e disfaceva,/si trasformava in paura./Nessuno parla in Primavera,/vorrei, volesse il cielo,/esser morta quel giorno.
Ma soprattutto Abandono, testo scritto in occasione della prigionia di un oppositore del regime nel forte di Peniche:
Per il tuo libero pensiero/Lontano ti hanno rinchiuso,/ Così lontano che il pensiero/ Non riesce a raggiungerti. /E soltanto senti il vento, /E soltanto senti il mare.
E poi le canzoni dedicate a Lisbona: Maria Lisboa, con la città personificata: È di conchiglie il vestito;/sono alghe i capelli;/e nelle vene, come un rimorso,/il rombo del motore di un peschereccio./Vende sogni e mareggiate,/preannuncia tempeste./Il suo nome, Maria./Il cognome, Lisboa.
e Madrugada de Alfama con la descrizione dell’antico quartiere di Alfama.
E poi c’è Alain Oulmain. Uomo di sinistra, verrà arrestato dalla PIDE, la polizia del regime di Salazar, e poi espulso dal Portogallo. Compositore e grande conoscitore dei poeti più interessanti della letteratura portoghese. È grazie a lui che Amália riesce a espandere la lirica fadista oltre le formule abituali. Nel 1962 inciderà diversi fado di Oulmain, tra cui Vagamundo, un testo che manifesta la nuova forma del fado-canzone con strofe e ritornello, la metrica irregolare, rime non sempre presenti e che ritorno sul tema dell’ineluttabilità di un destino tormentato per gli amanti: Ho già detto addio a così tanta terra, così tante persone!/Non ho mai sentito il mio cuore così sofferente/Irrequieto di sapere che il tempo passerà/E dimenticherai il nostro fado!
Infine Luis de Macedo, di cui registra Vida Enganada: Una vita senza amore/È vita senza vita,/Vita ingannata.
https://www.youtube.com/watch?v=Del1xqa3QcA
Tra le canzoni che l’hanno resa celebre ci sono anche Consaço
e Meu Amor è Marinheiro
Vou Dar de Beber à Dor o Mariquinhas di Alberto Janes è uno dei maggiori trionfi, Amália vende più di centomila copie. Racconta di una casa trasformata in un banco di pegni:
I ricordi del calore/e della melanconia, un sapore /che cercherò di annegare/in qualche ginjinha,/ché dare da bere al dolore è la cosa migliore,/come diceva la Mariquinhas.
Ne faranno varie versioni: in italiano diventerà La filanda interpretata da Milva.
https://www.youtube.com/watch?v=dZlaRmjOhM4
Si succedono nuovi album lungo tutti gli anni Sessanta mentre negli anni Settanta canterà le liriche di Luìs Camões, di Charles Aznavour, come Ai mourir pour toi,
https://www.youtube.com/watch?v=UmOaG88pw2A
di Salvatore Adamo e Sergio Endrigo. Straordinaria la sua Canzone per te.
Il 25 aprile 1974 avviene un fatto che sconvolge la sua esistenza: “Vivevo da molti anni in un Paese in cui le persone mi applaudivano, mi sorridevano, mi aprivano le porte che erano chiuse. Era un Paese pieno di gente che mi voleva bene. Da un momento all’altro venne fuori una gran maldicenza su di me e tutti ci credettero” [Amália, p. 169].
È durante la Rivoluzione dei garofani, che lei viene presa a bersaglio e discriminata duramente per esser stata, pur senza colpa, un simbolo del Portogallo di Salazar. Un potere che intese trarre vantaggi dal successo internazionale dell’artista. Il colpo di Stato incruento attuato nel 1974 da militari dell’ala progressista delle forze armate del Portogallo poneva fine al lungo regime autoritario fondato da António Salazar e portava al ripristino della democrazia nel Paese dopo due anni di transizione tormentati da aspre lotte politiche. I settori più radicali della sinistra accuseranno il fado di aver sostenuto il regime deposto. Di lei si dirà addirittura fosse della PIDE. Amália si ritroverà esiliata, accusata di essere stata una sostenitrice del regime e intensificherà le tournée all’estero. In pochi si schierano a sua difesa: Alain Oulmain scriverà lettere a República, altri sul Século, ma in molti, per codardia, preferiranno tacere. Così anche il fado sarà quasi completamente bandito dalla radio e dalla televisione statalizzate.
Ma già nel 1976 il fado tornava a essere il canto rappresentativo della cultura portoghese e Amália realizzava uno spettacolo celebrativo sulla sua storia. In quell’anno verranno anche ripubblicate le registrazioni dal vivo degli anni Cinquanta, una importante iniziativa di recupero del patrimonio fonografico storico. Fino agli anni Ottanta continuerà a incidere nuovi album e grandi successi come Lavava no Rio, Lavava, canto sulla sofferenza di una vita passata nella fame e nella miseria,
Trago Fado nos Sentidos, racconto del fado come destino di tristezza inevitabile: Io porto i fado nei sensi/Tristezza nel cuore/Porto i miei sogni persi/In una notte di solitudine.
https://www.youtube.com/watch?v=7TD_rDoekJE
Riceverà dal sindaco del comune di Lisbona la medaglia d’oro della città e continuerà a rappresentare nel mondo la cultura del fado con le atmosfere, le storie, i temi: il fatalismo e la rassegnazione compiaciuta del proprio dolore, la passionalità lugubre, un atteggiamento di rinuncia che appartiene a tutte le classi sociali, ricchi e poveri, di destra o di sinistra: “Il fado è sapere che non si può lottare contro quello che abbiamo. È quello che non possiamo cambiare. È chiedere perché e non sapere il motivo. È non smettere di chiedere e, allo stesso tempo, sapere che non c’è risposta” [Amália, p. 189].
Poi, la voce del Portogallo, la divulgatrice della cultura portoghese nel mondo, dopo aver vissuto i suoi ultimi anni in ritiro nella sua celebre casa di Rua São Bento, a Lisbona, moriva, malata di cancro, la mattina del 6 ottobre 1999.
Di lei resterà per sempre una voce incantatrice e un’immagine ammaliante. In una scena essenziale e scarna lei, con indosso un lungo vestito nero, uno scialle dello stesso colore e una spilla brillante a chiuderlo, davanti ai suonatori di chitarra e non indietro come era usanza in passato. Una gestualità incisiva e iconica: la testa inclinata indietro, gli occhi socchiusi, le mani in gesto di preghiera e le braccia aperte per accompagnare il finale di un brano. La forza, l’emozione, la sensualità, la disperazione tutto nella voce e nel corpo di Amália Rodrigues.
Ecco una raccolta dei suoi più celebri fado:
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato venerdì 18 Maggio 2018
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