“Il grande compito umanista e storico degli oppressi è liberare se stessi e i loro oppressori”: così scrive il filosofo ed educatore brasiliano Paulo Freire, uno degli autori più letti e celebrati della pedagogia mondiale, lo scorso anno se ne è celebrato il centenario della nascita. Paulo Reglus Neves Freire nasceva il 19 settembre 1921, a Recife, capitale del Pernambuco, Stato nel nordest del Brasile. Era figlio di un capitano della polizia militare e aveva tre fratelli. Nonostante appartenesse alla classe media, la famiglia visse povertà e fame durante la Depressione del 1929 che fece sentire i tragici effetti anche nel Paese tropicale.
Questa esperienza lo avrebbe segnato per sempre, spingendolo a preoccuparsi dei più poveri e diseredati con la creazione di un rivoluzionario metodo di alfabetizzazione. Studiò giurisprudenza all’Università di Recife e contemporaneamente Filosofia del linguaggio, diverrà avvocato ma non eserciterà mai la professione preferendo lavorare nella scuola come professore di portoghese. Nel 1946 è nominato direttore del dipartimento di Educazione e Cultura del servizio sociale di Pernambuco. Durante una esperienza educativa con i lavoratori del Sesi (Servizio sociale dell’industria), si rese conto che con gli analfabeti adulti c’era bisogno di una metodologia di insegnamento appropriata; cominciò allora a studiare il linguaggio popolare e a riflettere, per la prima volta, su un metodo di insegnamento per questo specifico contesto educativo.
Nel 1961 è direttore del dipartimento di Estensioni Culturali dell’università e insieme al Movimento di cultura popolare di Recife, compie una sorta di miracolo educativo con l’alfabetizzazione di 300 lavoratori della canna da zucchero in appena 45 giorni, un mese e mezzo. Il Brasile in quegli anni era governato dal presidente João Goulart, impegnato nelle cosiddette riforme di base. Interessato alle esperienze di Freire, il governo vara un Piano nazionale di alfabetizzazione con l’obiettivo di alfabetizzare in 12 mesi 6 milioni di brasiliani. Il Piano prevede la formazione di educatori e l’istituzione di 20.000 nuclei, i circoli culturali.
Freire considerava questi circoli culturali una “nuova istituzione di cultura popolare” che, ripudiando le forme passive caratteristiche della scuola tradizionale, stabiliva una diversa forma di pedagogia. Il suo lavoro nell’educazione popolare era rivolto alla scolarizzazione e alla formazione di una coscienza politica. Un impegno stroncato troppo presto dal golpe militare del 1964, che impone l’immediata sospensione del piano educativo. Freire diveniva un sovversivo per militari e proprietari terrieri. Viene arrestato e resta in carcere oltre due mesi. Liberato si rifugia nell’ambasciata della Bolívia per poi andare in Cile, ove dimora fino al 1969. Lavora come professore all’università di Santiago, nel Movimento cristiano democratico di riforma agraria e per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione.
Il suo metodo viene adottato dal Cile, utilizzato nelle campagne di alfabetizzazione. Ed è in Cile che nel 1967 Freire pubblica Educazione come pratica di libertà. Questo suo primo libro si basava sulla tesi “Educazione e attualità brasiliana” con la quale nel 1959 aveva partecipato al concorso per la cattedra di Storia e Filosofia dell’Educazione nella Scuola di Belle Arti all’Università di Recife. Nel 1968 Freire completa la stesura della sua opera più famosa: Pedagogia degli oppressi, poi tradotta in ben 35 lingue, tra cui spagnolo, inglese ed ebraico. A causa dei forti contrasti politici tra la dittatura militare e il suo socialismo cristiano, l’opera venne pubblicata in Brasile solamente nel 1974, quando il generale Ernesto Geisel assunse la presidenza ed ebbe inizio il processo lento e graduale di apertura politica.
Paulo Freire si formò anche sui testi dei Teologi della liberazione e applicò i loro principi alla sua pedagogia: Gustavo Guttierez (teologo peruviano), Leonardo Boff (teologo brasiliano), don Helder Câmara (teologo e vescovo brasiliano) leggevano il Vangelo come un messaggio di liberazione ed emancipazione sociale per i poveri, come uno stimolo per il vero cristiano che deve impegnarsi a eliminare la povertà e l’ingiustizia sociale. Freire per le sue teorie si ispirò ai classici come Platone, alla fenomenologia esistenziale di Edmund Husserl, ai pensatori moderni marxisti e agli anticolonialisti.
Per alcuni versi, Pedagogia degli oppressi può essere letto anche come una prosecuzione o una risposta a I condannati della Terra (1961) di Frantz Fanon, che sottolineava la necessità di fornire alle popolazioni autoctone un’educazione che non fosse semplicemente un’estensione della cultura del colonizzatore. Ma Freire riprende la distinzione tra oppressori e oppressi e differenzia le posizioni in una società ingiusta: l’oppressore e l’oppresso.
L’educazione per lui è sempre un atto politico, che può essere usato sia per mantenere lo status quo che per promuovere il cambiamento sociale e dovrebbe consentire agli oppressi di ritrovare il senso di umanità e superare la propria condizione. Ma affinché ciò avvenga, l’individuo oppresso deve svolgere un ruolo nella sua liberazione. Infatti “nessuna pedagogia veramente liberatoria può stare lontana dagli oppressi, trattandoli come infelici e presentandoli ai loro modelli di emulazione tra gli oppressori. Gli oppressi devono essere il loro esempio nella lotta per la loro redenzione” scrive nell’innovativo volume. Allo stesso modo, gli oppressori devono essere disposti a ripensare modo di vivere e ruolo, nell’oppressione “devono costantemente riesaminare se stessi”. “L’oppresso – prosegue il pedagogista – svela il mondo dell’oppressione e attraverso la praxis si impegna nella sua trasformazione. Nella fase successiva, quando la realtà dell’oppressione è stata trasformata, la pedagogia cessa di appartenere all’oppressore e diventa una pedagogia per l’intero popolo nel processo di liberazione permanente”.
Partendo dalla consapevolezza che l’azione di educare è legata a quella dell’imparare, la “pedagogia degli oppressi” si propone perciò non tanto di conoscere, quanto di trasformare la realtà. In questa nuova visione il maestro insegna e impara e l’alunno impara e insegna, e se entrambi hanno mantenuto la capacità di stupirsi di fronte alle meraviglie della natura e della storia, saranno in grado di avere un pensiero critico e di produrre dei cambiamenti significativi nella società. “Chi domina non ha paura del povero che abbassa la testa e ignora i suoi diritti, ma trema davanti al povero che pensa, rivendica diritti e scopre le cause della sua povertà:” – dice il teologo Leonardo Boff – “Paulo Freire con la Pedagogia degli oppressi e L’educazione come pratica della libertà mostra che spesso i poveri sono degli impoveriti, impoveriti da relazioni economiche e sociali che li sfruttano”.
Nel 1969 Freire fu invitato come professore all’Università di Harvard. Dopo un anno si trasferì in Svizzera, a Ginevra, e vi rimase per circa 10 anni lavorando come consulente educativo presso il Consiglio mondiale delle Chiese. Fu nominato esperto dell’Unesco e lavorò come consulente per la riforma dell’istruzione nelle colonie portoghesi in Africa, partecipando a numerosi programmi di educazione per gli adulti in Guinea-Bissau e Mozambico. Un esempio della sua applicazione in Africa è stata l’esperienza di São Tome e Principe, come atto di insegnamento e apprendimento della storia e della cultura nazionale. Inoltre, in Sud Africa, le sue idee e metodi furono centrali nel Black Consciousness Movement, spesso associato alla figura di Steve Biko. Con l’amnistia del 1979 Freire poteva finalmente rientrare liberamente in Brasile e lo fece nel 1980, dopo 17 anni di esilio. Fissò la sua residenza a São Paulo dove proseguì lo sviluppo della sua teoria pedagogica. Si iscrisse al PT, il Partito dei lavoratori e fu supervisore del programma di alfabetizzazione per adulti nel partito fino al 1986, anno in cui gli fu assegnato dall’Unesco il premio Educazione per la Pace. Nel 1988 il PT vinse le elezioni municipali a São Paulo ed ebbe inizio l’amministrazione di Luiza Erundina (1989-1992).
Freire venne nominato segretario dell’Educazione e ricoprì l’incarico dal 1989 al 1991. Creò il Movimento per l’alfabetizzazione dei giovani e degli adulti (Mova), un modello di programma pubblico a sostegno delle aule comunitarie per l’educazione dei giovani e degli adulti, tuttora adottato da numerose cittadine. Sempre in quella città nel 1991 venne fondato l’istituto Paulo Freire che conserva tutto l’archivio dell’educatore. Freire sosteneva che non esiste una parola che si possa definire vera se non è allo stesso tempo praxis. Quella praxis legata a una speranza che non è l’attesa, ma è la speranza di poter lottare per trasformare la realtà. Questo impegno, venticinque anni dopo la prima edizione della Pedagogia degli oppressi, lo portò a scrivere La pedagogia della speranza nella quale usò il verbo esperançar (“speranzare”), in riferimento a ciò che definiva sogni realizzabili.
La sua opera è vasta: pubblicò 25 libri sull’educazione e 6.000 articoli. Finora è stato il brasiliano più omaggiato della storia e ha ricevuto almeno 35 titoli di dottore Honoris Causa in università europee e americane. Venne a mancare il 2 maggio 1997 a São Paulo, ma il suo pensiero continua a essere vivo e applicato in molte parti del mondo. Secondo lo studioso brasiliano José Edemilson Pereira dos Anjos “nell’esperienza di dialogo, Freire unisce i concetti di incontro (soggetti), la comunione (tra esseri umani) e l’esperienza comunitaria, concetti radicati nella matrice del suo umanesimo. Attraverso il dialogo, tra sé e con il mondo, gli esseri umani si storicizzano, diventano integrati alla loro realtà, agenti nel loro contesto. Il dialogo agisce come strumento di promozione della coscienza critica, della autonomia e della responsabilità del soggetto”.
Solo nel decennale della scomparsa ariveranno le scuse ufficiali del governo brasilinao che poi, nel 2012 lo proclama “patrono dell’educazione”.
Purtroppo ancora oggi, nonostante i riconoscimenti a livello mondiale, il premier Bolsonaro si riferisce a Freire definendolo “energumeno” e, dispregiativamente oltre che riduttivamente, “idolo della sinistra”.
Il metodo Freire continua a essere applicato in Brasile anche nel Movimento dei senza terra – Mst il cui settore educativo è all’avanguardia e amplia il concetto di educazione partendo dalle sue teorie. Come sostiene Marta Helena Rozeno, pedagogista dell’Mst, “la teoria di Freire ha un ruolo fondamentale nel movimento perché le sue teorie educative aiutano ad analizzare l’importanza che riveste la formazione. Il suo pensiero fa comprendere che senza educazione non esiste Riforma Agraria e mette in evidenza la necessità di alfabetizzare gli esclusi della società brasiliana, non solo per poter leggere e scrivere il loro nome, ma anche per leggere altri mondi. Altre letture che, incluse in un progetto di trasformazione sociale, possano aiutarli a diventare soggetti autentici alla ricerca della liberazione personale e collettiva, alla ricerca della terra, ma anche di altri diritti”.
Paulo Freire, il grande pedagogo degli oppressi, riposa a San Paolo, nel “Cimitero della Pace”, lotto 185, tomba numero 22.
Antonella Rita Roscilli, giornalista brasilianista
Pubblicato venerdì 10 Giugno 2022
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