Quando e come si è acceso il suo interesse per la Resistenza italiana e per i Gruppi di Difesa della Donna?
L’interesse mio personale per questo periodo storico, in generale, c’è sempre stato; ma, in particolare, è stato nel luglio di quest’anno, alla manifestazione per il 70° anniversario della Liberazione a Col del Lys, che ho ricevuto lo stimolo: lì ho incontrato Maria Grazia Sestero (vice-presidente ANPI Torino) che mi ha fatto presente il convegno “Noi, compagne di combattimento, i Gruppi di Difesa della Donna 1943-1945”, che si sarebbe tenuto a Torino nel novembre successivo.
Maria Grazia, poi, mi ha invitato a partecipare ad una delle riunioni preparatorie: in quell’occasione ho espresso la disponibilità, la necessità di attivarmi per raccogliere più testimonianze possibili di donne protagoniste della Resistenza e sempre lì ho avuto il piacere di conoscere Marisa Ombra.
Marisa è stata anche la prima, di queste donne, che ho potuto incontrare il 10 ottobre scorso, a Roma. Da quell’intervista ho ricavato il primo documento dell’opera, e cioè Nome di battaglia Lilia, che è stato presentato in anteprima proprio al convegno sui Gruppi di Difesa della Donna (GDD), il 14 novembre.
Perché ha sentito così forte l’esigenza di mettersi a disposizione per un lavoro simile?
Perché il protagonismo delle donne durante la Resistenza deve essere in qualche modo ancora comunicato: continuano ad essere troppo pochi coloro che conoscono il ruolo strategico, fondamentale ricoperto dalle donne in quella lotta.
Vorrei riuscire a realizzare un prodotto di comunicazione che sia in grado di trasferire queste conoscenze e testimonianze ai giovani, in particolare attraverso le scuole, per stimolare in loro la consapevolezza della libertà e della democrazia, che furono lo straordinario traguardo raggiunto allora e che oggi sempre più viene dimenticato, trascurato, addirittura vilipeso: è questo che mi ha spinto ad iniziare la raccolta delle testimonianze; Marisa Ombra è la prima, ma spero di essere in tempo per ascoltare tante altre protagoniste di quegli anni.
Com’è stato l’incontro con Marisa Ombra? E quale Marisa si è raccontata di fronte a lei?
L’incontro con Marisa Ombra è stato straordinario ed emozionante, la sua vita è un modello, un esempio alto per le giovani generazioni, utile a far comprendere il sacrificio, l’impegno e la lotta necessari per conquistare una libertà che ci fa vivere anche ora in pace, in un Paese democratico.
Intervistare Marisa è stato un viaggio nella sua formazione, a partire dal ricordo del padre, “operaio colto” – come lo chiama lei stessa –, che le fece leggere a 10 anni I miserabili: anche così nacque la consapevolezza di quali fossero i diritti, i diritti violati e le ingiustizie; iniziò prestissimo il suo impegno per lavorare contro la dittatura fascista.
Successivamente svolse l’attività clandestina a favore della Resistenza con la madre e la sorella, fino a quando, a 18 anni, avvenne il primo incontro con un partigiano, da lì il suo lavoro di staffetta nelle Langhe.
Nel novembre ’43 Marisa inoltre conobbe i GDD e vi prese parte attiva. Il grande lavoro svolto da questi Gruppi di Difesa delle Donne fu riconosciuto ufficialmente, fin dalle origini, dal CNLAI, ma – aggiunge Marisa – questo riconoscimento ancora manca nei libri di testo, è mancato spesso anche da parte dei partigiani uomini: nessuno dei compagni le ha mai detto, in quanto donna, “brava, grazie”.
Si tratta pertanto di una storia di lotta che Marisa porta avanti ancora oggi, sia per quanto riguarda la questione femminile in generale, sia per quanto riguarda l’importanza specifica dei GDD (poi divenuti UDI) nel lungo percorso di emancipazione della donna, finalizzato a conquistare un’effettiva parità di diritti, percorso che ancora oggi, purtroppo, non può dirsi concluso, come ha ribadito anche pochi giorni fa l’ex staffetta “Lilia”.
Anche per questo, perché resta ancora qualcosa da fare, sono onorato di avere raccolto questa intervista “non convenzionale”, che trasferisce la sua memoria in uno strumento che spero potrà avere un’utilità pubblica, finalizzato non solo al lavoro istituzionale dell’ANPI, ma anche ad essere una strada di educazione, sensibilizzazione e formazione che possa insegnare ai giovani cosa sono libertà e democrazia e cosa è stato fatto per ottenerle: quante donne hanno subito torture, violenze, uccisioni per testimoniare il loro amore di libertà?
Come regista, come si è sentito di fronte alla testimonianza di Marisa Ombra?
Per me è stato normale, io ho fatto una scelta di vita nel mio impegno di regista. L’onore che mi ha dato Marisa è tale da stimolarmi a credere ulteriormente nella scelta che ho fatto, io sono un testimone, un tramite per le nuove generazioni per rafforzare le basi per un futuro che sia rispettoso dei diritti e della dignità delle persone. Marisa è un alto esempio, come tutte le donne partigiane che anche con il loro silenzio e il sacrificio della vita hanno permesso a noi, generazioni successive, di crescere liberi.
Questo è un valore assoluto che bisogna “ricordarsi di ricordare”, perché molti lo trascurano, si scordano quale prezzo sia stato pagato.
Nome di battaglia Lilia è solo l’inizio…
Sì, il lavoro è appena iniziato con Marisa Ombra, che ha già visto lo spezzone a lei dedicato e ne è rimasta molto soddisfatta, questo per me è gratificante e mi fa proseguire con ancor maggiore determinazione. Spero, come ho già detto, di costruire qualcosa di buono e utile per l’ANPI, ma sento, inoltre, che sto raccontando qualcosa che io ritengo necessario, non si tratta di un “di più”: è un obbligo morale ricordarci cosa hanno fatto queste donne per la nostra libertà; è una questione fondamentale per i valori stessi in cui credo.
Il lavoro, che è partito dallo spunto ricevuto dalla vice-presidente dell’ANPI di Torino (con la quale individueremo altre testimoni di allora), mi piacerebbe potesse essere concluso in tempo per il 25 aprile 2016, affinché sia un invito a riflettere su queste questioni ancora troppo poco considerate.
Sarà un film le cui protagoniste sono quelle donne che si sono conquistate il diritto di parola col loro impegno e spesso col sacrificio della loro vita. Come disse Ferruccio Parri «le donne furono la Resistenza dei resistenti […] senza le staffette la sopravvivenza dei partigiani sarebbe stata più difficile».
Pubblicato venerdì 20 Novembre 2015
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