“The most important thing about my music
is the beat.”
Antoine “Fats” Domino
New Orleans è il cuore pulsante di un vero melting pot di culture: francese, africana, tedesca, spagnola, caraibica, dei nativi americani. Gli africani ci arrivano nel 1719 su navi cariche di schiavi, un anno dopo che i francesi hanno fondato la città. Portano le loro tradizioni, come quella di suonare le percussioni e danzare al loro ritmo nelle feste rituali. Un gesto sacro, ma anche occasione per comunicare messaggi insurrezionali. Tant’è vero che l’uso delle percussioni da parte degli schiavi verrà abolito in tutta l’America dopo una ribellione in Sud Carolina nel 1739. In tutta l’America, tranne che a New Orleans, terra di razze miste, bianchi, neri, creoli, accomunati dalla stessa passione per la musica: la canzone popolare, le marce militari, il ragtime, gli spirituals, il blues fuso con ritmi di danze africane e improvvisazioni jazz.
Queste le radici di Fats Domino. All’anagrafe Antoine Dominique Domino (New Orleans, 26 febbraio 1928, mancato poco fa ad Harvey, il 24 ottobre 2017), cantautore e pianista statunitense, pioniere del rhythm & blues e del rock’n’roll. Colui che ha saputo diffondere al resto del Paese, con l’entusiasmo della sua musica, il sentimento della gioia di vivere, insieme ai ritmi e alla sensibilità anarchica tipica degli africani americani. Colui che ha fatto della musica uno strumento di integrazione razziale e sociale. Il ritmo, il beat di Fats Domino, è quello che ha scatenato la voglia di danzare. In tutti: bianchi, neri, ricchi o poveri. Ciò che prima era movimento trattenuto, con Domino è diventato liberazione sfrenata di corpo e spirito. C’è in questo la passione per la vita tutta africana-creola-cattolica, non ristretta da alcuna rigida morale protestante.
“Per decenni – scrive Rick Coleman – gli storici della musica hanno ignorato il ruolo di New Orleans nella nascita del rock’n’roll, per il fatto che i musicisti rockers fossero quasi tutti neri” [R. Coleman, Blue Monday, p.8]. Invece questa città di importanza ne riveste parecchia e va riconosciuta.
Qui la musica è una realtà quotidiana, mescolanza di generi e stili. Qui la musica è vita e partecipazione.
La fonte della musica africana americana deriva dalla tipologia di canto “call and response”, un dialogo rituale di domande e risposte tipico dei canti gospel, del blues con le sue ripetizioni e delle interazioni jazz, sorgenti dell’estetica afrocentrica e potente forma di democrazia attiva. A New Orleans questa modalità di canto era così sentita dal pubblico e dai musicisti che la partecipazione era totale. Domino, infatti, ha sempre suonato ritmi titanici per la gente, per le masse. E la sua musica richiedeva sempre una risposta viscerale da parte del pubblico che così esprimeva i propri sentimenti. Perché quella musica sapeva celebrare le grandi passioni comuni, per niente autocelebrativa.
Domino, del resto, veniva dal mondo popolare.
Cento anni prima della sua nascita la sua famiglia lavorava nelle piantagioni di zucchero della piccola comunità rurale di Vacherie lungo il Mississippi, sopra New Orleans. Acri e acri di maestose piantagioni, proprietà di una piccola nobiltà francese bianca. Ma a New Orleans gli schiavi creoli godevano di alcuni privilegi e più facilmente potevano diventare servi domestici invece che lavoranti contadini.
Il nome Domino suggerisce una possibile connessione con il ceppo ribelle di schiavi di Santo Domingo, anche se lui ha origini haitiane da parte di madre, Donatile Gros. Aristide Domino, nonno di Fats Domino, è nato nel 1857, lo stesso anno in cui la sua futura sposa, Carmelite, viene alla luce in Maryland. Aristide e Carmelite lavorano alla Golden Star Plantation e crescono quattro figli tra cui Antoine, padre di Fats. Carmelite lavora come governante, ma conosce anche le erbe medicinali, è una sorta di sacerdotessa e in quelle comunità la figura femminile che possiede questa abilità gode di molto riconoscimento. Antoine, o Calice, come si fa chiamare, sposerà la giovane Donatile Gros. Dal matrimonio nascono cinque maschi e due femmine. I Domino lavorano duramente, l’intera famiglia. Ma soprattutto suonano, fanno musica. Il sabato danzano tutta la sera in un party casalingo che chiamano banco or la la. Gettano poltrone e tavoli contro il muro e si scatenano. Papà Calice suona il violino, tutt’intorno si balla e si canta. Nella tradizione africana la musica non è solo una parte della vita, la musica è la vita. La domenica, poi, giorno solenne, si esce dalla chiesa cattolica e si va a fare festa ballando, suonando e cantando. Per i protestanti, per esempio, non sarà mai la stessa cosa.
Nel 1927 una grande inondazione del Mississippi porta distruzione e morte. Calice deve tornare a lavorare a padrone, per un dollaro al giorno. La famiglia decide di trasferirsi a New Orleans. Lì il fratello di Calice ha preso possesso di alcune terre. È una zona desolata, strade pavimentate ed elettricità non esistono. Ma va bene lo stesso per ricominciare una vita. Calice costruisce una piccola abitazione. I Domino dormono uno attaccato all’altro. Parlano il francese creolo, ma imparano anche l’inglese. Dalla cultura creola acquisiscono principi e consuetudini: la fatica e il duro lavoro quotidiano, l’importanza della famiglia con i suoi valori e regole da rispettare.
Antoine frequenta la Macarty School. Dopo la scuola la prima preoccupazione è tagliare la legna per accendere il fuoco e cucinare. La sera i fratelli giocano a baseball. Antoine preferisce la boxe con suo fratello Joe.
Da subito, da bambino, Antoine ama la musica. La famiglia ha un piccolo grammofono e anche se è difettoso, Antoine usa le mani per far girare i 78 giri e ascoltare il blues e il jazz. Quando la famiglia compra una radio finalmente si possono sentire Glenn Miller e le swinging bands, Ella Fitzgerald e il suo album Ah-Tisket, Ah-Tasket.
Il giro di boa nella vita di Antoine arriva all’età di dieci anni, quando la famiglia acquista un pianoforte. È così scassato che si sente il suono metallico dei tasti quando vengono premuti, ma chi se ne importa. Lui si esercita tutto il giorno e i suoi genitori sono costretti a spostare il pianoforte in garage. La musica è la sua ossessione, non c’è niente di più bello che ascoltare i pezzi in radio e risuonarli. La musica è ciò che lo solleva dalle questioni ordinarie della vita di un adolescente che deve cominciare a fare i conti con la realtà: il lavoro di aiutante gelataio per racimolare qualche soldo, poi aiuto panettiere, poi operaio in una fabbrica di caffè. Taglia anche l’erba nei giardini dei bianchi, lava le loro macchine per due spiccioli. Ma non è quello il suo futuro. Presto Antoine scoprirà che si possono guadagnare soldi anche con la musica. Robert Buddy Hagans lo sente suonare in un bar, gli si avvicina e duetta con lui accompagnandolo con il sax. Perché non formiamo una band? Si aggiunge un batterista, un chitarrista. La band comincia a suonare regolarmente nei locali di New Orleans, come il Cousin’s il sabato e la domenica sera, il Ballerina di Caffin Avenue, le domeniche mattina. Una donna, Rita LePage Hall, è una sua fan, una signora creola che non si perde un suo concerto. Antoine ne è felice e poi sua figlia Rosemary è la ragazza più bella che lui abbia mai visto. È giovane, si deve ancora diplomare alla Mc Donough 35 Hig School.
Antoine non può permettersi una macchina nuova e costosa per uscire con lei, ma con i primi soldi che guadagna dal suo lavoro di musicista acquista una Tuxedo di seconda mano. È con questa che la accompagnerà, nell’estate del 1947, al suo primo grande vero concerto con la band di Billy Diamond al Rockford Pavillon. Poco dopo, il 6 agosto del 1947 Rosemary Hall, diciassette anni, sposerà il diciannovenne Antoine Domino. Il reverendo Riley della Hartzell African Mathodist Episcopal Church celebrerà la cerimonia in casa Hall.
Ecco, sta andando tutto alla grande nella vita di Antoine. Guadagna quaranta dollari a settimana suonando alla Crescent City Bed Factory di Broad Street. E i locali e le serate si aggiungono di giorno in giorno. Adesso suona nel suo primo “uptown” show con Billy Diamond al Robin Hood. E si diffonde la fama di Domino, “Fats” Domino. “Lo chiamo Fats – dice Diamond – perché un giorno diventerà famoso, come Fats Pichon e Fats Weller. E se lui continua a mangiare, lui sarà davvero un grande!”, dice mentre la gente ride di gusto [R. Coleman, Blue Monday, p. 28]. Così “Fats” diventa davvero il suo soprannome, niente Antoine, solo Fats Domino.
“Well, I wouldn’t want to say that I started it [rock ’n’ roll], but I don’t remember anyone else before me playing that kind of stuff”, dirà Fats [R. Coleman, Blue Monday, p. 49].
Domino suona il pianoforte come nessuno mai prima. Lo suona con una mano sinistra pesante e lo suona tutto. E poi c’è il ritmo nuovo, il beat, quell’one two three che è ben diverso dal quattro quarti. Ecco il blackbeat, è il boogie-woogie che diventa rock, è un ritmo martellante che si muove continuamente e trasforma tutta la sessione ritmica in qualcosa di inedito, di sconvolgente e selvaggio.
Una sera in un locale conosce il produttore Dave Bartholomew. Con lui scriverà il suo primo grande successo, il “locomotive rocker” The Fat Man, considerato uno dei primi pezzi rock’n’roll. Il piano è un’orchestra intera e la voce uno strumento:
They call, they call me the fat man/’Cause I weight two hundred pounds/All the girls they love me/’Cause I know my way around
Live version:
E poi arriverà Detroit city blues, una dichiarazione d’amore per la città:
Detroit City/It was the finest in this world/Yes, Detroit City/It was the finest in this world/I’m crazy ’bout that city/And I love its pretty girls
Ed ecco che cominciano i tour: da questo momento ogni angolo d’America diventa la sua seconda casa. La Route 66, il Colorado, il New Mexico, Las Vegas. Si suona Hei! La Bas, un traditional creolo che Domino trasforma in qualcosa di brutale e apocalittico.
https://www.youtube.com/watch?v=e2pIw6sp9fc
Domino sta trasportando il blues e il jazz verso un’altra dimensione, in qualcosa di musicalmente e socialmente nuovo. La sua straordinaria esuberanza porta con sé un messaggio carico di speranza per il futuro, proprio quello che le giovani generazioni vogliono sentire: “Le cose andranno meglio”.
Nel frattempo, con la nascita degli show radiofonici afroamericani, i giovani di colore, a cui ancora non è permesso entrare nei locali, ascoltano per la prima volta quel sound, il rhythm & blues. E se ne impossessano: cominciano a fare musica nelle scuole, nelle case, per le strade. Saranno loro, questi giovani afroamericani, a determinare il successo del genere.
Il rkythm & blues è la sintesi perfetta di tutti gli ingredienti della cultura musicale afroamericana. Continuazione della musica da ballo jazz anni Quaranta, combina il blues e il gospel in una sorta di “laicizzazione selvaggia di quanto avveniva nelle chiese”, scrive Gino Castaldo [G. Castaldo, La Terra Promessa, p. 42]. Da questa unione delle diverse anime della musica nera prenderà vita il rock e Domino ne sarà artefice.
Domino è sempre più consapevole delle sue capacità e ora è lui il leader della sua band. I guadagni crescono e con Rosemary può acquistare una casa per conto loro e pensare alla sua musica.
Every night about this time, ottobre 1950, è una ipnotica blues ballad che diventa una jukebox hit in poco tempo. Il successo dà l’avvio a un altro tour in Texas, Arkansas e Colorado.
Every night about this time/I go to sleep to keep from cryin’/Every night about this time/I go to sleep to keep from cryin’
Ne faranno una impensabile cover le irlandesi Sinéad O’Connor e Imelda May:
Nel 1950 l’America sta cominciando a cambiare culturalmente e i giovani hanno più tempo libero e soldi da spendere. Dopo un’epoca di repressione e paura in cui le loro menti e corpi erano stati inibiti e incatenati, ora pretendono vita e libertà. Guardare la televisione, ascoltare la radio li rende più consapevoli di ciò che esiste nel mondo. Le radio libere, poi, diffondono nuova musica che non può più essere confinata. Così in quei giovani americani, sintonizzati su un qualsiasi canale, si insinua il germe della ribellione. La musica nera sarà il vaso di Pandora da cui usciranno suoni scatenati e selvaggi. Che, però, corroderanno ogni forma di discriminazione e segregazione.
Prima che i ragazzi fossero integrati nelle scuole, la musica integrava le loro anime. Attraeva i teenagers come lo zucchero. Perché rappresentava il frutto proibito. Ma per i tanti censori il R&B era musica sporca e per niente adatta ai ragazzi. Una musica colonna sonora di non sense linguistici, insulse espressioni verbali senza significato.
Domino è di nuovo sotto contratto. Compare in diversi film e registra Rocking Chair, presto una hit. Rock e blues in perfetta fusione:
I’m gonna buy myself a rockin’ chair/Try to rock away my blues/I’m gonna buy myself a rockin’ chair/Try to rock away my blues
Nel 1952 molti deejays bianchi e produttori rischiano grosso pur di portare il rhythm & blues sul palcoscenico nazionale. Quando Domino viene presentato al New Orleans’ Pentagon Ballroom da un disc jockey bianco la cosa appare scioccante. Gli show R&B stavano diventando troppo popolari e per vaste platee, per questo pericolosi secondo una certa cultura conservatrice.
Ma Domino continua la sua scalata e Lawdy Miss Clawdy diventa modello di un autentico rock’n’roll sound.
When I lawdy lawdy lawdy Miss Clawdy/Girl you sure look good to me/You got me reelin’ and a-rockin’/But I can’t believe it’s me
Registreranno questo pezzo niente meno che:
Elvis Presley:
Little Richard:
Paul McCartney:
Joe Cocker:
E poi arriva Going Home! Quando Fats la suona c’è qualcosa di magico:
Goin’ home tomorrow/Can’t stand your evil way/Goin’ home tomorrow
Nasce con queste hit “The New Orleans Sound”, qualcosa che assomiglia alla poliritmia africana e che sarà alla base della successiva pop music.
Intanto il rhythm & blues continua a seminare integrazione anche in aree violentemente razziste. Mentre guardano con invidia la danza dei neri, ora sono i bianchi a sentire la schiavitù dei loro dettami morali repressivi che impediscono loro di lasciarsi andare allo stesso modo. Quella musica e quella danza sono libertà di corpi e menti. Tutto questo mentre, nell’estate del 1952, il Ku Klux Klan fa irruzione in un bar afro americano, il Charlie’s Place nel South Carolina, per mettere fine a quei balli indiavolati tra razze miste. Spengono il juke box perché quella musica, come quella di Domino e tutto l’R&B, è rozza e volgare.
Invece, proprio per quella vitalità che si porta dentro, quella musica sta diventando un grande ponte capace di unire le razze: bianchi, neri, tutti danzano quel ritmo persuasivo e liberatorio.
Domino registra Going to the river, nominato, nel 1954, tra i più venduti artisti R&B nella classifica Jukebox Operators Poll:
I’m goin’ to the river/Gonna jump overboard and drown/I’m goin’ to the river/Gonna jump overboard and drown.
I teenagers chiedono musica con il beat, puro rhythm & blues, mentre nelle scuole della Georgia, della Louisiana, del South Carolina si dichiara la segregazione scolastica incostituzionale. La legislazione della Louisiana corre ai ripari e crea una Commissione per il mantenimento della segregazione pagando dollari su dollari per evitare l’integrazione. Ma il cambiamento è in atto.
Le Leggi Jim Crow, disposizioni legali statali e locali adottate negli Stati Uniti meridionali tra il 1876 e il 1965, avevano di fatto creato lo status giuridico di “separati ma uguali” per gli americani neri. In realtà ciò aveva condotto a trattamenti e sistemazioni quasi sempre inferiori rispetto a quelle fornite ai bianchi americani. Soprattutto a riguardo delle scuole pubbliche, i luoghi e i trasporti pubblici come i treni e gli autobus che dovevano disporre di strutture separate per i bianchi e per i neri. La segregazione scolastica promossa dal governo verrà riconosciuta, appunto, incostituzionale dalla Corte suprema degli Stati Uniti d’America nel 1954 nella sentenza per il caso Brown contro Board of Education. Processo legato alla vicenda di Linda Brown, un’alunna nera residente a Topeka nel Kansas che si era vista rifiutare l’iscrizione in una scuola bianca in prossimità del suo domicilio e si era dovuta iscrivere a una scuola nera distante più di un chilometro. Il padre contestò il rifiuto in tribunale, ma si trattava, in realtà, di un’azione collettiva (class action), perché furono numerosi i ricorsi riferiti agli stessi fatti raggruppati in un’unica causa, e il nome Brown era semplicemente il primo in ordine alfabetico. Il ricorso, infatti, era sostenuto e organizzato, dall’NAACP (National Association for the Advancement of Coloured People: associazione nazionale per il progresso della gente di colore, la principale organizzazione per la difesa dei diritti civili). Quella vittoria fu l’inizio di un cambiamento.
Certo, il R&B continua a essere pericoloso: in Atlanta un deejay bianco come Zenas “Daddy” Sears che invoca l’integrazione e propone l’ascolto di quella musica viene offeso e zittito con epiteti razzisti. Per le stazione radio bianche l’R&B è ancora musica aliena.
“Domino era un improbabile eroe dei diritti civili – scriverà Rick Coleman – dal momento che non sembrava ribelle o anche politicamente consapevole. Ma la sua determinazione di smuovere tutti quelli che lo ascoltavano […] avrebbe avuto un effetto significativo sui conflitti di razza. La sua grande diplomazia, la spinta, l’energia e le forti emozioni che la sua musica trasmetteva erano contagiose in un modo che la musica pop non sapeva essere. Il suo fascino inalterato lo rese l’ambasciatore perfetto per l’imminente rivoluzione del rhythm & blues” [R. Coleman, Blue Monday, p. 92].
Il 14 e 15 gennaio 1955, ecco la svolta. 7500 ragazzi gridano il nome del loro eroe, un deejay di nome Alan Feed. Ragazzi che hanno aspettato per ore al freddo si sono introdotti nella St. Nicholas Arena di New York, spazio usato per gli incontri di boxe, adatto a 6.000 persone. La polizia ha trattenuto centinaia di ragazzi e ha tirato fuori i più agitati. Il Feed’s Rock’n’roll Jubilee Ball del 14 e 15 gennaio 1955 schiera un cast tutto nero: Buddy Johnson, Joe Turner, the Clovers, Fats Domino, the Harptones e altri. Ma a differenza degli spettacoli precedenti di Feed, quasi la metà della folla è bianca. Sebbene i genitori di questi ragazzi avessero sentito l’R&B pulsare attraverso le pareti delle loro camere da letto, la maggior parte sarebbe rimasta sconvolta nel vedere quei loro figli in mezzo a volti neri. Eppure, stava succedendo. Quegli arrangiamenti, su un ritmo ripetitivo e incalzante, ipnotizzavano i ragazzi, diventati una massa urlante e ondeggiante. La radio intitolava l’evento come il Rock’n’roll Party, qualcosa che segnava un vero cambio di direzione. Una volta limitata al solo mercato dei neri, l’influenza R&B ora incrociava tutto il generale mercato pop, senza distinzione di razze e colore della pelle.
La carriera di Domino si impenna e nei locali, come nei grandi spazi, bianchi e neri impazziscono allo stesso modo per la sua musica. Musica che sembra aver appiattito qualsiasi barriera.
Continuano le sue hit: Blue Monday, scritta da Dave Bartholomew e registrata nel 1956, viene inserita nel film The girl can’t help it e lo rende un personaggio ancora più popolare. I Blue Mondays a New Orleans erano una tradizione: i nightclubs offrivano cibo e birra mentre i musicisti suonavano. Ma i lunedì erano anche i giorni in cui si lavavano i panni sui lavatoi. I lunedì degli schiavi neri erano inimmaginabilmente tristi e blue.
https://www.youtube.com/watch?v=mDO78-0a4ho
Live version:
E poi: Ain’t That a Shame, canzone che venderà milioni di copie, raggiungendo il primo posto nel Billboard R&B chart e il numero dieci nella classifica dei brani pop.
Come spesso accade per diversi brani di Domino e di artisti di colore, Ain’t That a Shame riscuote inizialmente molto successo con una versione bianca, in questo caso di Pat Boone.
Solo successivamente è quella di Domino a guadagnare la maggiore popolarità:
You made me cry when you said goodbye/Ain’t that a shame/My tears fell like rain/Ain’t that a shame/You’re the one to blame
Versione live:
Canzone che sarà ripresa in seguito da diversi artisti, tra cui John Lennon:
https://www.youtube.com/watch?v=sqyUFF8O10U
e Paul McCartney:
Altra hit è Dont’ You Know, canzone d’amore e disperazione:
You were right I were wrong/Please forgive me come back home/Don’t you know don’t you know/Don’t you know I love you so/Don’t you know don’t you know/Every day I love you more
Ma intanto continua la polemica sul rock. Nel 1955 il film Blackboard Jungle di Richard Brooks con il celebre brano di Bill Haley, Rock around the clock,
crea il nesso tra delinquenza giovanile, integrazione scolastica e rock’n’roll. Il film, giunto in Italia come Il seme della violenza, verrà censurato dal Festival del Cinema di Venezia:
“Non fu presentato al Festival di Venezia – scriveva Mario Verdone – per il sospetto che avrebbe potuto offendere i sentimenti della nazione americana. Mostra, infatti, una terribile classe di giovani, che non sono scolari come comunemente si intendono, ma veri e propri delinquenti, abituati al coltello e alla rapina […]. Di fronte a un film come Il seme della violenza la censura si rivela indispensabile […]. Ed anche se i fatti esposti possono interessare educatori e rieducatori, perché se ne dovrebbe consentire la proiezione ad adolescenti, ad esseri impressionabili, desiderosi di uno spettacolo edificante? [M. Verdone, Il seme della violenza, in Il Quotidiano, 19 marzo 1957].
Ma la musica va avanti. I bianchi frequentano sempre più numerosi i concerti di Domino: “Per quelli che dicono che la musica con il beat – scriveva Ruth Cage – sta facendo cose terribili alla gioventù della nazione, potrebbe essere sottolineato che questa musica sta facendo un lavoro nel profondo sud che persino la Corte Suprema degli Stati Uniti non è stata in grado di realizzare” [R. Coleman, Blue Monday, p. 107]. Ovvero eliminare le divisioni razziali.
Poco dopo a Montgomery in Alabama, Rosa Parks si rifiuta di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così origine ad azioni di boicottaggio e alle attività del movimento per i diritti civili dei neri. I simboli della segregazione sono ovunque al sud: nei ristoranti, bus, uffici, piazze. Nelle città i ghetti e le scuole di periferia sono la materializzazione dell’ineguaglianza. Nelle campagne, le baracche vicino ai campi coltivati continuano a ricordare le antiche miserie della schiavitù. Ma il peggio deve ancora arrivare. Nell’agosto del 1955 Emmett Till, un quattordicenne di colore di Chicago, viene brutalmente picchiato a morte per aver detto “Bye, baby” a una donna bianca. Il linciaggio del giovane scatena una forte indignazione pubblica per un atto di violenza così barbaro e disumano: dopo essere stato selvaggiamente picchiato, gli viene strappato un occhio e gli viene sparato un colpo in testa prima di essere gettato nel fiume Tallahatchie con una sgranatrice di cotone da settanta libbre legata al collo con del filo spinato.
“Lo ha portato a casa a Chicago – scriveva David Jackson a proposito della madre del ragazzo, Mamie Till – e ha insistito che la bara rimanesse aperta. Decine di migliaia di persone hanno così potuto vedere i resti di Till, ma è stata la pubblicazione dell’immagine funebre nella rivista Jet, con una stoica Mamie che guarda il corpo devastato del suo bambino assassinato, che ha costretto il mondo a riflettere sulla brutalità del razzismo americano” . Le fotografie circolarono in tutto il paese e generano una forte reazione pubblica. La risposta viscerale alla decisione di quella madre di avere un funerale con la bara aperta mobilita la comunità nera in tutta la nazione, ma il risultato è di rinforzare ancora di più la supremazia del potere bianco. Benché lo stato del Mississippi avesse incriminato due degli accusati, questi verranno rapidamente assolti da una giuria completamente bianca.
Negli stessi giorni, i Little Rock Nine, gruppo di studenti neri, devono essere scortati dall’esercito fin sui gradini della Little Rock Central High School dopo che la Guardia Nazionale dell’Arkansas ha impedito loro di entrare. La quindicenne Elizabeth Eckford viene seguita e minacciata da protestanti bianchi che vogliono impedirle di frequentare le lezioni.
E Domino? Domino suona nella città di Mississippi davanti al principale simbolo del terrorismo razziale: la corda. Usata come cappio per intimidire, per uccidere. Durante lo spettacolo la corda scende nel mezzo della sala a dividere lo spazio per i bianchi e quello per i neri. Ma la musica è troppo trascinante, tutti si divertono e ballano euforici. Così i ragazzi cercano di tirare giù quella corda. Gli sceriffi intervengono per risistemarla fino a che il maggiore dice loro: “Lasciate perdere, qui tutti si conoscono”. Così i ragazzi riprendono a ballare liberamente, senza corda, senza divisioni. Una cosa straordinaria, mai vista.
Anche nei quartieri neri, i giovani bianchi ora si presentano agli spettacoli di Domino. Fats e la sua musica, strumenti di integrazione sociale. “Fats è stato il Martin Luther King della musica – dirà Billy Diamond –. Ha unito bianchi neri, indiani, tutti quanti insieme. Perché quando la gente comincia a ballare e si diverte si lascia trasportare, si sente bene, non importa il colore della pelle” [R. Coleman, Blue Monday, p. 114]. Ma è qualcosa di raro ed eccezionale.
Gli scontri razziali continueranno per molto tempo: “Help Save the Youth of America – era scritto su un cartello –. Don’t buy Negro Records. “Se non vuoi servire i Negri nella tua sede di lavoro, allora non avere registrazioni di un Negro sul tuo jukebox e non ascoltare i dischi di un Negro alla radio. Le parole urlanti, idiote e la musica selvaggia di questi dischi stanno minando la morale della nostra gioventù bianca in America”. [R. Coleman, Blue Monday, p. 117].
Più volte Domino deve interrompere i suoi spettacoli se ai ragazzi di colore viene impedito di ballare. La musica deve essere un divertimento per tutti, niente emarginazione. Non c’è storia: R&B e rock’n’roll sono un grido di liberazione. Del resto, non si può stare fermi con la sua versione funky della ballata traditional I found my thrill on Blueberry Hill . E il successo è sensazionale:
Live al Ed Sullivan Show:
In molti, dopo di lui, ne faranno una personale versione:
Elvis Presley:
https://www.youtube.com/watch?v=EEMYTk3IqM4
Little Richards:
Johnny Cash e poi il country folk di Loretta Lynn:
Jerry Lee Lewis:
The Beach Boys:
Led Zeppelin:
Sir Elton John:
Adriano Celentano:
La popolarità di Domino è incessante e nel 1957 viene invitato al The Ed Sullivan Show. È una superstar. Indossa abiti costosi, anelli come gigantesche sculture in oro e pietre preziose. Ma soprattutto è un modello per tutti, colui che ha dato vita a un grande rinnovamento musicale, culturale e sociale. Il 18 dicembre 1957 parteciperà anche al programma di Dick Clark American Bandstand, dove eseguirà il suo successo The Big Beat, il beat che fa saltare sulle sedie chiunque lo ascolti:
The big beat keeps you rockin’ in your seat/The big beat keeps you rockin’ in your sleep/Clap your hands and stomp your feet/You’ve got to move when you hear that beat/The big beat keeps you rockin’ in your seat
https://www.youtube.com/watch?v=X2ZOxzsBE8A
E poi I’m ready, registrato nel 1959, altro brano che diventa un classico del rock’n’roll:
Live version:
https://www.youtube.com/watch?v=ixP4GT22byU
Anche in questo caso, numerosi artisti ne faranno una cover: Elton John
Keith Richards:
e Bruce Springsteen:
I want to Walk You Home diventa la R&B hit al primo posto delle classifiche per due anni,
mentre I’m gonna be a wheel someday è una personale dichiarazione di indipendenza, potente, che viene da un uomo di colore e ispirata alla gente di ogni luogo e di ogni razza.
I’m gonna be a wheel someday/I’m gonna be somebody/I’m gonna be a real gone cat/Then I won’t want you
Il leader del movimento Student Nonviolent Coordinating Committee Julian Bond, nello scrivere un poema sull’America della musica e della protesta per i diritti civili, non dimentica Fats Domino:
I, too, hear American singing/But from where I stand/I can only hear Little Richard/and Fats Domino/But sometimes,/I hear Ray Charles/Drowning in his own tears/ [R. Coleman, Blue Monday, p. 226].
Nell’estate del 64 l’America esplode di violenza.
Già l’anno prima c’era stato l’attentato alla chiesa battista della 16ª strada avvenuto a Birmingham, Alabama. Un fatto gravissimo che aveva risvegliato i movimenti per i diritti civili. Quella domenica, con una pila di dinamite nascosta su una scala esterna, uomini del Ku Klux Klan avevano distrutto un’intera facciata della chiesa. La bomba era esplosa in prossimità di ventisei bambini che si stavano preparavano agli esercizi del coro nella sala riunioni del seminterrato. L’esplosione ne aveva uccisi quattro, tutti neri.
Nonostante Martin Luther King avesse da poco organizzato la Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, il 7 agosto del 1963, quei gravi crimini continuavano a macchiare di sangue le strade dell’America. Una situazione di violenza e ingiustizia inaccettabile.
Nel giugno del ’63 anche Fats ha una premonizione e preferisce cancellare uno spettacolo per una comunità nera a Lexington, North Carolina, dopo uno scontro razziale in cui un uomo è stato ucciso. Anche tre attivisti per i diritti civili vengono ammazzati in Mississippi, tre settimane prima della firma del Presidente Johnson sul Civil Rights Act, il 2 luglio 1964, che metteva al bando la discriminazione in materia di occupazione e alloggi. I conflitti razziali esploderanno poco dopo anche a New York, New Jersey, Chicago e Philadelphia.
Ma nel 1964 esplodono anche i Beatles, nuovi eroi della scena rock. In viaggio in America, a New Orleans, ci tengono a conoscere Fats Domino: “I Beatles hanno guadagnato un fan. Mi hanno impressionato sia per la personalità che per la musica – dirà –. Qualsiasi cosa essi scrivano mi piace” [R. Coleman, Blue Monday, p. 233].
Così, se Lady Madonna nasceva su ispirazione della musica di Domino, lui ne farà una sua versione.
Sia i Beatles che i Rolling Stones, del resto, ammetteranno l’influenza di Domino sulla loro musica già dalle loro prime esperienze. La musica bianca raccoglieva ciò che di innovativo era in quella nera. Ed era destinata a cambiare il mercato.
Domino aveva sfornato successi su successi, soprattutto con la Imperial Records, raggiungendo uno straordinario primato: tutti e ventidue i dischi incisi erano diventati hit, sia la canzone incisa sul lato A che quella sul lato B erano entrate in classifica. Dopo il passaggio alla ABC-Paramount nel 1963 la sua carriera avrà un tracollo e alla fine del 1964 la British invasion aveva ormai cambiato i gusti del pubblico mettendo fine alla sua scalata nelle classifiche.
Nel 1999, però, la National Public Radio nominava Ain’t that a shame una delle 100 canzoni del secolo. Nel 2002 sarebbe entrata nella Grammy Hall of Fame.
Il 23 gennaio del 1986 Elvis Presley, Chuck Berry, Little Richard, Jerry Lee Lewis, Sam Cooke, James Brown, the Everly Brothers, Buddy Holly, Ray Charles e Fats Domino diventavano i dieci membri del Rock and Roll Hall of Fame in una cerimonia al Waldorf-Astoria Hotel di New York. Billy Joel presentava Fats ringraziandolo per aver fatto del pianoforte uno strumento rock. Fats Domino entrava nel pantheon dei miti americani.
Nel 2005 il suo nome tornò alla ribalta durante l’inondazione che aveva colpito New Orleans al passaggio dell’uragano Katrina. Inizialmente dato fra i dispersi, e per molti ormai considerato morto, Domino, invece, era stato tratto in salvo. Ma la sua abitazione era stata gravemente danneggiata e l’inondazione si era portata via arredi e oggetti tra cui tre pianoforti e decine di dischi di platino e d’oro.
Qualche anno dopo Sam Shepard in Diario di lavorazione, interrogandosi sulle radici del mito americano, raccontava, attraverso le parole della guardia del corpo di Domino, un diverso salvataggio. Nell’immaginario racconto Fats è intento a stare in equilibrio sul tetto della sua casa circondata dalle acque. Indossa smoking e scarpe italiane, di pelle, molto costose. Non vuole essere portato in salvo se la barca su cui deve salire non riuscirà a sottrarre da ogni pericolo anche il suo pianoforte. Pianoforte a cui si aggrappa, gettandosi in acqua, rischiando più volte di affogare. Pianoforte a cui parla, sussurrando dolci parole, quasi fosse un bambino spaventato. Presto, lo tranquillizza, sarebbero stati al sicuro, divertendosi come matti a suonare quel rock che, insieme, le sue mani e quei tasti, avevano saputo creare. Mai lo avrebbe abbandonato, piuttosto la morte.
Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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