“Questo romanzo non potrà più giungere a te, Chico Mendes, caro amico mio, di poche parole e molti fatti, ma il Premio Tigre Juan è anche tuo, di coloro che continueranno il nostro cammino collettivo in difesa di questo mondo, l’unico che abbiamo”. Pronunciò queste parole Luis Sepúlveda nel ricevere il premio per il libro Il vecchio che leggeva romanzi d’amore dedicandolo al brasiliano Chico Mendes. E proseguì: “A molte migliaia di chilometri di distanza e di ignominia, una banda di assassini armati, pagati da criminali ancora peggiori, che hanno abiti ben tagliati, unghie curate e dicono di agire in nome del progresso, ha ucciso te, uno dei più illustri difensori dell’Amazzonia, una delle figure più rilevanti e coerenti del Movimento ecologico universale”.
È passato un anno da quando “Lucho” ci ha lasciato. Era nato il 4 ottobre 1949 a Ovalle, a nord di Santiago: sua madre, Irma Calfucura, era un’indigena mapuche della Patagonia cilena. A 17 anni lavora come redattore al Clarín, nel 1969 vince il premio Casa de Las Américas con la raccolta di racconti Crónicas de Pedro Nadie. Poi giunge la militanza. Il 4 settembre 1970 Salvador Allende viene eletto presidente e la società cilena inizia a rialzarsi.
Durante i 1000 giorni di questo governo Sepúlveda partecipa in prima persona al processo di democratizzazione del Paese. Fa parte della struttura militare del partito socialista, diventa membro dei Gap e guardia personale del presidente. Luis ricorderà Allende in molti momenti e in aneddoti come questo: “Per passare da Puerto Montt a Balmaceda ci imbarcammo sul leggendario DC3 di un leggendario pilota socialista, il capitano Esquella. Sull’aereo più che un vago sentore di pecora c’era una puzza da mozzare il fiato, perché nelle settimane precedenti Esquella aveva trasportato migliaia di ovini. Durante il volo Allende si informò sulle razze da lana, sul prezzo della carne e della lana, sullo stato del mare più ricco di crostacei, ed era l’unico a cui sembrava non importare il tanfo. Mentre tutti facevamo grandi smorfie e respiravamo con la bocca, Allende bevve qualche bicchierino di Chivas Regal e ci offrì la bottiglia chiedendoci se volevamo un pò di quella medicina contro il mal d’aereo. Atterrammo a mezzogiorno, e mentre camminavamo sulla pista verso l’aeroporto, mi prese sottobraccio e mi domandò sottovoce: Senta, compagno, anche a lei è venuta voglia di un po’ di foraggio? Questo era Allende”.
L’11 settembre 1973 avviene il colpo di stato di Augusto Pinochet. Allende viene destituito, Luis è arrestato e torturato. Sua moglie Carmen Yáñez subisce la stessa sorte. Sepúlveda è scarcerato solo grazie alle pressioni di Amnesty International. Dopo quasi tre anni di carcere, “con molti denti in meno e cinquanta chili di peso”, se ne va a Valparaíso, ove riscopre la passione per il teatro e si dedica a rappresentazioni clandestine contro la dittatura. Avrebbe raccontato tutto nel libro Storie Ribelli. Sono tempi durissimi e in Cile aumentano i desaparecidos. Luis è arrestato una seconda volta e la giunta militare lo condanna all’ergastolo che poi, su pressione di Amnesty International, viene commutato in 8 anni di esilio. Dopo circa 2 anni e mezzo di carcere, il 17 luglio 1977 gli viene permesso di lasciare il Cile.
Va in Argentina, poi in Brasile e in Ecuador, a Quito. Partecipa ad a una spedizione dell’Unesco nella selva amazzonica, alle pendici delle Ande, tra Ecuador e Perù, con gli indigeni Shuar che vengono chiamati “difensori della natura”, hanno resistito nei secoli al dominio dell’impero Inca e degli spagnoli. Il tempo vissuto con loro influenzerà la sua opera letteraria e l’attività di militante difensore della natura.
Durante una intervista racconta: “Quando scrissi Il vecchio che leggeva romanzi d’amore usai molti elementi autobiografici perché la mia esperienza amazzonica fu come una iniziazione, l’introduzione a un mondo sconosciuto. All’inizio eravamo in 8 nella spedizione, ma dopo 2 settimane rimasi da solo. Volevo conoscere l’Amazzonia. All’inizio gli Shuar non si avvicinavano, ma ogni giorno mi lasciavano acqua, frutta, carne di scimmia, e si ritiravano nella foresta. Un giorno mi morse un serpente. Era velenoso, in parte mi protesse il cinturino del mio orologio. Tagliai la testa del serpente col machete e corsi dagli Shuar. Persi conoscenza. Quando mi risvegliai erano trascorsi sette giorni. Gli indigeni mi avevano curato con le loro erbe mediche. Mi permisero di integrarmi e rimasi con loro sette mesi”.
Nel 1979 Sepúlveda va in Nicaragua dai sandinisti che accettano il contributo di centinaia di esuli cileni alla guerra di liberazione. Quindi si trasferisce in Europa, ad Amburgo, e diviene uno dei più noti corrispondenti della stampa tedesca sulle imprese di Greenpeace. Per quattro anni attraversa i mari. Nascono così La frontiera scomparsa, Patagonia express, Appunti dal sud del mondo, Desencuentros, Incontro d’amore in un paese in guerra, Diario de un killer sentimentale, Le rose di Atacama, Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia, La locura de Pinochet y otros artículos, e Il mondo alla fine del mondo, romanzo sullo scempio del pianeta in nome del profitto, ambientato in buona parte nella terra che più ama: la Patagonia.
E poi le sue favole per tutte le età, alla maniera di Esopo, cariche di insegnamenti universali, quali Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare che diviene anche un film animato, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico.
Grande amico di Osvaldo Soriano, Francisco Coloane e Carlo Petrini, nel 2018 pubblica il suo ultimo libro, Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa, per il quale si ispira al Moby Dick di Herman Melville, il grande capodoglio del colore della luna. Nel libro di Sepúlveda la balena bianca prende la parola narrando i suoi movimenti nelle profondità del mare: “La balena è un animale che non vive in grandi gruppi, ma quasi sempre in solitudine. Percorre grandi distanze in un continuo movimento migratorio. Migra sempre, costantemente, un po’ come accade nella storia dell’umanità”.
Quando qualcuno gli chiedeva il motivo della sua scrittura, Luis Sepúlveda diceva: “Dallo scrittore brasiliano Guimarães Rosa ho imparato che raccontare è resistere, e su questa barricata della scrittura io resisto agli assalti della mediocrità planetaria, alla mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità. Scrivo per la necessità di resistere davanti all’impero della negazione dei valori che si chiamano fraternità, solidarietà, senso di giustizia. Scrivo perché ho memoria e la coltivo scrivendo della mia gente emarginata, dei miei mondi emarginati, delle mie utopie derise, dei miei gloriosi compagni e compagne che sconfitti in mille battaglie, si rialzano e continuano a prepararsi per le prossime battaglie senza avere paura”.
Antonella Rita Roscilli, giornalista brasilianista
Pubblicato venerdì 16 Aprile 2021
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