Se padre è colui che ha concepito e generato, Arrigo Boldrini fu certamente un padre fondatore della Repubblica, e non solo perché fu membro della Consulta Nazionale e dell’Assemblea Costituente, e poi parlamentare, ma anche perché – com’è noto – fu figura leggendaria della Resistenza, entrando a far parte integrante del mito fondativo della giovane democrazia italiana. Per questo Boldrini, scomparso nel 2008, meritava il volume di Edmondo Montali Il comandante Bulow, che si affianca alla già consistente bibliografia relativa alla sua persona.
C’era bisogno del lavoro di Montali anche perché, scrive il presidente nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia nella prefazione, “in questo Paese l’oblio fa presto a calare, per cui tanti, soprattutto giovani, non sanno neppure di chi e di cosa si stia parlando, quando si fa riferimento a vicende ormai lontane in un tempo che scorre a grandissima velocità”.
Nel libro si snodano intrecciandosi tre storie: quella della vita del comandante, quella dell’ANPI, di cui fu segretario nazionale fino al 1947 e poi presidente fino al 2006, quella dell’Italia dal primo dopoguerra all’inizio della cosiddetta seconda Repubblica. L’esito del lavoro di Montali è un affresco del 900 e dell’insieme delle vicende sempre complesse e spesso drammatiche del nostro Paese. La forma sembra quella di un racconto, sobrio e rigoroso, che avvince e convince, perché fa vivere il passato proponendolo come chiave di lettura del tempo presente, e in questa misura fornisce strumenti per interpretare la confusa e contraddittoria realtà attuale.
Il volume è suddiviso in quattro capitoli in cui si dipanano gli anni della vita di Bulow, e che corrispondono ad una ragionevole periodizzazione della storia nazionale recente: Da Boldrini a Bulow, ove si racconta di come un ragazzo nato in Romagna all’inizio del secolo scorso diventa un comandante partigiano; Una nuova vita, cioè il dopo-Liberazione fino alla tragica esperienza del governo Tambroni; Dentro la modernità: gli anni Sessanta, dal centrosinistra fino allo scandalo SIFAR; In difesa della Resistenza: dagli anni di piombo alla “seconda” Repubblica, il tempo – scrive l’Autore, – di «un’aperta sollecitazione esercitata sulle istituzioni dello Stato per la promozione di una nuova memoria pubblica “pacificata”, svincolata dalle contrapposizioni fascismo/antifascismo».
Il perito agrario di Ravenna, classe 1915, poi sottotenente dell’esercito, cambia le regole della guerra di guerriglia, perché intuisce e poi sceglie la cosiddetta pianurizzazione della Resistenza, e cioè lo “spostamento” dell’ambito prevalente della guerra partigiana dalla montagna alle campagne, che, scrive Montali, «secondo l’indagine di Luciano Casali del 1964, finirono per fornire al movimento resistenziale il 73,8% degli aderenti, per collegare la Resistenza a quelle memorie socialiste, anarchiche e repubblicane che il fascismo aveva sconfitto ma non cancellato». Nelle campagne della pianurizzazione Arrigo Boldrini diventa Bulow, a capo della 28ª Brigata Garibaldi, dopo l’esperienza di formazione dei GAP ravennati e del CUMER (Comando Unico Militare Emilia-Romagna). Nome di battaglia Bulow: “Le origini di questa scelta – ci racconta Montali – vanno ricercate nella bottega di un barbiere ravennate appassionato di storia napoleonica: Michele Pascoli. Fu lui a chiamare, con tono canzonatorio, in quel modo Boldrini con riferimento al comandante dell’avanguardia del corpo d’armata prussiano del maresciallo von Blücher a Waterloo”. Ebbene, quel Bulow, a riconoscimento delle sue capacità strategiche e militari, il 20 febbraio 1945 a Ravenna fu insignito della Medaglia d’oro al valor militare dal generale Richard McCreery, comandante dell’8ª Armata britannica.
“Nella lettura di Boldrini della democrazia – scrive Adolfo Pepe nell’introduzione – centrale è dunque l’esperienza della Resistenza, che viene rappresentata come il secondo Risorgimento”. In effetti l’attenzione ai temi e ai valori della democrazia sono una costanza della sua biografia; così è nel dopoguerra, il tempo – scrive Montali – “del pragmatismo restauratore”, nei bui anni 50, negli anni del boom economico e del centrosinistra, nel biennio 1968-1969 e nella drammatica fase avviata con la strage di piazza Fontana, negli anni del terrorismo, negli anni 90. In questo senso una delle preoccupazioni prevalenti di Bulow fu quella della democratizzazione delle forze armate: “Per Arrigo Boldrini riorganizzare uno Stato su basi democratiche non poteva che iniziare dall’utilizzo delle forze della Resistenza, che ne erano state la prima espressione, come base per il riassetto delle forze di polizia e delle forze armate: la vera riforma consisteva, o doveva consistere, nel legare strettamente le forze armate al Paese, conferire loro un largo respiro democratico e organizzarle su base apartitica”. Ma l’aria – siamo all’inizio degli anni 50 – era cambiata: “Tutto intorno un clima intimidatorio, cupo, di rivincita contro quella Resistenza che una buona parte del Paese e degli uomini delle istituzioni non avevano mai accettato né amato”.
Lungo l’arco della vita di Bulow, scrive Montali, si scandiscono due “anni del destino”: il 1948 e il 1956; il primo, con la sconfitta elettorale del Fronte popolare (Pci e Psi) e l’avvio della lunga fase della “guerra fredda” con pesanti conseguenze per la vita e l’attività dell’ANPI ed effetti ancor più gravi per gli ex combattenti partigiani; il secondo, con il XX congresso del Pcus, che avviò la “destalinizzazione”, e l’invasione dell’Ungheria da parte delle armate sovietiche. È significativo il documento ANPI del 30 ottobre 1956, mentre la situazione in Ungheria precipitava: “L’Esecutivo nazionale dell’ANPI deplora che il governo ungherese sia ricorso all’intervento delle armate sovietiche, chiamate ad agire in una situazione nella quale dovevano essere lasciate arbitre dei propri destini le forze democratiche della nazione ungherese”. Una posizione – scrive Montali –“non in linea con quella ufficiale del Pci”, di cui Arrigo Boldrini era peraltro un dirigente.
L’analisi “seria e meditata sullo stato della democrazia (…) nella maturata esperienza antifascista di ieri e di oggi” è l’obiettivo del 7° congresso nazionale dell’ANPI del 1971, quando va a maturazione un neofascismo di tipo nuovo, “che si era nutrito di razzismo e di teorie evoliane ed esoteriche, più vicino alla mistica nazista che al fascismo popolare”. È il tempo del “neosquadrismo” dell’Aquila e di Reggio Calabria, ma anche del progetto di golpe promosso da Junio Valerio Borghese. Da ciò l’appello di Boldrini per bloccare qualsiasi manovra “reazionaria e fascista” e di continuare nella battaglia per “vaccinare l’Italia dal fascismo”. Necessità tanto più urgente, considerando “l’ondata di destra che veniva emergendo nel corso del 71-72”. “Si trattava di una sorta di contromovimento sostanzialmente policentrico a cui partecipavano le frange più conservatrici delle forze moderate, ma che apparivano sin dal primo momento trainate e polarizzate dal neofascismo”.
Poi, gli “anni di piombo”, l’avvio della progressiva distruzione delle speranze e delle conquiste degli anni Settanta, e poi la fine del secolo, il tempo in cui il revisionismo deborda. Ne è vittima lo stesso Bulow, oggetto di attacchi personali violentissimi, tant’è che a ragione Carlo Smuraglia scrive: “Strano destino ha questo nostro Paese, che è uno dei pochissimi al mondo capace di accettare che si infanghino le sue persone migliori ed i suoi personaggi più gloriosi, anziché vantarsene ed esserne orgoglioso”.
L’impegno di Boldrini negli ultimi anni si concentra sulla difesa della verità storica, a cominciare da quella lotta per la libertà che era stata, scriveva Bulow, “l’asse centrale di riferimento dell’intero movimento resistenziale italiano”. «La Costituzione e le libertà democratiche – scrive Montali – rappresentavano il testimone che i resistenti passano alle “nuove generazioni” e che veniva sancito simbolicamente dalla trasformazione dell’ANPI». Quale trasformazione? È ancora Boldrini a parlare, nel 1996: «un’associazione rinnovata, aperta, pienamente partecipata dai “cittadini italiani’ del XXI secolo». Una profezia che oggi, vent’anni dopo, si è realizzata.
I Comitati Provinciali ANPI interessati ad organizzare presentazioni del libro e prenotare copie possono scrivere a ufficiostampa@anpi.it
Pubblicato lunedì 21 Marzo 2016
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