Sono trascorsi più di centosettant’anni da quando Karl Marx ha lanciato la prima ingiuria contro il Dio denaro; lo faceva nel 1844, tra le pagine dei Manoscritti economico-filosofici, laddove l’autore del Capitale già tinteggiava la paurosa bestialità di un tessuto sociale tenuto assieme dall’avida sete e dalla bramosia dell’accumulo. “La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo (…), quando è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo”. L’artista spagnolo Marcos Guardiola Martín riprende il verbo marxista e lo colloca in un suo universo di immagini bluastre e carminie in cui l’uomo asservito al capitale procede prima crudele e stolido e poi vacuo e insulto come in un libro dei morti senza’anima.
Dio denaro è un volume a leporello (piegato, cioè, a fisarmonica) pubblicato da Gallucci; riporta alcune brevi ma incisive sentenze di Marx (nella traduzione di Norberto Bobbio, con introduzione di Luciano Canfora). Marcos Guardiola Martín, che firma le tavole con lo pseudonimo di Maguma, illustra il pensiero di Marx attraverso un impasto di tratti e di stili che fanno capo all’arte espressionista e al linguaggio della pubblicità, con personaggi tolti alla tradizione indiana e inseriti in contesti che strizzano l’occhio al Genesi e, in particolare, all’episodio fondante della caduta dell’uomo e al Rousseau dell’Origine della disuguaglianza quando scrive: «Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassini, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno siete perduti!”».
Così, la prima immagine che Maguma sciorina sulla pagina è proprio quella di un uomo che ha cintato un albero (della conoscenza) colmo di frutti dorati; pomi, evidentemente, immangiabili e non digeribili se, appena oltre, quello stesso uomo appare gonfio di denari nella bocca, nelle orecchie e nel corpo intero. «Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali – scriveva Marx – è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi». La vita si fonda sul soldo, i sensi si appagano nel possesso, il corpo diventa contenitore da riempire di cose provenienti dall’esterno, poiché di dentro non c’è più nulla. Pertanto l’uomo-capitalista, che ha ormai in testa ciminiere a guisa di corna, è diventato un demonio, un satanasso ingrassato e ben vestito, il cui muso ha preso le sembianze del porco. Il denaro si accumula, unico “vincolo che mi unisce alla vita umana”, e diventa mondo, finché i corpi, anonima carne trita del possesso, prendono peso, nella vita, solo se gravati sulla schiena, come salvadanai, dall’onere e dalla schiavitù dell’avere, senza essere.
Il libro, completamente disteso davanti a noi, è lungo poco più di un metro e mezzo. Se ce lo mettiamo di fianco possiamo misurare la nostra statura. La nostra piccola statura di uomini schiavi del denaro.
Giacomo Verri, scrittore e insegnante di Lettere. Ha scritto su Nazione Indiana, Doppiozero, Il Primo amore, Nuova Prosa, LibriSenzaCarta, L’impegno. Ha collaborato alle pagine culturali del quotidiano l’Unità, e ora recensisce per Satisfiction e La poesia e lo spirito. Cura la rubrica Radici e Dedali sulla rivista Zibaldoni e altre meraviglie. Partigiano Inverno, testo finalista al Premio Calvino 2011, è stato il suo primo romanzo. Con Racconti partigiani torna a parlare di Resistenza, quella di ieri e quella di oggi. Dal 2016 ha inaugurato un proprio blog letterario: http://giacomoverri.wordpress.com
Pubblicato giovedì 6 Luglio 2017
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