Daša Drndić è stata una scrittrice croata, una delle voci più autorevoli della letteratura del suo Paese, conosciuta in Italia soprattutto per il suo libro Trieste, lavoro approfondito e documentato sulla Risiera di San Sabba e sullo sterminio degli ebrei italiani. Un vero pugno allo stomaco.
Da poco è uscito in italiano anche Leica format, edito da La nave di Teseo, che cattura attimi di vita dell’autrice croata scomparsa l’anno scorso oltre a ricerche storiche, riflessioni e storie inventate. Sono scatti di una Leica che mettono a fuoco il mondo, sovrappongono epoche e suggestioni. C’è una Fiume/Rijeka un po’ sbiadita, testimone del tempo che fu, ma mai nominata dalla scrittrice, eppure è palcoscenico delle sue tante divagazioni e delle sue conversazioni di vita quotidiana. Il romanzo ci regala un collage di tante situazioni avanti e indietro nel tempo che dimostrano la rara dote di Daša Drndić di collegare tutto anche se l’ordine delle riflessioni potrebbe apparire casuale.
È uno stimolo e un arricchimento vedere attraverso i suoi occhi, attraverso una scrittura fluida e mai banale, gli anni della fine della Jugoslavia, e poi Vienna, Fiume e Belgrado, gli esperimenti dei medici nazisti, gli amori, le doppie vite, le vite immaginate, le fughe. Questo libro si potrebbe definire un caleidoscopio armonico e vivace, anche la pagina scritta con la grafica non omogenea ci aiuta nei salti e nelle fughe e soprattutto nei viaggi che l’autrice ci riserva.
Il romanzo documentario di Drndić ci fa strada per esempio nel buio di una cantina viennese, in un manicomio: “un tempo nominato Am Steinhof, e poi, per la pace dell’animo e per amnesia indotta, rinominato come Otto Wagner Spital”; l’autrice descrive dei vasi di vetro “che sugli scaffali attendono da mezzo secolo e anche di più nell’umido tanfo dell’Europa” nei quali ci sono cervelli di bambini. Non si sa esattamente quanti, circa 770. “Dicono siano cervelli danneggiati di bambini di età tra sei mesi e quattordici anni, di regola senza nome”, scrive, utilizzati per esperimenti da medici di ideologia nazista, inseriti nel programma di eutanasia dei bambini mentalmente ritardati. Eppure, come apprendiamo nel libro, “l’ex psichiatra delle SS Heinrich Gross morirà di morte naturale da uomo innocente e libero”. Nell’ospedale Am Steinhof fino al 1945 l’élite medica austriaca e tedesca vi lavora e fa ricerche, è uno dei luoghi – circa 40 – in cui i nazisti attueranno il programma Aktion T4: “programma per l’uccisione di bambini di tutte le età fisicamente e psichicamente handicappati, denominato ipocritamente programma di eutanasia”, scrive Drndić.
La storia con la S maiuscola si ferma anche nel piccolo villaggio di Pučišća con la torre campanaria dove un tempo si trovava la prigione nella quale i fascisti facevano bere ai prigionieri l’olio di ricino. Oppure si fanno indagini – anche mettendo insieme curiosamente libri acquistati da un antiquario e amico – sull’eccentrico medico Ludwig Jacob Fritz che ai primi del 900 si ferma a Fiume prima di imbarcarsi per l’America e va per bordelli.
Nel romanzo si parla di ferrovie, di battelli, di città, di persone, di anime perse. Le tante istantanee scattate dalla scrittrice si rivelano mai del tutto casuali ma composte proprio per dare un’immagine quanto più fedele del nostro tempo: “È venuto alla luce ancora una volta che i fili, di cui gli esseri umani sono composti, non si spezzano mai del tutto, che quei fili si avviluppano, s’impigliano e alla fine si amalgamano in una materia protoplasmatica invisibile a occhio nudo, in una materia vivente che si muove, che si agita, in un protozoo ameboide che striscia intorno a noi, si dimena, cambia forma, si espande, finché non ci accerchia e ci assorbe completamente”.
I personaggi che incontriamo ci lasciano qualcosa, anche le piccole vite che a un primo sguardo possono sembrare insignificanti celano un mondo che la scrittrice ci restituisce con maestria. Leica format è un libro complesso in cui l’autrice gioca anche con l’etimologia di alcuni termini per spiegare per esempio, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, come le persone tendano a voler cancellare il passato non esprimendosi più in una certa lingua o dialetto. Eppure, scrive Drndić: “il passato non c’è verso che affondi, galleggia sulle acque che effondono miasmi attorno a sé, ma che imperterrite continuano a scorrere, di qua, di là, ovunque sul pianeta; il passato aggredisce la memoria, rovista nei ricordi, nel tentativo di ripulire il proprio mondezzaio, la grande discarica terrestre”.
La coscienza civile di una scrittrice così attenta a rovistare in quel passato che a volte viene nascosto con “riluttanza e vigliaccheria” ci colpisce in pieno volto perché, come scrive, “nessuno è completamente innocente”.
Antonella De Biasi, giornalista e saggista. È stata redattrice del settimanale la Rinascita. È coautrice e curatrice di Curdi (Rosenberg & Sellier 2018)
Pubblicato venerdì 12 Luglio 2019
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