Anche se Quentin Tarantino, a differenza dei giovani turchi de I cahiers du cinema o di Peter Bogdanovich, non ha visto “tutti i film”, è possibile che ci sia arrivato abbastanza vicino. In “Cinema Speculation” (La Nave di Teseo editore, 2023), il secondo libro del regista, ci racconta la storia della sua educazione sentimentale al cinema.
Già nel primo capitolo a essere evocati non sono giochi o tragedie dell’infanzia e adolescenza, ma i pomeriggi di sabato e domenica che Tarantino, con sua madre Connie e il compagno di turno, trascorreva nei cinema di Los Angeles. Tarantino è nato nel 1963 e dagli 8-9 anni fino all’adolescenza i film sono stati la sua autentica, se non esclusiva, formazione culturale. Il cinema, ecco il suo vero paradiso infantile.
Un paradiso che porta con sé anche la memoria topografica di una certa Los Angeles degli anni 70 e dei primi 80. Sunset Strip Boulevard, Hollywood Boulevard e cinema come il Tiffany Theater: Tarantino lo ricorda tra quelli dove ha visto e rivisto i suoi film da giovane spettatore. Lo stesso François Truffaut, in un libro come I film della mia vita, rievocava con affetto indimenticabile il cinema Pigalle e, come Truffaut, lo stesso Tarantino scrive film, li dirige, ci ragiona e ci scrive su da critico, una gioia moltiplicata per tre. Proprio al Tiffany a sette anni è entrato per la prima volta in una sala cinematografica.
Non solo qui nasce la sua vocazione, più o meno quello che ha raccontato Spielberg nel recentissimo The Fabelmans, ma questa vocazione coincide con la fine della “vecchia Hollywood dei film del passato che si dissolveva, e veniva sostituita dalla New Hollywood della cultura giovanile e dei locali hippie”.
Si tratta di film, appunto questi degli anni ’70, in cui la sessualità e la violenza esplodono senza reticenze e senza più le smorzature e le allusioni della Hollywood del Codice Hays, l’informale bibbia della censura cinematografica. Il cinema del giovanissimo Tarantino, dunque, è quello che coincide con la cosiddetta New Hollywood, si pensi a Scorsese, De Palma, Coppola, che influenzati dalla Nouvelle Vague francese e dal cinema europeo in genere rinnovano quel gigantesco meccanismo economico e artistico che è la fabbrica hollywoodiana dei sogni, attraverso nuovi elementi stilistici e contenutistici come il montaggio non lineare e discontinuo, l’abolizione del lieto fine, la presenza di antieroi. Sono anche gli anni del cinema Hardcore, dei film della cosiddetta Blaxploitation, cioè diretti e interpretati da afroamericani per un pubblico di afroamericani.
Sono gli anni anche della guerra del Vietnam, di Nixon e dello scandalo Watergate, ma soprattutto sono gli anni della controcultura giovanile, della liberazione sessuale e della diffusione delle droghe sintetiche come l’Lsd, delle Black Panther, della violenza urbana e dell’impotenza della legge. Il successo clamoroso, spiega Tarantino, di film come Il Giustiziere della notte (Death Wish, 1974) con Charles Bronson e de L’ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo (Dirty Harry, 1971) con Clint Eastwood, era dovuto al fatto che raccontavano l’America reazionaria (ma non fascista, come invece scrissero i critici dell’epoca), quella che Nixon definì la ‘maggioranza silenziosa’ che non comprendeva più i suoi figli e il loro antipatriottismo e si opponeva spaventata ai cambiamenti sociali, esaltando il tutore della legge fuori dagli schemi e il semplice cittadino che si faceva giustizia da sé. L’ispettore Callaghan in particolare, nota il regista, inaugura il genere che dagli Ottanta avrà come protagonista un serial killer che terrorizza la città.
Alcune analisi del libro sono memorabili e dimostrano, a parte la precocissima ossessione di Tarantino per il cinema, la sua intelligenza interpretativa che rivela dettagli e significati che ci sono sfuggiti in film che magari abbiamo visto molte volte, da Dirty Harry appunto, a Getaway, da Un tranquillo weekend di paura a Taxi Driver (a cui dedica uno degli interventi più belli). Che cos’è dunque Cinema Speculation? Non è solo il suo personale omaggio al cinema attraverso alcuni dei suoi film preferiti, ma ci svela qual è la genealogia dell’estetica cinematografica di Tarantino. Su questo versante va segnalata però la scarsità di osservazioni sulla tecnica cinematografia, a parte un excursus sul piano sequenza nei film di De Palma.
Tarantino non ha nessun problema a ringraziare i suoi registi e lo fa a proposito, per esempio, dello splitscreen (schermo diviso), un attributo del cinema di Brian De Palma. Infatti quella tecnica è usata in Kill Bill I, nella scena in cui Daryl Hannah attraversa il corridoio dell’ospedale per andare a farla finita con Uma Thurman, e in sottofondo la musica di Bernard Hermann. Qui, scrive Tarantino, è come se Brian De Palma avesse preso il controllo del suo film. Ma mi pare importante anche l’omaggio che fa a un film di serie B del 1977 come Rolling Thunder di John Flynn, che si può facilmente reperire in rete, un film che si conclude con una strage fredda e geometrica e che certo è alla base dei ‘Revenge Film’ che Tarantino ama tanto, cioè quei film che raccontano una vendetta con carneficina finale. Scrive Tarantino che Rolling Thunder non solo è il primo film che ha analizzato da critico ma anche uno dei suoi preferiti per la rappresentazione esplicita e catartica della violenza che caratterizzerà poi i suoi film (su questo tema è appena uscito un libro di Edoardo Giaretta.
Anche qui, come nel suo primo libro, ritroviamo l’amore di Tarantino per gli attori. Di Steve McQueen, per esempio, racconta come nasce una star dello schermo, come la sua costruzione di icona del cinema non fosse casuale. Lo stile laconico dell’attore, cioè poche battute lungo tutto il film, era voluto e cercato, e raggiunge il vertice in Bullit. Steve McQueen fa una cosa che né Paul Newman o Warren Beatty sapevano fare, cioè “limitarsi ad esistere e riempire l’inquadratura di sé stesso”, così Tarantino. Ma non bisogna dimenticare anche la sua attenzione per co-protagonisti e comprimari, e qui scorrono nomi di attori che abbiamo visto mille volte ma di cui non abbiamo mai imparato il nome: Ben Johnson, Joe Don Baker, Jeff Corey, Jack Klugman e Bill Mckinney. A proposito di attori sconosciuti, vorrei ricordare anche le pagine sull’effetto straordinario, sia sul pubblico che e sul tredicenne Tarantino, di Rocky con Sylvester Stallone, alla sua uscita nel 1976: “Ogni elemento del film colse tutti di sorpresa: il protagonista che era uno sconosciuto; la carica emotiva della storia; l’incredibile, travolgente colonna sonora di Bill Conti; e uno dei finali più coinvolgenti che fossero mai stati visti in una sala cinematografica”.
Oggi Tarantino è al massimo della sua carriera, la sua fama è pressoché planetaria, in fondo può dire tutto, non ha limiti di tempo né di scrittura, è difficile leggere un critico che scriva in assoluta libertà di giudizio, libertà anche linguistica, e con la sua meravigliosa petulanza. Ciò che fa di Tarantino un critico sui generis è l’intreccio continuo di sguardo critico, la conoscenza profonda della macchina cinematografica e l’esibizione dei propri gusti e della propria soggettività di spettatore. Come quando giudica, per esempio, certi finali, come quelli di Getaway o Taxi Driver. Si diceva che nel libro Tarantino onora film, registi e attori importanti per la sua vocazione, tra questi ricorda l’oscuro Floyd Ray Wilson, un afroamericano che per un periodo aveva frequentato sua madre e che come lui amava il cinema. Dal 1979 Tarantino non ha avuto più notizie di Floyd ma ricorda che questi aveva detto al giovane Tarantino di aver scritto una sceneggiatura su un cowboy nero che fa strage di cattivi bianchi. Ci ricorda qualcuno? Ma certo, Django Unchained!
Ecco, il libro di Tarantino si chiude con una memoria e un ringraziamento: “Il mio sogno di un eroe nero nel Far West, Django Unchained […] mi valse l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Quando salii sul podio e presi in mano la statuetta dorata con Dustin Hoffman e Charlize Theron alle mie spalle, Floyd era morto da un pezzo. Non so come morì, e neanche dove e sepolto. Ma so che avrei dovuto ringraziarlo”.
Sebastiano Leotta
Pubblicato giovedì 24 Agosto 2023
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