Separare l’esperienza umana da quella politica è estremamente arduo, soprattutto quando si parla della guerra di Liberazione. L’eccezionalità degli eventi è evidente e chi ha combattuto per la Resistenza sentiva la necessità di scriverne – sensazione ben riconoscibile tra le pagine de Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino – una prova tangibile della consapevolezza di aver vissuto qualcosa di straordinario, una quotidianità fatta di precarietà, indigenza e di fatica. Scrivere, raccontare, imprimere su carta divenne fin da subito un’esigenza che consentì di appiattire le disuguaglianze sociali, acuite dal fascismo. La scrittura diventava un mezzo per ricordare un’esperienza, la vita di un compagno e ogni momento vissuto da partigiano.
Durante la guerra di Liberazione, riviste, giornali, foglietti e volantini rappresentarono il più grande veicolo di controinformazione – insieme alle radio – al totalitarismo fascista e, dopo la caduta di Mussolini, della stampa ufficiale. Si tratta di un materiale vasto e lacunoso che ha rappresentato la base per la mia tesi di laurea triennale in Lettere Moderne presso l’università La Sapienza di Roma: uno studio sulle riviste partigiane nella città di Roma che parte da due fonti principali di ricerca, il Museo storico della Liberazione di Roma, presidio efficacissimo di memoria, e l’archivio online della Fondazione Gramsci.
La letteratura e la storia camminano insieme: attraverso alcuni testi cardinali, come La Storia di Elsa Morante, 16 ottobre 1943 e Otto ebrei di Giacomo Debenedetti, si tenta, nell’elaborato, di fornire una cornice storica degli eventi che hanno segnato la storia di Roma e del Paese.
A raccontare i vari fronti di guerra sono le riviste partigiane. Attraverso un approfondimento del panorama giornalistico prima e dopo la Liberazione e considerando il percorso che porta alla fine della clandestinità, l’analisi si concentra su tre frammenti tratti da due periodici molto diffusi della Resistenza: L’Italia libera, organo di stampa del Partito d’Azione e l’Avanti! socialista.
I tre articoli scelti hanno una forte connotazione letteraria e rappresentano l’importante e chiarissimo legame tra la lotta politica e la formazione culturale. Gli spazi su cui scrivere erano pochi e la struttura dei giornali era diversa da quella odierna, erano costituiti da fogli a due o quattro facciate scritti in nero. Le modalità e i tempi di stampa sono estremamente ineguali, si trattava di opere clandestine, attività sovversive, la cui pubblicazione non poteva essere sempre rispettata. Per queste caratteristiche, si parla di periodici e difficilmente si può stabilire la frequenza della pubblicazione. Inoltre, soprattutto durante la clandestinità, era essenziale concentrarsi sulla guerra, sulle battaglie e su argomenti più strettamente politici, eppure, l’attenzione alla cultura non si perde mai: una cultura certamente diversa da quella manipolata dal fascismo.
Era soprattutto necessario proporre una visione del mondo migliore ed era giusto costruirla insieme, attraverso storie già scritte ma mai divulgate (la grande opera di traduzione dei classici internazionali fu importantissima), storie nuove tutte da scrivere e poesie, saggi, lettere di voci umili. Il frammento dell’Avanti pubblicato il 30 dicembre 1943, in clandestinità, rappresenta un tipico testo letterario resistenziale: il necrologio del partigiano caduto. Una tipologia testuale che si incontra frequentemente nella scrittura della Resistenza, dove il caduto viene rappresentato alla stregua di un eroe senza macchia, il più valoroso, il più virtuoso tra tutti i compagni.
Da lui i suoi amici hanno imparato la politica, la lotta, il coraggio. In contrapposizione, invece, in una sorta di eco a Uomini e no di Vittorini, c’è una totale disumanizzazione del fascista che ha ucciso il protagonista dell’articolo, in questo caso, il socialista Mario Fioretti. La viltà del fascista, nell’articolo, è evidenziata anche dalla modalità con cui uccide: alle spalle e senza farsi vedere. Il racconto prosegue poi con una lettera scritta da un operaio, che racconta la “vita attiva” del caduto, assertore di diritti e di battaglie dei lavoratori e partigiano illustre.
La testimonianza di un operaio diventa espressione di una voce semplice, non si conosce l’identità dell’operaio, probabilmente non è nemmeno essenziale che si sappia, al contrario, l’importanza sta tutta nel dare voce anche a chi era stata tolta: agli operai protagonisti delle lotte sindacali fortemente avversate e vietate dal fascismo, alle persone comuni e ai loro racconti.
Gli altri due frammenti citati nell’elaborato sono pubblicati sull’Italia Libera mesi dopo la Liberazione di Roma, il 6 febbraio 1945. Viene preso in esame un saggio critico di Leone Ginzburg sul romanzo di Tolstoj Guerra e Pace, che diventerà poi la prefazione dell’edizione Einaudi. Nella pagina è presente, anche qui, un necrologio per il compianto autore e traduttore. Focalizzando l’attenzione sul saggio critico, si percepisce come secondo Ginzburg, il centro della narrazione stia tutto in una bipartizione tra umano e storico: il romanzo è dei personaggi umani, con lo sfondo dei personaggi storici che intervengono nella storia. Sulla stessa pagina del periodico, ma nella parte inferiore, si incontra un passo de Il seme sotto la neve di Ignazio Silone, terzo romanzo dell’autore.
Le opere di Silone si ascrivono pienamente nel filone del regionalismo, in molte di esse, infatti, l’autore si concentra principalmente sugli umili, sui contadini e sul microcosmo che si costituisce all’interno di ogni piccolo paesino di montagna, fondato su regole e convenzioni sociali estremamente singolari e diverse. Il romanzo racconta di Pietro Spina, giovane comunista che si incontra già in Vino e Pane, mentre fugge dalle persecuzioni fasciste, qui invece torna al suo paese natio.
La produzione resistenziale si attesta come un campo di studio estremamente interessante, un segno evidente della potenza e della forza ideologica che la Resistenza porta con sé. Le notizie scritte su quelle riviste costituiscono una fonte importante della visione istantanea, degli umori e delle reazioni anche di eventi molto conosciuti che riempiono le pagine dei manuali, rendendoli più umani, più tangibili e più vicini rispetto al racconto storico. La Resistenza fu potente a tal punto da appiattire ogni divario culturale e sociale tra i partigiani raccontando un vissuto inusuale, una scelta consapevole. I compagni più acculturati e gli intellettuali diventavano compagni che sapevano scrivere, la voce, le idee e i racconti sembravano appartenere a tutti, anche alle voci più semplici e meno consapevoli a livello politico.
Il mio studio rappresenta un contributo preliminare volto a indagare spazi ancora inesplorati. Nello specifico, questo ambito di ricerca necessita di essere approfondito, pensando a criteri differenti di studio e analisi, considerando altre scelte di selezione per le riviste per dare luce a un aspetto della letteratura meno canonica ma di rilevante importanza. Tenendo a mente, come punto essenziale durante la ricerca, del potere inestimabile della memoria e di come le testimonianze delle persone comuni, come l’Agnese di Renata Viganò, si siano trasformate in letteratura e in esempi di lotta e di partecipazione in una guerra combattuta dal popolo per il popolo, sognando un’Italia migliore, libera dalla violenza e dalla ferocia del totalitarismo fascista.
Helena Cocco
Pubblicato mercoledì 21 Agosto 2024
Stampato il 03/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/sfogliando-le-riviste-partigiane-alla-ricerca-dei-sentieri-ideali-della-resistenza/