È una piccola storia, quella raccontata dal partigiano Enrico Angelini (1925-2018) e presentata il 12 dicembre scorso in occasione del 17° congresso della sezione Anpi di Foligno “Franco Ciri”, un minuscolo ma prezioso tassello di memoria che si aggiunge ai tantissimi che compongono il grande mosaico della Resistenza italiana.
La vicenda narrata nel libro si snoda dal dicembre 1943 al giugno 1944 nel territorio montano di Foligno e Trevi e il suo valore si rinnova nel 2015, quando il partigiano Enrico Angelini, allora novantenne, apprende dai giornali che nel piccolo casale di Raticosa, sui monti di Trevi, prima sede della sua formazione, la IV Brigata Garibaldi, era stata distrutta la targa commemorativa e disegnata una svastica.
Per lui un oltraggio insopportabile, da cancellare, perché in quei luoghi, dove tornava spesso, erano stati catturati dai nazisti tre partigiani suoi amici e compaesani – Franco Santocchia, Franco Pizzoni e Augusto Bizzarri – deportati e uccisi a Mauthausen.
E così, insieme a Roberto Testa, un giornalista suo amico, Angelini decide di andare a cancellare con le proprie mani quel segno di morte, deponendo poi una rosa rossa in ricordo dei compagni caduti.
La notizia fa il giro dei media e della rete e viene rilanciata da testate online, agenzie di informazione, social network e ripresa da giornalisti e commentatori di rilievo nazionale. Il titolo più bello, forse, è quello di Massimo Gramellini su La Stampa: nell’articolo “Questo è un uomo” sottolineava il coraggioso gesto civico del (giovanissimo) anziano partigiano.
Il 16 aprile 2015, in occasione del 70° della Liberazione, il presidente Sergio Mattarella incontra in Parlamento una delegazione di partigiani italiani di cui fa parte anche Enrico Angelini e, nell’esprimergli il suo apprezzamento, definisce il suo gesto “di rilevanza nazionale”.
La storia ha anche ispirato la realizzazione del docu-film “Per la seconda volta” del giovane regista Andrea Mugnai, vincitore del premio Anpi nell’edizione 2017 del Valdarno Cinema Fedic. La viralità mediatica del gesto di Angelini spinge un gran numero di persone a scrivere ai giornali, raccontando la propria gratitudine verso il partigiano, il suo coraggio e la sua determinazione.
Il racconto di Enrico Angelini dei suoi sette mesi di guerra partigiana è ancora vivo, al momento della stesura delle memorie. È il frutto – racconta il curatore nell’introduzione del volume – di una trasmissione radiofonica andata in onda su Radio Gente Umbra il 25 aprile del 2015: una lunga intervista a più voci, che univa la biografia del partigiano alla storia resistenziale di quei luoghi.
La narrazione del libro è scevra da retorica, ma ricca dell’umano realismo di chi a soli 18 anni si trova a vivere una vicenda cruenta ed Enrico non si tira indietro nelle azioni contro il nemico, ma esprime tutta la sofferta umanità di un adolescente quando si rifiuta di far parte del plotone di esecuzione che avrebbe dovuto fucilare un delinquente comune che, fingendosi partigiano, vessava la popolazione di Pieve Torina, in provincia di Macerata, e che aveva anche ucciso un partigiano della IV brigata Garibaldi.
La sua umanità emerge anche quando, parlando con il suo capo formazione della sorte di un prigioniero tedesco, rifiuta anche la remota eventualità di fucilarlo.
Ma è nel racconto del rastrellamento del 3 febbraio 1944 che viene fuori la parte più dura, nonché la più dolorosa, e che rimarrà tale per tutto il resto della sua vita.
Quando ricorda i suoi tre amici, Franco Santocchia, Franco Pizzoni e Augusto Bizzarri, catturati dai tedeschi alle prime luci dell’alba perché erano nel secondo turno di pattuglia, toccato a loro e non al suo gruppo per gli esiti di un sorteggio. Scampato alla cattura e alla morte “Per un caso o per fortuna”. Ogni volta che ripensava a quei fatti Enrico Angelini si chiedeva “Perché sono vivo?”.
Nella prima parte del libro c’è la fedele trascrizione del racconto di Enrico Angelini. Un racconto emozionante e appassionato che ha per teatro le montagne comprese tra Foligno-Trevi dell’Appennino umbro marchigiano e tra Colfiorito e Pieve Torina-Campello sul Clitunno.
La memoria prende le mosse alla fine del dicembre 1943 e ripercorre i mesi di lotta fino al 16 giugno 1944, giorno della Liberazione di Foligno a opera di reparti del XII Lancieri dell’8ª Armata dell’esercito inglese e dei partigiani della IV Brigata Garibaldi che presero possesso della città poche ore prima degli Alleati.
Oltre agli interventi inseriti nel corso della narrazione di Enrico Angelini, Tommaso Rossi ha fornito il contributo “La violenza nazista e fascista nella zona operativa della IV brigata Garibaldi”.
Nel volume è pubblicato inoltre un saggio dello storico Angelo Bitti dal titolo “La IV Brigata Garibaldi della Resistenza umbra”, che descrive l’attività della formazione partigiana folignate. Il giornalista Roberto Testa, oltre al testo in cui racconta l’atto di Enrico Angelini che torna il 5 marzo 2015 a Raticosa per cancellare la svastica, ha redatto “Il contributo della città di Foligno alla Resistenza e alla guerra di Liberazione”.
Tiziano Bertini
(Le immagini sono tratte dal trailer del docu-film “Per la seconda volta” del regista Andrea Mugnai, premio Anpi 2017 al Festival Valdarno Cinema Fedic)
Pubblicato giovedì 30 Dicembre 2021
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