Marcia su Roma, i fascisti arrivano nella capitale (archivio fotografico Anpi nazionale)

Vittorio Gezzi (20 anni), Gioacchino Secoli (23), Fausto Berretta (25), Alberico Pierini (37), Maria Gagliardi (38), Sante Ascenzi (40), Teodoro Bielli (48), Alfonso Fanelli (58). Sono i nomi di alcune delle vittime dell’assalto al quartiere San Lorenzo di Roma da parte dei fascisti arrivati in marcia sulla capitale mentre il loro capo, Benito Mussolini stava per ricevere l’incarico di formare il governo. Era il 30 ottobre 1922. Fu una strage. Ma i militanti antifascisti rimasero ignoti per sempre. Al Verano, cimitero monumentale, sono seppellite le loro ossa. E il ricordo.

San Lorenzo, via dei Reti

Se fate oggi un giro per il quartiere che un tempo fu una roccaforte rossa della ribellione contro la violenza fascista non troverete nessun monumento, nessuna targa, nessuna pietra d’inciampo. Cancellati e dimenticati, anche se il Comune di Roma promette da qualche tempo di intervenire per sanare la lacuna. Nella capitale il militante antifascista non ha mai avuto un suo monumento, come neppure un’opera scultoria dedicata ai tanti giovani e giovanissimi combattenti, molti caduti, della lotta di Liberazione della città.

Le storie di quegli antifascisti e della loro resistenza eroica contro le squadracce e l’esercito vengono ora raccontate nel libro di Gabriele Polo, giornalista e saggista, “Assalto a San Lorenzo, la prima strage del fascismo al potere” (Saggine Donzelli, 2024, 109 pagine, 16 euro), con un’introduzione di Giovanni De Luna e un testo finale di Edith Bruck sul “Dovere della memoria”. Una ricostruzione agile dei fatti che vengono inquadrati negli anni della grande svolta dell’inizio del regime che durerà vent’anni. Una scrittura sintetica tra giornalismo e ricostruzione storica. Ma soprattutto il libro di Polo è un tributo a quelle donne e a quegli uomini che sono rimasti ai margini della grande storia, ma anche delle cronache dei quotidiani dell’epoca.

Enrico Toti. Nel maggio del ’22 si scatenò a Roma una vera e propria guerriglia in occasione della sepoltura dell’eroe, nazionalista, della Prima guerra mondiale contro i fascisti che volevano cogliere l’occasione per invadere San Lorenzo

Il Corriere della Sera parlò di 8 morti, La Stampa di 5 vittime, il Messaggero del 31 ottobre: “Un grave conflitto a Porta San Lorenzo, sette morti e numerosi feriti”. Il libro è dunque un tributo a un quartiere, quello di San Lorenzo, che è stato preso di mira dai fascisti proprio per la sua irregolarità. Arrivando a Roma per conquistarla i fascisti non potevano tollerare zone franche. E San Lorenzo, tra la stazione Termini, il Verano e via Tiburtina, la strada che portava fuori città, era un quartiere ribelle dove l’antifascismo si era manifestato molto prima della marcia su Roma e dell’ascesa al potere del duce, perfino ai suoi albori quando, durante i funerali solenni di Enrico Toti, nel maggio 1922, settimo anniversario dell’entrata dell’Italia nel Primo conflitto mondiale, la salma era stata trasportata da Monfalcone a Roma.

La prima seduta del Consiglio dei Ministri del governo Mussolini nel 1922

“È il tardo pomeriggio del 30 ottobre 1922, quando – scrive Polo – mentre Benito Mussolini forma il suo primo governo e le ultime colonne di squadristi entrano a Roma – un centinaio di fascisti armati fanno irruzione nel quartiere di San Lorenzo e aprono il fuoco contro passanti e abitanti. È un attacco del tutto gratuito, privo di una logica politica se non quella di punire un rione in cui il fascismo non era mai riuscito a mettere piede prima di allora”. Il libro racconta la cronaca di quelle ore. Fu una manifestazione di violenza incontrollata, con un forte carattere simbolico: l’obiettivo era piegare il quartiere rosso proprio nel momento in cui Mussolini prendeva Roma, cioè il potere.

I fascisti sotto il Quirinale, allora residenza del re

Questa pubblicazione di Donzelli ha un merito particolare e il libro cattura il lettore proprio perché colma una lacuna sia a livello della memoria, sia della ricostruzione storica del fascismo su cui l’attenzione prevalente è stata dedicata agli anni del regime. Ma come in tutti i grandi fatti storici gli albori sono infatti essenziali per capire come andrà a finire. L’alba determina il giorno. O meglio, in questo caso si potrebbe dire che l’alba determina la lunga notte. Per questo l’assalto a San Lorenzo è utile anche come contributo storico perché nella prima parte si descrive la “resa dello Stato” a Mussolini e alle sue squadracce da parte di una classe dirigente “liberale” e della monarchia che pensavano di governare e utilizzare il fascismo senza rendersi conto che stavano per essere fagocitati.

Enrico De Nicola, Vittorio Emanuele III e Mussolini

L’altra parte interessante e utile riguarda ovviamente la “marcia della vendetta” e il capitolo “fuoco su San Lorenzo”, dove la scrittura rivela lo stile asciutto e preciso del cronista che racconta degli attacchi e della violenza contro le camere del lavoro, le sezioni dei partiti di sinistra, le osterie dove si davano appuntamento fisso gli antifascisti (l’Osteria Zaccone, sede del Circolo Primo Maggio, per esempio, o la sede del Partito Socialista in via dei Sardi), in un quartiere dove combattevano gomito a gomito socialisti, comunisti, anarchici e cattolici.

Esattamente un anno dopo la partenza del feretro del Milite Ignoto, la marcia su Roma si conclude con la sfilata al Vittoriano

Il punto di snodo di tutto spunta però dai capitoli finali, “una pietra sopra” e “senza memoria”. Un libro che tra l’altro serve a smentire (anche se non ce ne sarebbe stato alcun bisogno) quell’immagine stereotipata di Roma che si è voluta far circolare, una capitale sorniona che si era voltata dall’altra parte per non vedere le marce delle camice nere da piazza Venezia al Quirinale. Il libro di Polo rovescia l’immaginario di comodo. “Resta un dato di fatto – scrive lo storico Giovanni De Luna nell’introduzione – la lotta di San Lorenzo, pur sconfitta, è oggi speranza per tutti. Il popolo non è una categoria astratta e onnicomprensiva. Chi abitava nel quartiere non apparteneva a un’unità indifferenziata: si trattava di uomini e donne in carne e ossa, disposti a morire in nome della libertà e della lotta contro i soprusi dei dominatori. Un esempio da non dimenticare”.

Un’immagine di una zona del Cimitero monumentale del Verano

“I morti di San Lorenzo sono ancora tutti al Verano – ci dice Polo – Sante Ascenzi condivide con la moglie Giuseppina una piccola nicchia funebre nel reparto ossari. Teodoro Bielli è sepolto nella tomba di famiglia della moglie Caterina Tagliaferri. Alfonso Fanelli in un loculo con la sorella Teresa. Vittorio Gezzi, Umberto Pallocca e Gioacchino Secoli giacciono a poca distanza l’uno dall’altro; il primo in un loculo solitario, il secondo insieme al figlio Pietro, il terzo con la figlia di seconde nozze della moglie Enrichetta. Nessun simbolo o epigrafe ricorda le circostanze della loro morte o della loro vita, soltanto la giovane vedova di Secoli ha lasciato al marito un ricordo del tutto personale e ormai consumato dal tempo: “per soli trenta giorni fosti vicino alla tua consorte e tutto l’amore che non potè darti in vita lo riserva per la morte”. Tombe senza fiori, persone che non sono mai vissute, loculi in scadenza termine di concessione. “Tutti giacciono dimenticati”.

Ma al mondo, si sa, non c’è giustizia. E le diseguaglianze e i soprusi sono palesi anche nei cimiteri. Al centro del Verano, ci ricorda Polo, sorge per esempio un mausoleo cilindrico che si confonde con tanti altri appartenenti alle famiglie ricche. Ma quello è particolare perché con la sua iscrizione in latino (tradotta: “Possano i martiri della fede littoria riposare qui sotto la protezione di Cristo”) onora le salme di personalità del regime. Un mausoleo inaugurato nel 1932 in occasione della Esposizione della Rivoluzione fascista e che ancora fa bella mostra di sé all’interno del Verano.

13 maggio 2019, militanti di Forza Nuova per le strade di San Lorenzo contro presenza di Mimmo Lucano all’Università La Sapienza (Imagoeconomica, Benvegnù Guaitoli)

E oltre ad essere inamovibile, è diventato anche un punto di riferimento importante per il neofascismo contemporaneo, o fascismo eterno come direbbe Umberto Eco. Il 28 ottobre di ogni anno quel sito sepolcrale diventa teatro di commemorazioni, saluti romani e marce. A differenza del luogo anonimo degli antifascisti morti per difendere il quartiere e la libertà di tutti, intorno al mausoleo fascista abbondano le corone di fiori e le coccarde: “I camerati di Forza Nuova”, “Vox”, “Les camarades du Front National” e tanti altri colori al nero delle ultradestre europee. “Tra tutte spiccano per numero e colori le ghirlande portate dai dirigenti del partito con la fiamma neofascista, Fratelli d’Italia. Al potere, un secolo dopo. Memori e certi di ciò che sono”. Epilogo della storia.