Ci sono alcuni momenti della cosiddetta grande storia che rendono particolarmente complesso ricostruire la memoria collettiva di una società. In Italia forse sono tre i vulnus più ambivalenti del nostro recente passato e che continuano a definire il nostro presente: il Risorgimento, il Fascismo, Gli anni di piombo. La questione ha a che fare con i rapporti tra storia, memoria, identità.

Renato Guttuso, “La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio”

«Ciascun uomo e ciascun popolo secondo i propri fini, secondo le proprie forze e le proprie necessità, ha bisogno di una certa conoscenza del passato […]. Ma uomini e popoli non saranno simili a una schiera di pensatori puri, che la vita contemplano soltanto, a individui avidi di sapere, che solo il sapere soddisfa […]. Essi agiranno invece sempre solo in funzione della vita e perciò sotto il dominio e la guida suprema della vita stessa. Questo è il rapporto naturale di un’epoca, di una cultura, di un popolo con la storia […]. La conoscenza del passato in tutti i tempi non è desiderabile che quando è al servizio del futuro e del presente, non quando serve a indebolire il presente, non quando sradica le energie del futuro. Tutto ciò è semplice, semplice come la verità e persuade anche chi non vuole accettarne la dimostrazione storica» (Nietzsche).

La lunga citazione di Nietzsche ripropone una provocazione da cui vorrei partire per definire l’utilità e il danno della storia oggi e di come questa analisi, sia particolarmente aderente al libro di Carlo Ruta. Il direttore degli Annali di storia in questo suo ultimo lavoro ha dato significative indicazioni epistemologiche sullo studio della storia e ha segnato una svolta decisiva ai relativi percorsi di ricerca portando alla luce fonti inedite e soprattutto utilizzandole in maniera assolutamente originale. In qualità di studiosa di antropologia storica credo che si consolidi davvero un orizzonte di senso e di ricerca che mette a confronto la Storia e l’Antropologia in maniera proficua ed efficace in modo da integrare le due modalità di lavorare sulla memoria collettiva e sul trattamento dei dati e delle fonti. In particolare è sull’uso dell’archivio che si sono «incontrati» storici e antropologi. Per i primi si è trattato di rimodulare un’antica e radicata abitudine di frequentazione, per i secondi entrare in un mondo nuovo a cui chiedere conferme, individuare congruenze e discrepanze tra le versioni del passato raccolte sul campo e quelle fissate nella documentazione.

(Imagoeconomica, Paolo Giandotti)

Ma se l’antropologo è entrato nell’archivio, lo storico si è avvicinato ai dati forniti dal campo e ne ha riconosciuto la validità. Si tratta di un addestramento reciproco, una specularità rafforzata dalla critica post-modernista che ha ribadito con maggiore convinzione che non è il passato a determinare e spiegare il presente, bensì il presente che legge il passato alla luce dei suoi interessi e delle sue categorie e che l’archivio non offre mai materiali neutri.

Lo studio del passato può avvenire, riprendendo la terminologia nietzschiana, in modo antiquario, monumentale e infine critico, ed è solo in quest’ultimo senso che la storia è al servizio della vita, diventa qualcosa di salutare, qualcosa che promette un avvenire. Selezionare ciò che è fondante e deve essere trasmesso, ciò che ha lo spessore del ricordo vissuto nel presente, diventa assai difficile in una condizione di eccesso di senso e di eventi che caratterizza la nostra epoca, determinando quella densità attraverso la quale il tempo storico sembra delinearsi.

Lo storico Carlo Ruta

Distinguere ciò che è superfluo da ciò che ha persistenza ed è radice di ciò che diviene, assume, inevitabilmente, oggi la dimensione di un divenire connotato da uno spazio e da un tempo legato alle ultime generazioni dei mezzi di comunicazione. Carlo Ruta ha interpretato al meglio queste direttrici, esamina il sistema fascismo a partire da una dicotomia che sembrerebbe inconciliabile e che attraversa tutto il suo studio: totalitarismo e trasformismo inteso come particolare duttilità che ebbe il fascismo a modellarsi continuamente in rapporto agli avvenimenti e alle condizioni politiche e strutturali che via via si presentavano. Un focus particolare sulla sua natura totalitaria e sulla sua capacità di adattamento e trasformazione nel corso del tempo.

Francesco Saverio Altamura “La prima bandiera italiana portata in Firenze”

Prende forma così un sistema olistico che permeò in maniera invasiva ogni aspetto della vita degli italiani, dunque un totalitarismo radicale e allo stesso tempo plurale, come sottolinea lo storico, che mise radici nell’appartenenza identitaria degli italiani spazzando via valori e antichi radicamenti legati al nostro Risorgimento e non solo. Per niente debole il fascismo si rafforzò invece attraverso questo connubio apparentemente «impossibile» ed ebbe la terribile capacità di essere modello per altre forme di totalitarismi.

Nel corso della sua dettagliata ricostruzione e interpretazione nulla vien tralasciato; le parti del sistema vengono sviscerate ed esaminate offrendo strumenti e materiali inediti e preziosi raccolti nei cosiddetti giacimenti privati e domestici della memoria. Lettere e altre fonti scritte non sono per Carlo Ruta materiale freddo e inerte d’archivio ma piuttosto materiale vivo e caldo che costituisce la fonte più autentica del fare storia critica e utile al presente. In questo modo Ruta restituisce alla storia il suo compito fondamentale di responsabilità di costruzione del presente e di utile sentinella della memoria sociale.

Ci fornisce strumenti utili, dunque, per riconoscere la centralizzazione del potere nelle mani di Benito Mussolini, il ruolo del partito nazionale fascista nel consolidamento del controllo totalitario, l’uso della violenza e della repressione contro gli oppositori politici e soprattutto le attente strategie per ottenere il consenso per mantenere un ferreo controllo sulla società italiana. Secondo Ruta il fascismo italiano è stato un fenomeno caratterizzato dalla sua natura totalitaria e trasformista. Il regime è stato in grado di adattarsi alle mutevoli condizioni politiche, sociali ed economiche, mantenendo tuttavia un controllo ferreo sulla società italiana. La capacità del fascismo di trasformarsi ha contribuito alla sua longevità, ma ha anche portato alla sua caduta quando le circostanze esterne e interne sono diventate insostenibili.

Il presente esame storico ricostruisce in definitiva per dirla con le parole di Carlo Ruta aspetti di un fascismo «invisibile» e complesso, aggiungo io, con strumenti che consentono di affrontare aporie interpretative e discordanze. Un forte valore aggiunto è costituito poi dall’appendice che dà prova tangibile della svolta storiografica e che snocciola ed esamina documenti di assoluto valore relativi a un arco temporale ristretto tra il 1940 e il 1944, in cui emerge la consapevolezza della catastrofe imminente e delle responsabilità con lungimiranze profetiche quando Carlo Sforza scrive nella lettera al Re del 30 maggio 1940: «No. L’Inghilterra è con le spalle al muro: l’Inghilterra non ha scelta. Non soltanto resisterà, non soltanto insieme con i suoi Domini sbalordirà il mondo con la sua tenacia, ma da Londra – ieri con Chamberlain così esitante – sarà organizzata una resistenza talmente eroica che non ne avremo vista mai una simile. Questo impressionerà il mondo. Prima o poi gli Stati Uniti entreranno nella lotta: non potranno non farla, poiché la volontà di egemonia mondiale della Germania avrà suscitato negli Stati Uniti troppa paura».

Infine la sintesi migliore dello spessore dello studio di Carlo Ruta è la lettera aperta di un semplice fante a Mussolini che esalta il tema della storia per la vita e dei vissuti delle singole soggettività all’interno dei grandi fatti della storia. La lettera è del 1943 e condensa tutto quello che il fascismo è stato nelle semplici parole di un fante: «Chi ti scrive è un fante dell’esercito di Vittorio Veneto, un fante che ebbe la ventura di seguirti con disciplina rigorosa, fidando che il fascismo potesse ridare alla Patria nuova fisionomia. Siamo nel 1943. Ogni illusione è da tempo svanita e, facendo il bilancio del tuo regime, si deve amaramente constatare che tu hai condotto l’Italia alla rovina, alla disperazione, alla sconfitta».

La storia critica si invera nei documenti e nelle fonti quando viene inscritta in un sistema interpretativo che parla alla contemporaneità e, assumendo i toni di impegno sociale e civile, ci restituisce un avvenire.

L’antropologa Annalisa Di Nuzzo

Annalisa Di Nuzzo, antropologa Università
degli Studi Benincasa di Napoli