Mai nessun termine come quello della Pace è stato tanto malinteso, disatteso, dimenticato. Delegittimare il pensiero della guerra nelle nuove generazioni in questo tempo di «Terza Guerra Mondiale a pezzi» di cui parla papa Francesco è sempre più necessario. Ma come permettere, per dirla con il poeta partigiano Paul Éluard, che il più naturale dei luoghi “dove abita la colomba” sia “la testa dell’uomo”?

“Educare alla pace in tempo di guerra” è un libro profondo che si interroga per mano di Andrea Bigalli, sacerdote, educatore e giornalista, ed Elisa Lelli, insegnante ed ex alunna dell’educatore che da “forza motrice di curiosità critica, sfornava domande micidiali, di quelle che aprono dibattiti e portano il discorso lontano”. In un intenso dialogo dove si intrecciano temi come identità, relazione, conflitto, guerra, ruolo della chiesa, memoria e linguaggio — citando la partigiana Lidia Menapace, “mia amica e grande maestra dello spirito critico e quindi di pace” — in un fitto confronto di due figure diverse per età e genere, legate da un comune impegno sul versante educativo, ma in ambiti differenti. Un dia­logare tra differenze che è già opera di pace.

Gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Pace e giustizia sociale il punto 16

È un libro che risponde anche agli obiettivi dell’ambiziosa Agenda 2030 Onu, il programma di azione globale per le persone e l’ambiente adottata all’unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite con la risoluzione del 2015 che mira a garantire a tutte le persone, soprattutto alle nuove generazioni, un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile.

Caino e Abele. Camillo Procaccini, Parma 1561

Consapevoli della grande sfida che ci e li attende, l’autore e l’autrice partono da un presupposto: mettere in gioco la relazione con l’altro, che attraversa una grande varietà di ambiti della nostra esistenza: abituarsi, a esempio, a vedere l’altra persona non come minaccia, ma come compagno o compagna di strada, non come competitore, ma come possibile prezioso partner di collaborazioni. “Per far pace, occorre disegnare un percorso che dalla radicalità semplice del comandamento «non uccidere» ci conduca su vie e percorsi in cui esso possa farsi storia comune” riflette nella postfazione del testo Simone Morandini, teologo e direttore della rivista Credere Oggi.

Don Lorenzo Milani

“Cosa innesca la scintilla dell’attenzione?” È uno dei primi quesiti che si pongono i due autori “militanti di pace, ribelli per amore”, soprattutto quando bisogna rivolgersi agli adulti di domani. “Dovresti trovare negli argomenti da svolgere — scrive Bigalli —, cosa, per dirla con don Milani, «I care», cioè un aggancio al loro vissuto, ai loro dubbi, a ciò che contribuisce a creare la loro identità o anche solo a fare luce sulla percezione che hanno di se stessi. Non è vero che sono così dissimili da chi li ha preceduti generazionalmente. Sono “solo” diversi — continua l’autore con grande capacità di analisi — perché vivono in una società con meno certezze, hanno strumenti di altro genere, socializzano in altri modi. La nostra difficoltà di adulti è capire come si servono della tecnologia per entrare in relazione, incontrarsi, sognare insieme… ecco, i sogni non penso siano cambiati”.

Mappa dei conflitti nel mondo

E come riuscire “a trasmettere una memoria che non sia solo dati storici, ma anche la passione del ricordare anche per se stessi, per poter essere liberi, libere?”, altro importante quesito che pone Lelli, sottolineando che “solo poche generazioni prima della loro, ci sono stati dei ragazzi e delle ragazze (questo erano la maggior parte di loro) costretti a combattere un conflitto mondiale e a dover poi decidere da che parte stare in quella che è stata anche una guerra civile”, mentre oggi i 59 conflitti che si combattono in tutto il mondo “non suscitano lo stesso afflato umanitario, lo stesso sdegno, lo stesso moto solidaristico”. L’unica strada percorribile, suggerisce l’autrice, è “favorire negli studenti la capacità di problematizzare sul reale, vicino o lontano che sia a livello geografico. Tale problematizzazione ha bisogno di poggiare su basi storiche e sulla memoria, collettiva direi prima che personale, perché direttamente proporzionale alla capacità di scegliere da che parte stare”.

Una delle ultime foto di Lidia Menapace, scomparsa nel 2022, sempre in prima fila nei movimenti pacifisti

Ma come si (ri)costruisce la memoria collettiva? Si interroga ancora la docente. “Torno a parlare delle fonti, dei documenti, compresi i racconti di famiglia, dei nonni, se si ha la fortuna di averli ancora: è un modo per avvicinare il passato, per renderlo vivo e orientante nel presente, è il lievito per un approccio empatico alla storia. Per ricordare per se stessi” risponde, mentre conduce il collega Bigalli, il lettore e la lettrice, in un appassionante ragionamento.

Firenze bombardata

“Hai idea di quanto sia stato emozionante parlare dei ragazzi del ’99 ad alunni nati nel 1999? O far vedere le foto di Firenze bombardata chiedendo di individuare i posti a loro noti?

In memoria dei martiri del Campo di Marte: cinque giovanissimi accusati di renitenza alla leva nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana e fucilati nel 1944 dai soldati della RSI, nei pressi della Torre di Maratona dello Stadio Giovanni Berta, oggi Stadio Artemio Franchi di Firenze

O portarli allo Stadio Franchi e spiegare ogni simbolo di quel luogo, dalla forma a D alla lapide in ricordo dei partigiani fucilati da coetanei? O ancora accompagnarli al voto con il racconto della bisnonna di mio marito, che per andare a votare il 2 giugno del ’46 si cucì un vestito nuovo, segno, all’epoca, di festa grande? – prosegue l’autrice –. Credimi, un approccio simile cambia la prospettiva e libera non solo la storia dalla pesantezza degli elenchi fini a se stessi, ma anche i ragazzi nelle loro scelte, dal momento che fornisce loro, unitamente allo studio, delle solide categorie interpretative della realtà, senza le quali è difficile prendere delle decisioni consapevoli ed è altrettanto facile che altri le prendano per te. La vera istruzione, quella su cui dovremo puntare come comunità educante, e sottolineo comunità, non solo scuola, dovrebbe mirare a questo”.

“Il termine pace in realtà ne riassume molti altri – spiega Bigalli — è come se fosse un contenitore di idee, speranze, angoli di visuale diversi da quelli usuali. Da questa parola, per prossimità di significato e di senso, se ne possono ricavare molte altre. Forse in questa fase storica, quella di cui è più urgente trattare è futuro. Un’altra parola densa di significato, che a sua volta rimanda a speranza”.

Un libro appassionato e appassionante che conduce alla speranza, a migliorarsi e che offre inediti spunti su come affrontare questa complessa tematica non solo in classe e, come cantava John Lennon, per immaginare in termini concreti che “il mondo sia dell’umanità”.

Mariangela Di Marco, giornalista